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Intercettazioni: gli operatori prendono le distanze. Ecco come gli Usa potrebbero arrivare anche ai dati degli Europei

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Le intercettazioni telefoniche non hanno gettato scompiglio soltanto nel calcio italiano, ma anche al Congresso degli Stati Uniti.

Se in Italia trema la Juve, il cui 29° scudetto potrebbe essere messo in forse proprio a causa della bufera intercettazioni, Oltreoceano è l’amministrazione in toto a risentire dei contraccolpi di uno scandalo che coinvolge anche le maggiori aziende telefoniche del Paese, dopo che il quotidiano Usa Today ha rivelato come la NSA (National Security Agency) abbia creato una banca dati contenente informazioni su miliardi di telefonate effettuate dagli americani nel corso degli ultimi 5 anni.

 

I due casi sono diversi per molti aspetti, soprattutto perché la NSA si sarebbe limitata soltanto a raccogliere i dati delle telefonate, senza ascoltarle, ma per placare le polemiche è dovuto intervenire lo stesso presidente George Bush, che ha difeso l’operato dell’agenzia, sostenendo che non c’è stata alcuna violazione e che il governo non scava né interferisce con la vita di persone innocenti, ma cerca solo di snidare potenziali terroristi.

 

I particolari rivelati da USA Today sono comunque inquietanti e chiamano in causa i tre colossi della telefonia americana: Verizon Communications, AT&T e BellSouth, con oltre 200 milioni di abbonati, lavorerebbero per la NSA, mentre solo Qwest, che ne ha appena 14 milioni, avrebbe rifiutato di collaborare.

 

“Nell’autunno del 2001 – ha raccontato Herbert Stern, uno dei rappresentanti legali di Qwest – ci è stato chiesto di permettere al governo di avere accesso ai tabulati telefonici privati dei nostri clienti”

Secondo Stern, Joseph Nacchio – all’epoca Ceo del gruppo – concluse che fornire le informazioni richieste avrebbe violato le leggi federali sulla privacy e diede istruzione di rifiutare ogni proposta in tal senso.

 

Verizon, da canto suo, ha reso noto in un comunicato di non aver mai permesso accesso indiscriminato ai dati dei propri utenti e di non avere intenzione di farlo in futuro, ma non si è espressa sul programma della NSA, così come si sono limitate a fare le altre due società coinvolte.

 

L’attenzione su quanto sta avvenendo negli Usa è alta, ovviamente, anche in Europa e non senza qualche vena polemica: il quotidiano svedese Sydsvenskan riporta infatti che le autorità Usa potrebbero avere accesso anche ai dati telefonici e internet dei cittadini europei.

 

Dopo l’approvazione della controversa direttiva sulla conservazione dei dati – anch’essa mirante a contrastare il terrorismo – le compagnie telefoniche e i service provider internet sono obbligati a conservare le informazioni per almeno sei mesi.

 

A marzo, poco dopo l’approvazione della direttiva, i rappresentanti di Europa e Stati Uniti si incontrarono a Vienna per un meeting informale di alto livello su libertà, sicurezza e giustizia.

La delegazione Usa, come riporta il resoconto dell’incontro, ha espresso in quell’occasione l’interesse ad avviare trattative con i singoli Stati membri per “assicurarsi che i dati collezionati sulla base della nuova direttiva” potessero essere accessibili alle agenzie americane.

 

La Presidenza e la Commissione risposero che i dati erano accessibili come ogni altra informazione sulla base degli “accordi bilaterali esistenti”.

 

I rappresentanti della Ue hanno allora aggiunto che la Commissione avrebbe organizzato un meeting di esperti sulla questione.

 

Secondo gli attuali accordi se l’FBI, per esempio, è interessata a un gruppo di cittadini coinvolti in un’indagine e residenti in un Paese europeo, può chiedere aiuto a un pubblico ministero di quello Stato che, a sua volta, richiede le informazioni all’operatore telefonico o al service provider e le rigira al funzionario che le ha richieste.

 

Ecco quindi che, secondo gli accordi, potrebbero esserci anche i nostri dati tra quelli archiviati dalla NSA, cosa che sicuramente potrebbe scuotere l’opinione pubblica europea molto più di quella americana che – forse in base al principio della coscienza pulita, forse per rassegnazione – non si ritiene affatto impensierita dalle intercettazioni antiterrorismo.

 

Secondo un sondaggio ‘a caldo’ effettuato dal Washington Post e ABC, il 63% degli intervistati si è detto favorevole alla strategia preventiva adottata dall’amministrazione Bush. Solo il 35% la ritiene un’inaccettabile violazione della privacy.

Questo anche se ci si sta già organizzando per le prime causa collettive.

 

Il punto, sottolinea proprio il quotidiano, è che forse ormai le persone sono troppo abituate alla ‘collezione’ dei loro dati da parte dei soggetti più vari – le compagnie telefoniche conoscono ogni numero che digitiamo, i supermercati filmano ogni prodotto che acquistiamo, i motori di ricerca registrano ogni sito che navighiamo, le banche sanno di ogni centesimo che depositiamo o preleviamo – che molti non trovano niente da ridire se a collezionare i dati è proprio il governo, soprattutto se lo fa per combattere il terrorismo.

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