ICT: più collaborazione tra pubblico e privato e maggiore attenzione alla formazione per il rilancio del mercato italiano

di Alessandra Talarico |

Italia


ICT

Si è concluso ieri a Roma l’Innovation Forum 2006 organizzato da IDC, Italia Lavoro e Innovazione Italia, che ha riunito industria e istituzioni per fare il punto sull’attuale scenario economico e sociale, sulle sfide e le opportunità di crescita per il rilancio del Sistema Paese, e sul sistema dell’innovazione nelle Regioni Meridionali.

 

I protagonisti del settore – tra cui IBM, HP, Oracle, Microsoft, Telecom Italia, Reply, Intel, Cefriel (Cefriel.it) – e i rappresentati della pubblica amministrazione locale e nazionale, sono tutti d’accordo sul fatto che l’Italia può agganciare il boom mondiale dell’ICT.

 

Attualmente, secondo IDC, l’Italia è al 12° in Europa nello sviluppo delle nuove tecnologie: il deficit competitivo è segnalato dal basso livello della spesa per l’Information Technology sul Pil, l’1,99% contro il 3% circa di Francia e Germania.

Per invertire questa tendenza è emersa l’urgente necessità di aumentare gli investimenti pubblici e privati, favorire l’aggregazione tra aziende, creare un sistema di regole più snello, diminuire il peso fiscale sul settore e innovare i processi e non soltanto i prodotti.

 

Proprio per questo, il Forum ha voluto essere occasione per stimolare aziende e istituzioni a creare “un networking pre-competitivo che coinvolge le principali aziende ICT italiane, e smuova il mercato da una situazione stagnante identificando progetti concreti e impegnandosi a realizzarli”, ha dichiarato Roberto Masiero, Presidente, IDC EMEA & WW Conferences.

“La priorità – ha aggiunto Masiero – è quella di trasformare le aziende attraverso l’innovazione. Questa necessità è divenuta ancora più urgente dopo l’irruzione sul mercato delle economie asiatiche, caratterizzate da una crescita del PIL decisamente superiore rispetto alle economie mature (Cina: 9,2%, India: 8,1% e Russia: 6% versus USA: 3,2%, Europa Occidentale: 2,1% e Giappone:  2,3%), da una riduzione progressiva del digital divide, da una popolazione giovane molto più ampia, da massicci investimenti in formazione universitaria e da un gap incolmabile in termini di costi del lavoro”.

 

L’innovazione è soprattutto un “fenomeno sociale” – ha ricordato Andrea Pontremoli, presidente di IBM – “E’ perciò necessario puntare sulla formazione”.

Un concetto ripreso anche da Mario Rizzante, presidente di Reply, secondo cui “le aziende italiane devono avere il coraggio di vendere all’estero, di unirsi e fare gruppo ma lo Stato deve collaborare riducendo le tasse nel settore” e dal governatore della Sardegna Renato Soru che ha sottolineato che “l’Italia ha bisogno di moltiplicare per tre il numero dei suoi laureati per competere non solo con i paesi europei più avanzati, ma anche con ‘new entries’ nella Ue – e fra i beneficiari degli aiuti comunitari dell’ Obiettivo 1 – come l’Estonia”.

 

“Abbiamo 10 laureati su 100 occupati – ha rilevato Soru, partecipando in videoconferenza al confronto con i colleghi Riccardo Illy e Roberto Formigoni, moderato dall’ economista Giacomo Vaciago – contro i 30 della Gran Bretagna. E se il Mezzogiorno ha dati ancora più bassi, è l’intero paese che si deve confrontare con l’Europa”.

 

Secondo i dati della ricerca IDC sul Sistema dell’Innovazione nelle Regioni Meridionali, ci sono al sud segni di vitalità e una significativa presenza di aziende realmente innovativi: il 40% del campione investe in ricerca e sviluppo, il 40% ha fatto innovazioni di prodotto nell’ultimo anno, il 25% innovazioni di processo, e ben il 54% innovazioni di organizzazione e management.

Le aziende innovative che investono al sud possono contare su punti di forza quali la presenza di una percentuale di laureati in materie scientifiche che in talune regioni è superiore alla media nazionale, ma sussistono lo stesso grossi problemi, legati all’inefficienza del sistema di technology transfer dal mondo dell’Università e della ricerca all’impresa e difficoltà di reperimento di personale qualificato.

“Può il Mezzogiorno diventare  la nostra India?”, chiede provocatoriamente Masiero, il quale però sottolinea che, perché questo avvenga, c’è sicuramente il bisogno di una fiscalità di vantaggio e dell’individuazione dei costi nascosti  nel modello dell’offshoring.

 

Innovazione significa però investire sui sistemi di produzione e non soltanto sul prodotto o sul capitale umano, come ha ricordato Augusto Abbarchi, amministratore delegato di SAP.

D’accordo con Abbarchi Alfonso Fuggetta, amministratore di Cefriel, secondo cui “i chip e le micro-tecnologie sono ormai presenti anche nei più comuni elettrodomestici, così come nelle automobili e in futuro questa tendenza crescerà e le aziende ICT avranno il compito di supportare lo sviluppo dell’industria tradizionale”.

 

Fortemente impegnata nell’Innovazione anche la Regione Friuli Venezia Giulia di Riccardo Illy, che propone di ridurre l’imposizione fiscale sul reddito di impresa, possibilmente adeguandola a quel 25% di paesi confinanti come l’Austria e la Slovenia.

Illy è entrato anche nel merito della polemica sulla forte concorrenza della Cina in alcuni settori vitali per l’economia italiana, come il tessile: “contro la concorrenza della Cina – ha detto – non servono i dazi suggeriti dal ministro Tremonti, ma occorre favorire la competitività del Paese”.

 

“Tutti i paesi che hanno accettato in maniera ampia la competizione internazionale, come Israele, gli Usa e l’Irlanda, hanno dimostrato di saper crescere più in fretta di altri. Quelli che invece hanno puntato sul protezionismo, nel medio e lungo termine hanno visto l’impoverimento delle popolazioni. Perchè le Imprese non hanno motivo di innovare, e dunque non saranno, nel medio-lungo termine, in grado di garantire lo stesso livello di benessere”, ha concluso Illy.

 

Esiste una stretta correlazione tra innovazione e crescita del PIL. Il posizionamento competitivo dei singoli Paesi rispetto all’indice d’innovazione varia in base a molteplici fattori. L’Italia presenta punti di debolezza, quali i ridotti investimenti in ricerca e sviluppo (particolarmente per quanto riguarda la spesa delle aziende), in formazione ICT e in early-stage venture capital, ma anche punti di forza, come l’alta percentuale di marchi registrati, l’elevata capacità di innovazione di prodotto e l’ampia diffusione di finanziamenti per le imprese, che tuttavia si risolvono spesso in finanziamenti a pioggia, di limitata efficienza.

 

“Per passare dall’innovazione come adattamento a un modello di innovazione come scelta strategica è necessario che essa diventi un obiettivo prioritario dell’azione del governo”, ha concluso Roberto Masiero. “Serve inoltre un riassetto istituzionale attraverso l’identificazione di un soggetto leader per l’innovazione che abbia competenze e risorse adeguate. E’ inoltre fondamentale consolidare la galassia del technology transfer. Tutto ciò presuppone una scelta fondamentale: l’innovazione è la nuova politica industriale”.

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