Google entra nell’informazione finanziaria e archivia lo scontro col Dipartimento di Giustizia

di Alessandra Talarico |

Stati Uniti


Google

Google tenta l’assalto alla finanza sul web. Il motore di Mountain View ha infatti lanciato Google Finance, un sito dedicato interamente al mondo della Borsa e della finanza limitato, al momento ai principali mercati americani (Nasdaq, Dow Jones, NYSE).

 

Una scelta strategica che punta a invadere un settore fin qui dominato da Yahoo Finance e Msn Money e AOL Finance che contano, rispettivamente, 31,4 milioni, 21 milioni e 14,3 milioni di visitatori unici al mese.

Google Finance, che si avvarrà delle notizie di fonti come Hoover e Msn Money, consentirà di effettuare la ricerca sul titolo partendo sia dal nome che dal simbolo di listino e di ottenere simultaneamente oltre alla quotazione, anche notizie di vario genere inerenti all’azienda e informazioni biografiche sul management.

 

Nonostante l’affollamento nel settore dell’informazione finanziaria, Marissa Mayer – Vicepresidente, Prodotti di ricerca di Google – si dice convinta che il minisito finanziario “cambierà il volto dei siti dedicati alla finanza”.

 

Google Finance, al momento, presenta una pagina molto scarna e priva di pubblicità, ma probabilmente l’assenza di spot durerà molto poco.

 

Alcuni giorni fa, la società fondata da Sergey Brin e Larry Page ha ottenuto quella che si potrebbe definire una vittoria parziale sul Dipartimento di giustizia in merito alla richiesta di fornire i dati relativi alle ricerche degli utenti.

 

Google, infatti, dovrà fornire al governo soltanto 50 mila url e 5 mila parole chiave, informazioni decisamente molto più limitate rispetto alle richieste del Dipartimento di Giustizia che pretendeva informazioni dettagliate sulle ricerche effettuate attraverso il motore di ricerca dal 1° giugno al 31 luglio dello scorso anno, oltre a un elenco dei siti più richiesti più frequentemente.

 

Nella sua decisione, il giudice ha dichiarato di aver tenuto conto di tre punti importanti: l’interesse nazionale (la necessità di lottare contro la pedo-pornografia), le preoccupazioni per la privacy degli utenti e gli interessi economici della società, che vuole mantenere segreti gli algoritmi di ricerca.

 

Altri motori di ricerca, incluso Microsoft, Yahoo! e AOL, avevano già soddisfatto la richiesta dell’Autorità. Quando Google si è rifiutato, il Dipartimento ha citato la società in giudizio chiedendole la trasmissione immediata dei file.

 

Il Dipartimento di Giustizia aveva richiesto questi dati per valutare l’efficacia delle normative e delle tecnologie di filtro adottate per impedire l’accesso dei minori a materiali pornografici, ma per Google il caso avrebbe costituito un pericoloso precedente e permetterebbe al governo di pretendere altri dati sensibili senza le adeguate motivazioni.  

 

Secondo il professor Philip B. Stark, docente di statistica dell’Università di Berkeley, oltre un quarto delle ricerche effettuate su Internet sono per la pornografia.

 

I dati forniti da Google e dagli altri motori serviranno per analizzare gli url e catalogare i contenuti.

 

Google si era rifiutata di fornire i dati affermando che si trattava di un compito troppo impegnativo e costoso, ma dato il rimborso economico per i costi sostenuti, la società ha dovuto ritirare le motivazioni tecniche, mantenendo tuttavia la convinzione che la preoccupazione per la circolazione in Rete di contenuti inadatti a un pubblico minorenne, “non rende la richiesta del governo accettabile o rilevante ai fini della prevenzione, in quanto i dati richiesti non dicono assolutamente niente circa l’efficacia dei filtri o delle leggi”.

 

Secondo Google, inoltre le ricerche via web dovrebbero essere coperte dagli alti standard di protezione garantiti per le email personali dall’Electronic Communications Privacy Act. In questo caso, il governo dovrebbe chiedere l’ordinanza di un tribunale o avvertire ogni singolo utente che le sue informazioni personali sono state rintracciate.

 

Uno dei legali di Google, Nicole Wong, ha spiegato che la sentenza rappresenta una “chiara vittoria per gli utenti e per la società…Saremo sempre soggetti alle richieste del governo, ma è rassicurante che il giudice abbia inviato un chiaro messaggio sulla privacy. Ciò che la sentenza indica chiaramente è che né il governo, né nessun altro ha carta bianca quando si tratta di richiedere i dati delle compagnie Internet”.

 

Il compromesso, certo, non impedirà al governo di introdursi nella privacy degli utenti, ma lo scopo di Google è stato in parte raggiunto, soprattutto perché la sua ostinazione pone la società in una posizione migliore rispetto ai rivali che hanno acconsentito alle richieste del governo senza battere ciglio.

 

La protezione dei minori è un obiettivo sacrosanto che va perseguito con il massimo delle forze, ma fa rabbrividire il fatto che si cerchi di ottenere informazioni personali degli utenti senza ben chiarire a cosa servano.

 

Se Google non avesse resistito alle pressioni del governo l’opinione pubblica avrebbe mai appreso di questa richiesta?

 

Anche Gartner boccia i metodi dell’Amministrazione, definiti quanto meno ‘strani’ dal momento che le stesse informazioni potrebbero essere reperite commissionando una ricerca a una società specializzata come comScore o NetRatings.

 

Nel frattempo, un giudice della Corte distrettuale della Pennsylvanya ha scagionato Google dalle accuse che erano state mosse da Gordon Roy Parker nel 2004 dopo che il motore di ricerca aveva reso disponibile ai propri utenti alcuni capitoli dei libri scritti da Parker e pubblicati all’interno di alcuni forum online.

 

Il giudice tuttavia ha respinto le accuse secondo cui la società avrebbe violato le regole del diritto d’autore, sostenendo che il libro era già presente in rete e il suo utilizzo da parte di Google era stato determinato da un sistema automatico di ricerca online.

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