Linda Lanzillotta: ‘Più forza alla ricerca, tutela della concorrenza e sgravi fiscali alle imprese’. Ecco cosa farebbe la Margherita per l’ICT nei primi 100 giorni di governo

di di Raffaele Barberio |

L’opinione di Linda Lanzillotta sulle strategie di sviluppo per il settore IT in Italia e sul Rapporto Italia Digitale 2010, redatto dall’Advisory Board di Key4biz 

Italia


Linda Lanzillotta

Key4biz ha intervistato Linda Lanzillotta, Responsabile nazionale per l’Innovazione tecnologica della Margherita. In questa veste, le abbiamo chiesto alcune valutazioni sull’attuale posizionamento internazionale dell’Italia sul piano delle applicazioni IT per il cittadino e le imprese e, come candidata al collegio Lombardia 2, il suo personale impegno sui medesimi temi.

Cosa fare per dare all’Italia una condizione di eccellenza del proprio modello sociale? E quanto può pesare l’Information Technology? Il rischio di stallo nel mercato IT è un problema di scelte dall’alto o di consapevolezza dal basso? La riformulazione dell’Agenda di Lisbona per il rilancio della competitività europea nel mondo è una battaglia sostenibile o vanno rivisti tempi e obiettivi? In questo scenario, quali i punti chiave del programma del suo schieramento nell’ambito dell’innovazione, della ricerca e della costruzione della Società dell’Informazione?

D. Lei è Responsabile nazionale per l’Innovazione tecnologica della Margherita, come valuta l’attuale posizionamento internazionale dell’Italia sul piano delle applicazioni di IT per il cittadino e le imprese?

 

R. Malissimo, e purtroppo non è una sensazione soggettiva. La Commissione europea elabora annualmente un indice dell’Innovazione, in base al quale siamo al di sotto della media, sia che si guardi all’indice medio dell’Europa a 15 che a quello, più basso, dell’Europa a 25. E il nostro ritardo nella diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione è alla radice di tutti i nostri mali attuali: giacché la diffusione dell’It, espandendosi a tutti i settori produttivi (anche quelli tradizionali) e a tutta la pubblica amministrazione potrebbe determinare l’aumento di produttività del quale il paese ha bisogno. I
nvece, essendo molte delle nostre imprese rimaste indietro rispetto all’It – nei prodotti, nei processi, nell’organizzazione e nella logistica – ed essendo rimasto al palo anche il settore pubblico, abbiamo i problemi di sviluppo e competitività noti: siamo al 47° posto nella classifica della competitività del World Economic Forum, cioè dietro tutti i paesi dell’Europa a 15 e appena sopra il Botswana. E la produttività media del lavoro dal ’95 al 2004 è cresciuta solo del 6,4%, mentre in Francia e Germania cresceva dell’11-12%.

 

D. Ha più volte affermato che “Italia è oppressa da una cappa di immobilismo”. Cosa intende dire? Si riferisce al settore dell’Information Technology? E’ un problema di scelte dall’alto o un problema di consapevolezza dal basso?

 

R. Mi riferisco all’It ma non solo. Tanti sono i fattori che frenano lo sviluppo e l’innovazione, dunque impediscono lo sguardo verso il futuro. Per le imprese, una dimensione aziendale spesso troppo piccola, un modello familiare che ha fatto le fortune di molte zone ma adesso segna il passo, un circuito finanziario e creditizio non virtuoso.
Per i servizi, le professioni, la ricerca, la “cappa” è data da retaggi del passato durissimi a morire: le barriere all’ingresso, per cui chi è dentro lucra rendite di posizione senza darsi da fare e chi è fuori non può mettere a frutto il proprio talento; la mancanza di concorrenza in settori ancora molto estesi dei servizi; il sistema dell’istruzione che non valorizza i talenti né seleziona le eccellenze; fino all’università e alla ricerca, che soffrono certo di scarsità di finanziamenti ma anche di eccessive chiusure nelle proprie torri d’avorio. Tra un sistema che finanzia le università solo in base al numero di iscritti e uno che premia gli studi e le ricerche pubblicate sulle riviste internazionalmente riconosciute, preferisco nettamente il secondo.

 

D. Nel suo blog (www.lindalanzillotta.it) troviamo un’affermazione decisa e suggestiva: “Cambiare, senza paura. Farsi venire il gusto di innovare”. Cosa vuol dire “cambiare senza paura” e come “farsi venire il gusto di innovare”?

 

R. Per gli imprenditori, vuol dire uscire dalla tutela, evitare di rifugiarsi nei settori protetti, rinunciare alle nostalgie – come quelle per le svalutazioni e per il protezionismo – infine rischiare innovando. Ma non sarebbe giusto limitarsi a chiedere solo alle imprese di affrontare i rischi: il gusto dell’innovazione deve pervadere anche la politica e le politiche.
La politica: stiamo partecipando al processo di costruzione di un nuovo partito il cui nucleo debutterà già nella prossima camera dei deputati con la costituzione dei gruppi parlamentari dell’Ulivo. Vi assicuro che non è semplice, per un partito, spogliarsi della propria vecchia veste e iniziare una vita nuova: non è semplice, ma può essere entusiasmante.
Le politiche: qui il gusto dell’innovazione sta nei contenuti concreti che diamo alla parola “riformismo”, dalla politica economica a quella sociale, dalla scuola alla ricerca. Il Welfare State, dalla cui tradizione veniamo, va ripensato e aggiornato all’anno 2006, anzi 2010.

 

D. Nel convegno a Venezia “Quali modelli sociali per l’Europa?” promosso da Glocus, associazione di cui Lei è presidente, Tony Giddens ha preso ad esempio diversi Paesi per i modelli di welfare adottati (la Danimarca per il tasso di occupazione, la Francia per il servizio sanitario ecc.), Paesi tra i quali non ritroviamo l’Italia, segno che il nostro Paese non ha elementi particolari da vantare come modelli. Cosa fare, per dare all’Italia una condizione di eccellenza del proprio modello sociale? E quanto può pesare l’Information Technology?

 

R. Purtroppo il modello italiano in sé ha più difetti che glorie: pochi servizi “in natura”, come quelli che renderebbero più facile la vita delle donne che lavorano; pochi interventi specifici per gli anziani, pur essendo il nostro uno dei paesi più vecchi d’Europa; poca o scarsa copertura per chi resta fuori dal lavoro protetto e garantito – cioè quasi la metà dei nuovi lavoratori; e soprattutto poche risorse e troppe spese. Ma ha anche al suo interno tante risorse e competenze per affrontare un radicale cambiamento, che tenga conto del nuovo assetto del mercato del lavoro, delle condizioni di precarietà (che si possono comunque ridurre con le adeguate politiche del lavoro) e di flessibilità (che invece credo dovremmo assumere come un dato ormai acquisito), e che punti molto di più sulla formazione, sul capitale umano.
In tutto ciò, l’eGovernment (promesso e non attuato dal governo uscente) potrebbe avere un ruolo decisivo, sia per aumentare l’efficienza riducendo le spese della pubblica amministrazione, sia per avvicinare lo stato ai cittadini, sia per conoscere meglio le reali loro esigenze e graduare così le politiche.

 

D. Sarà candidata alla Camera nella lista dell’Ulivo alle prossime elezioni, Collegio Lombardia 2, quali sono i punti chiave della sua proposta ed il programma del suo schieramento nell’ambito dell’innovazione, della ricerca, della diffusione sociale?

 

R. I punti principali del mio programma sono la logica conseguenza dell’approccio appena descritto. In sintesi: l’eliminazione del digital divide nel paese, tramite gli incentivi alla diffusione della banda larga fino alla copertura di tutto il territorio nazionale; la vigilanza sulle regole, perché il libero gioco della concorrenza faccia scendere i prezzi aumentando la qualità e l’offerta dei servizi; gli incentivi e gli aiuti per l’accesso degli studenti alla banda larga; il raddoppio degli stanziamenti pubblici della ricerca e gli incentivi fiscali (dallo sgravio Irap alla defiscalizzazione delle assunzioni dei ricercatori) per l’aumento delle spese private per R&S; l’allineamento degli stipendi dei nostri ricercatori a quelli europei; la partecipazione italiana al motore di ricerca europeo; nuove regole di tutela della proprietà intellettuale, che non siano escludenti ma che diano corpo a un nuovo diritto d’autore.

 

D. In particolare, quali sono le direzioni da intraprendere nella Pubblica Amministrazione?

 

R. Dal punto di vista organizzativo, la proposta della Margherita è molto chiara. Non serve, a nostro avviso, un ministero per l’innovazione. I fallimenti di quello guidato da Lucio Stanca sono sotto gli occhi di tutti, e sono simboleggiati con evidenza dal flop della carta d’identità elettronica. L’innovazione tecnologica nelle amministrazioni pubbliche deve essere strettamente collegata all’innovazione organizzativa e di processo. Altrimenti non si produce cambiamento in termini di efficienza e di qualità del sistema pubblico. Dunque Il MIT va nuovamente aggregato con la Funzione pubblica. Ma se concepiamo l’innovazione come una serie di politiche che riguardano il sistema nel suo complesso serva allora una figura di direzione e coordinamento delle politiche dell’Innovazione, una cabina di regia che orienti con la propria azione anche l’azione delle altre amministrazioni.
Un Mr Lisbona, l’abbiamo chiamato: immaginiamo due alternative. O un Ministro per la ricerca, l’innovazione, il trasferimento tecnologico e il coordinamento delle politiche di Lisbona, cioè un MIUR che perda le competenze in materia di istruzione ma ne assorba altre oggi sparse qua e là, ovvero un Ministro della Presidenza del Consiglio con forti deleghe di coordinamento e di filtro nei confronti degli altri Dicasteri, un proprio budget per progetti speciali e un forte e strettissimo coordinamento con il Primo Ministro che ne dovrebbe legittimare e rafforzare il ruolo e l’azione.

 

D. In caso di vittoria elettorale, quali saranno le prime azioni del governo dell’Ulivo nell’ambito dell’innovazione e quale il suo impegno personale?

 

R. Noi abbiamo preparato e diffuso un Masterplan dei primi 100 giorni, disponibile sul mio blog e sul sito della Margherita. Oltre all’impostazione già citata della governance, le prime mosse dovrebbero mettere in campo gli incentivi e gli stanziamenti per le reti, il riavvio immediato del progetto della carta d’identità elettronica, l’aumento dei fondi per la ricerca e le nuove regole sulla loro distribuzione, l’avvio di un progetto di incentivo e indirizzo dei giovani verso gli studi tecnologici e scientifici.

 

D. Da mesi si parla di riformulazione dell’Agenda di Lisbona, di competitività europea nel mondo, di rilancio dell’economia della UE. E’ una battaglia che si può ancora fare o vanno cambiati tempi ed obiettivi?

 

R. Ogni discussione e approfondimento in sede europea è benvenuto, ma la battaglia di Lisbona si può ancora fare, anzi direi di più: per l’Italia è tutta da cominciare. Lo dico in particolare su un tema che mi sta a cuore, quello dell’occupazione femminile. Oltre ad avere il tasso di occupazione generale più lontano dagli obiettivi di Lisbona – rispetto ai nostri partners europei – abbiamo anche un tasso bassissimo di occupazione femminile. Non solo, i segnali che vengono dai dati statistici parlano di un’uscita di giovani donne dalle “forze di lavoro”, dunque dalla ricerca attiva del lavoro.
E’ una tendenza che dobbiamo contrastare energicamente, e le politiche per l’innovazione, le aperture dei mercati, delle professioni, dei servizi possono aiutarci nel raggiungere l’obiettivo. Insieme a politiche pubbliche e sociali che guardino al futuro e non al passato.

 

D. Qualche giorno fa Key4biz ha diffuso l’Executive Summary del Rapporto Italia Digitale 2010, redatto dall’Advisory Board, che sarà discusso pubblicamente a fine aprile. A quali dei punti espressi nel documento darebbe priorità?

 

R. Mi pare che il Rapporto confermi le difficoltà che ho sin qui sottolineato ed evidenzino da una parte l’assenza di un progetto Paese per la diffusione delle tecnologie digitali e dall’altra la crisi in cui versa la nostra industria del software. Una crisi aggravata dai tagli selvaggi della manovra finanziaria 2006 che ha ridotto del 30% le spese ICT delle amministrazioni statali e dall’assenza di una regia nei confronti delle Regioni e degli enti locali. E’ sorprendente vedere come un Ministro che viene da una delle grandi multinazionali dell’informatica non si sia occupato di costruire una politica per questo settore.
Del fantomatico polo italiano dell’informatica non si è più sentito parlare, non vi è stata una domanda pubblica capace di essere volano della ricerca, dello sviluppo e dell’internazionalizzazione di questo settore con l’impostazione di grandi programmi pubblici di modernizzazione: è quello che invece noi prevediamo di fare in alcuni grandi settori dell’amministrazione e dell’economia: sanità, giustizia, turismo, beni culturali; infine è mancata una politica per la ristrutturazione del nostro sistema produttivo che vuol dire inserire software nel tradizionale Made in Italy e nel settore dei servizi. In altre parole non vi è stata visione né progettualità.
Il nostro approccio sarà diverso: dare una prospettiva, delle linee strategiche, all’interno delle quali gli attori pubblici e privati possano orientarsi, essere creativi, crescere facendo ciascuno la propria parte.

 
Mi conforta riscontrare che l’Executive Summary del vostro Rapporto Italia Digitale 2010 ricalca in molte parti il Master Plan che la Margherita ha presentato il 31 gennaio scorso. Segno che le cose da fare sono quelle e che è maturata su di esse una condivisone ampia. Peccato che si sia perso tanto tempo in questi anni. Se però il prossimo Governo, che noi riteniamo sarà il governo guidato da Romano Prodi, imboccherà con determinazione la via tracciata nei nostri programmi, credo che saremo ancora in tempo per rilanciare lo sviluppo tecnologico del Paese e, con esso, la sua capacità competitiva.

 

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