Opengate: aggiotaggio e false comunicazioni sociali? Gli ex azionisti chiedono di procedere

di |

Italia


Tribunale di Milano

Mille ex azionisti di Opengate, società di Malnate, distributrice di prodotti informatici, hanno presentato una denuncia al Tribunale di Milano. Promotore dell’iniziativa legale è il Siti, Sindacato Italiano per la Tutela dell’Investimento ed il Risparmio, che ha stimato una perdita di 12 milioni di euro per gli azionisti.

 

Gli ex azionisti di Opengate hanno chiesto alla Procura se ci sono gli estremi per procedere per i reati di aggiotaggio e false comunicazioni sociali, dopo che il pm Roberto Pellicano aveva già avviato e chiuso nel luglio del 2004 un procedimento per insider trading nei confronti dell’ex presidente di Opengate Vittorio Lasagni e degli ex consiglieri Umberto Ronzoni e Bruno Bottini.

 

I tre ex amministratori erano stati accusati di aver ceduto pacchetti di titoli prima di comunicare al mercato le notizie sul cattivo stato della società. In seguito alle indagini è risultato che la vendita delle azioni sarebbe avvenuta in base a tre o quattro informazioni privilegiate nel periodo che va dal febbraio al maggio del 2003 per un profitto complessivo di oltre 200 mila euro.

 

Come è noto il cda della società di Opengate ha presentato, il 29 ottobre 2003, istanza di fallimento al Tribunale di Varese, che a novembre dello stesso anno ha notificato al legale della società la sentenza dichiarativa di fallimento.

 

La società di Malnate aveva presentato istanza di fallimento dopo che l’assemblea straordinaria convocata – per la terza volta consecutiva – non aveva raggiunto il quorum necessario per approvare l’aumento di capitale da 50 milioni di euro, indispensabile per la continuità aziendale. L’assemblea straordinaria non si era costituita per il mancato raggiungimento del quorum costitutivo del 20%. All’assemblea, infatti, era presente solo il 13% del capitale sociale. Dopo la notifica di fallimento Borsa Italiana ha delistato (il 10 dicembre 2003) il titolo del gruppo di distribuzione di prodotti informatici dal listino tecnologico.

 

Alla base del crack di Opengate ci sono le difficoltà finanziarie nate dalle incessanti acquisizioni effettuate dal Gruppo. Opengate, infatti, dopo la quotazione in borsa nel giugno del 1999, avvenuta al prezzo di 34 euro per azione e che gli aveva fruttato 30 milioni di euro, aveva acquistato diverse società che non hanno prodotto i risultati attesi e si è trovata, quindi, a dover far fronte a un forte indebitamento finanziario, che alla fine del 2002 era pari a 250 milioni di euro, e a dover dichiarare fallimento.

 

Fallimento che se da una parte ha travolto in pieno gli azionisti di minoranza, che non avvedutisi dell’imminente tracollo della società arrivano a detenere alla data del fallimento circa il 90% del capitale sociale, dall’altra sembra aver risparmiato gli azionisti storici di controllo (i membri del Consiglio d’Amministrazione), le cui partecipazioni alla data del fallimento (con la sola eccezione del Presidente) essere state integralmente liquidate.