Key4biz

Censura: i colossi del Web disertano il Congresso Usa. Pesanti le critiche, ‘hanno ceduto a Pechino in nome dei profitti’

Mondo


Il Congresso degli Stati Uniti ha fortemente criticato la decisione di Google e di molte altre web company di censurare la versione cinese dei propri motori di ricerca, accusandole di anteporre il profitto al sacrosanto principio della libertà di espressione.

 

Microsoft, Yahoo!, Cisco Systems e Google non si sono presentate all’udienza fissata a Washington e le prime due hanno preferito difendersi a mezzo stampa, sostenendo di non avere il potere di modificare le imposizioni del governo di Pechino e che, comunque, i servizi da loro lanciati “hanno permesso a milioni di cittadini cinesi e di tutto il mondo di accedere a fonti di informazione libere e indipendente”.

 

Nel loro comunicato comune, Yahoo e Microsoft hanno incoraggiato in governo americano ad aprire un dialogo “da governo a governo” con la Cina e tutti quei Paesi in cui “Internet e i suoi contenuti sono trattati in maniera repressiva”.

 

“Dovrebbero vergognarsi”, ha risposto il democratico Tom Lantos, vicepresidente del  Congressional Human Rights Caucus “hanno capitolato al volere di Pechino per salvaguardare i profitti, mentre con la loro influenza e la loro ricchezza avrebbero potuto invece sostenere gli attivisti cinesi dei diritti umani”.

 

Il governo cinese, pur incoraggiando l’uso di Internet come strumento di business, impedisce agli utenti di accedere a informazioni relative a temi ritenuti scomodi, quali la democrazia, i diritti umani, l’indipendenza del Tibet o il movimento religioso del Falun Gong.

 

Chi non rispetta queste imposizioni, rischia il carcere con l’accusa di incitamento alla sovversione.

 

L’ultima in ordine di tempo a cedere alle pressioni di Pechino è stata Google, che invece negli Usa difende strenuamente i diritti di riservatezza e libertà degli internauti ed è stata per questo accusata di sostenere la politica del ‘due pesi due misure’.

 

Il gruppo si è ovviamente difeso ammettendo che la stessa politica di accondiscendenza ai dettami governativi è applicata anche in Europa e negli Stati Uniti, che impongono limitazioni all’accesso a informazioni relative al nazismo e alla pedopornografia.

 

Si tratta, però, di cose ben diverse e richieste da governi non certo repressivi.

 

Oltre a Google, anche Yahoo! accetta dal 2002 di censurare i risultati della versione cinese del suo motore di ricerca, in base a una black list fornita dalle autorità di Pechino. Il gruppo, inoltre, avrebbe ha aiutato la polizia cinese a identificare e un giornalista che criticava il mancato rispetto dei diritti umani nel suo paese, condannato in seguito a 10 anni di prigione.

 

Anche Microsoft censura la versione cinese del suo servizio blog, Msn Space. Parole come ‘democrazia’ e ‘diritti umani’ vengono infatti rifiutate dal sistema. Microsoft avrebbe poi chiuso il blog di un giornalista cinese in seguito alle pressioni subite dal governo di Pechino.

Quanto a Cisco, il gruppo sarebbe il principale fornitore delle tecnologie che abilitano il rigido controllo che la polizia cinese attua sul Web.

 

Carolyn Bartholomew, presidente della US-China Economic and Security Review Commission ha spiegato che “ci sono buone ragioni per credere che la Cina stia cambiando Internet, piuttosto che Internet possa cambiare la Cina”.

 

Le 4 società dovranno presentarsi il prossimo 15 febbraio davanti alla sottocommissione incaricata dei diritti umani.

“Cambiate atteggiamento”, le incita il repubblicano Christopher Smith, sottolineando che sono allo studio nuove disposizioni normative che impongano alle aziende americane  di rispettare la libertà di espressione anche operando in regimi repressivi.

 

La proposta, sebbene non ancora ufficializzata, potrebbe richiedere alle web company di situare i propri server al di fuori della giurisdizione dei paesi che non rispettano i diritti umani, di stilare un codice di condotta condiviso e di creare, all’interno del Dipartimento di Stato, un ‘Internet freedom office’ che coordini le strategie internazionali.

Exit mobile version