Mercato radiotelevisivo europeo, uno Studio di Open Society lancia l’allarme: la concentrazione minaccia il pluralismo

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Un nutrito Rapporto dell’Open Society Institute (OSI) tira le somme sul mercato televisivo europeo, analizzando la realtà di 20 Paesi.

l’OSI è una fondazione sostenuta da George Soros, finanziere, filantropo e filosofo ungherese, che in qualche caso è riuscito a cambiare i destini del mondo, ma non degli Stati Uniti, dove aveva fortemente ed economicamente sostenuto i democratici nell’ultima corsa alla Casa Bianca.

In ben 1.662 pagine, gli autori del Rapporto OSI approfondiscono le tematiche inerenti il settore e dedicano un’ampia e approfondita sezione all’Italia, parte curata dai professori Gianpiero Mazzoleni (Università Statale di Milano) e Giulio Enea Vigevani (Università degli Studi di Milano – Bicocca), che non risparmiano attente valutazioni sulle caratteristiche e le condizioni in cui operano i broadcaster italiani e terminano con 21 raccomandazioni.

l’Italia presenta una situazione abbastanza complessa che viene descritta in modo abbastanza dettagliato.

Il sistema italiano del broadcasting è caratterizzato da una controversa attenzione del mondo politico specialmente verso la Rai, che è sempre rimasta sotto stretto controllo di governi e partiti. La nascita della televisione commerciale alla fine degli anni ’70, in una situazione di de-regulation selvaggia, ha rivoluzionato il sistema dei media e il mercato pubblicitario, ha scatenato nuovi appetiti politici e ha dato modo di rafforzarsi ad un imprenditore, Silvio Berlusconi, che ‘ forte del suo potere mediatico ‘ a metà degli anni ’90 ha dato la scalata al potere politico‘.

Questo anomalo rapporto tra servizio televisivo pubblico e sistema politico riguarda anche altre realtà europee. Per gli autori del Rapporto si tratta di minacce alla ‘democrazia stessa, e possono influenzare negativamente lo sviluppo delle nuove democrazie nell’Europa Centrale e Orientale’.

I ricercatori arrivano addirittura alla conclusione che davanti all’impossibilità di rompere il duopolio e avviare così un maggior pluralismo, ‘il governo di centrodestra punta su un ripiego: lanciare la televisione digitale terrestre, onde aumentare il numero dei canali. Tuttavia, i due attori principali si sono già assicurati una grande quantità di frequenze, continuando così la propria egemonia’.

A questo gli analisti aggiungono che esiste una regolamentazione del settore radiotelevisivo ‘lacunosa, episodica e non sempre in linea con le politiche EU‘.

La presenza di Silvio Berlusconi a capo del governo, sottolineano i ricercatori, ha sollevato forti preoccupazioni per la libertà dei media da parte della comunità internazionale (Parlamento Europeo, il Consiglio d’Europa e altre autorevoli organizzazioni attive a difesa della libertà di informazione) che ha reagito con diffide formali e raccomandazioni varie perché l’Italia risolvesse le anomalie del proprio sistema dei media.

Berlusconi può aver ceduto la direzione del suo impero ad altri – membri della sua famiglia ‘ ma finché rimane l’azionista principale di Fininvest e dunque anche di Mediaset, l’indipendenza delle reazioni giornalistiche nelle sue reti e nelle sue riviste è tutt’altro che assicurata’.

In mezzo a tutto questo marasma cosa rappresenta la Legge Gasparri da tutti salutata come la tanto attesa riforma del sistema radiotelevisivo italiano?

Per gli analisti dell’OSI ‘non ha migliorato lo stato di cose, essendo stata vista come un prodotto del conflitto di interessi, che affligge da tempo il panorama politico italiano’.

Il Rapporto punta il dito anche contro la Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, organo insufficiente a governare il sistema dei media e il mercato della comunicazione e dell’informazione.

In realtà – si legge ‘ le competenze sono frammentate tra una Commissione parlamentare di vigilanza (che ha poteri sulla Rai), il Ministero delle Comunicazioni (che concede le licenze e le autorizzazioni), l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust), e da pochi anni anche le Regioni’.

Da questa quadro viene fuori un mercato italiano strutturalmente legato agli attori e alle stagioni della politica’. Allo stesso tempo, però, il Rapporto assolve in gran parte giornali e riviste, che “grazie a una maggiore pluralità degli attori conservano una relativa autonomia“.

La sezione dedicata all’Italia si conclude con una serie di raccomandazioni. Innanzitutto ‘il governo dovrebbe posticipare il termine per il passaggio definitivo al digitale terrestre, consentendo la trasmissione in analogico per almeno ulteriori cinque o sei anni. Dovrebbe realizzare politiche ‘neutrali’ in relazione ai differenti media, in modo da non penalizzare la televisione via cavo e via satellite, con un trattamento di favore per la televisione digitale‘.

Gli analisti suggeriscono anche di aumentare i poteri sanzionatori in mano all’Agcom e modificare le procedure di nomina dei membri dell’organo, per assicurare una maggiore indipendenza. Ma ancora, procedure trasparenti, non discriminatorie e proporzionate per l’assegnazione delle frequenze.

Per gli autori, Il Parlamento dovrebbe bloccare l’attuale processo di privatizzazione della Rai, che appare irrealistico dal punto di vista economico (poiché la legge Gasparri stabilisce che un azionista non può possedere più per dell’uno per cento delle azioni della Rai) e contrario alla Costituzione (poiché stabilisce una privatizzazione totale del servizio pubblico)’.

Dovrebbe, inoltre, ‘prendere iniziative per rendere il servizio pubblico radiotelevisivo offerto dalla ‘nuova Rai’ un servizio pubblico indipendente (non-governativo), con la forma societaria della fondazione, sul modello della British Broadcasting Corporation (BBC). La parte commerciale della Rai dovrebbe essere privatizzata e posta sul mercato, senza vincoli’.

Secondo i due professori, Mazzoleni e Vigevani il Parlamento dovrebbe intraprendere le iniziative necessarie per risolvere la ‘anomalia italiana‘, rompendo il monopolio di Mediaset sulla televisione privata prima del passaggio definitivo al digitale. Modificare la legge Gasparri, dando seriamente applicazione alla sentenza della Corte costituzionale ‘ che prevede il limite del 20% per operatore privato in analogico, per garantire una effettiva pluralità di fonti informative ai cittadini- – prima del passaggio al digitale. Modificare le norme della legge Gasparri che definiscono il sistema integrato della comunicazione (SIC), stabilendo una chiara separazione dei differenti mercati in inclusi nel SIC e introducendo nuove norme che prevedano chiare soglie per individuare una posizione dominante, al fine di proteggere la concorrenza e il pluralismo. Il Parlamento dovrebbe altresì adottare una normativa che imponga dei tetti alle entrate pubblicitarie che un’emittente può raccogliere.

Il governo dalla sua dovrebbe promuovere la diversità nella radiotelevisione, aiutando con incentivi per investimenti coloro che vogliano entrare nel mercato.

Last but not least, la legge sul conflitto di interessi, che secondo gli autori ‘deve essere modificata prevedendo l’incompatibilità tra cariche elettive e di governo ed il controllo di mezzi di comunicazione di massa‘.

Anche se gli stessi professori sottolineano: Tuttavia, dubitiamo che questa lista di raccomandazioni possa produrre un qualche risultato positivo. Le autorevoli critiche provenienti dall’interno e dall’esterno non hanno prodotto alcuna reale modifica in melius nel sistema dei media in Italia‘. Come dire, non c’è proprio speranza!

Ma a quanto pare la situazione che emerge dal Rapporto non è molto diversa per il resto d’Europa, dove in alcuni Pesi le minacce al pluralismo e all’indipendenza editoriale sono fortemente presenti.

Lo sviluppo della televisione commerciale ha portato‘ a una forte concentrazione in Europa, che conta 4.000 canali e dove 9 case su 10 hanno almeno un televisore.

l’Analisi mette in luce che negli ultimi 10 anni le televisioni private sono finite ‘nelle mani di alcuni grandi player‘, mentre la maggior parte dell’audience nazionale (fino all’80% in Bulgaria, Croazia e Repubblica Ceca) ‘si concentra su un numero limitato di canali, in generale non più di tre‘.

Dal debutto delle televisioni commerciali, metà degli anni ’80, Vivendi Universal e BertelsmannRTL sono diventati i due più grossi gruppi del mercato radiotelevisivo europeo.

In Francia TF1 controlla un terzo dell’audience nazionale’, spiega Thierry Vedel, che ha curato la sezione del Rapporto dedicata a questo Paese.

I politici sembrano soddisfatti di questa situazione, mentre bisognerebbe fare di tutto per preservare l’equilibrio tra pubblico e privato, garantendo la diversità’. Situazione preoccupante ma non quanto quella dell’Europa centro-orientale. Bertelsmann-RTL si piazza tra i più grandi operatori regionali. Altri giganti: il gruppo americano Company Central European Media Entreprises (CME), che sfiora gli 80 milioni di telespettatori attraverso un network di 9 canali, in Slovacchia, Romania, Slovenia, Polonia e Ucraina. Ma c’è anche la svedese Modern Times Group (MTG), che opera in Ungheria e prossimamente anche nella Repubblica Ceca; la News Corporation di Rupert Murdoch (che possiede il più grande canale bulgaro) e il gruppo europeo SBS Broadcasting, presente sul mercato ungherese ma che molto presto arriverà a trasmettere anche in Romania.

Secondo il Rapporto nell’ultimo decennio, investimenti, acquisizioni e fusioni sono avvenuti in modo poco chiaro, lo dimostra il fatto che alcuni gruppi sono simulati dietro società off-shore. Molto spesso la concentrazione non riguarda solo il mercato televisivo ma si estende ad altri media, come in Slovacchia dove il magnate locale Ivan Kmotrik controlla quote in tre canali televisivi e nella più grande catena di distribuzione dei giornali del Paese.

In diversi Paesi ex comunisti, il panorama radiotelevisivo è caratterizzato da una ‘trasformazione caotica‘ legata alla mancanza di una politica chiara e di regole certe nelle quali operare. Ne è un chiaro esempio la Polonia, dove all’inizio degli anni ’90 operavano ben 57 broadcaster illegali.

Per leggere e scaricare il Summary, la Overview, la sezione dedicata allo scenario italiano e la versione integrale del Rapporto Television across Europe: regulation, policy and independence (Open Society Institute, Ottobre 2005) articolato in tre volumi, consulta i seguenti link: