Vivendi Universal/Messier: l¿imperdonabile ¿eccezione¿ dell¿ex n°2 mondiale della comunicazione

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Europa



di Vanna Araldi


(1a parte) – Non si pu&#242 far altro che fare fagotto e battere in ritirata, quando si rischia di non salvare nemmeno i mobili, ma ogni Napoleone ha la sua Waterloo e quelle del XXI° secolo sembrerebbero portare – sempre pi&#249 spesso – autorevoli patron d¿industria, dietro sbarre di ferro che costringono a restituire i galloni conquistati sul campo.

L¿estate 2002 aveva rispolverato la ghigliottina per sbarazzarsi del pi&#249 megalomane dei dirigenti; l¿¿enfant prodige¿ che aveva giocato con un ninnolo capace di affondare, tanto le nutrite ambizioni personali, quanto il salvadanaio del Gruppo di riferimento.

Con l¿aria da eterno fanciullo, rilassato e sorridente, Monsieur J2M era riuscito ad impadronirsi della manna Vivendi Universal con la voracit&#224 di un autentico predatore, mancando – fatalmente – di constatare che il suo persistente appetito bulimico lo avrebbe posto al comando di un conglomerato gigante, entro il quale il matrimonio tra ¿contenuto¿ e ¿contenitore¿ avrebbe avuto enormi difficolt&#224 a consumarsi.

Ci&#242 che scaturisce da rilevanti operazioni di fusione o da astute manovre di acquisizione esige una cultura e delle attenzioni, del tutto specifiche e particolari: un¿abile gestione e strategie piuttosto equilibrate. Talvolta, esistono sinergie che pochi hanno il merito d¿intravedere; pi&#249 spesso, si individuano coerenze che non esistono affatto.

Il fine – dichiarato con (s)confortante convincimento – di concorrere ad edificare un Gruppo francese di comunicazione, di dimensione planetaria, aveva indotto Jean-Marie Messier a sostituire i sempiterni obiettivi, dell¿efficienza e della redditivit&#224, con quelli, pi&#249 giovani ed ormonali, di un¿avida crescita esogena e della presenza su scala mondiale.

Acquisendo di tutto un po¿ – alla stregua di certe casalinghe che al supermercato non sanno proprio resistere al prurito della tentazione all¿acquisto – egli aveva messo assieme un portafoglio alquanto disomogeneo che non avrebbe potuto che fare acqua da tutte le parti. Ben saldo alle leve di comando, il ¿french boss¿ Messier aveva dato vita ad un insieme ibrido, mastodontico e malsano che aveva costretto ad un imbarazzante yo-yo le quotazioni borsistiche di VU, dopo aver registrato perdite record ed un indebitamento considerevole.

Facile sbagliare essendo volutamente incauti, ma le attese di questo patron-star che &#232 stato Messier, rasentavano il dogma di fede.

Non sarebbe stato necessario vantare una lunga navigazione negli affari, per realizzare che la strategia di sviluppo europeo del Gruppo, posta in essere per ingenuit&#224 od arroganza, anzich&#233 disinnescare una bomba gi&#224 pronta ad esplodere, ne avrebbe acceso la miccia: tutti gli italiani sanno, oramai, che quella miccia si chiamava Tele+ (vedi scheda).

Dopo aver subito il terzo grado dal gotha della finanza e prima di essere abbandonato ¿in aperta campagna¿ dal pianeta borsistico e dai pubblici poteri – a seguito del crac della new economy – Messier non era riuscito, nel corso degli anni, n&#233 a correggere la rotta, n&#233 a ridurre la frattura esistente tra Vivendi-Universal e la sua filiale criptata.

La piattaforma satellitare italiana, di cui Canal Plus era l¿operatore e che rappresentava solo il 10% della fetta di abbonati, su scala europea, si era posta all¿origine di un focolaio di perdite cash, a dir poco abissali.

Il rischio &#232 quello di rimanerne ancor oggi sconcertati: un deal che avrebbe dovuto garantire ampi margini di profitto – sostenuto da una curva di nuove adesioni, in grado di smentire ogni timida previsione, dato il suo vigore – si era reso responsabile della sciocchezza dei due terzi delle perdite. Le cause non sono affatto sconosciute.

Il senno di poi non difetta a nessuno, ma certi spropositi avrebbero fatto guadagnare un grande berretto d¿asino a chiunque!

&#200 possibile che J2M e i suoi luogotenenti abbiano confuso l¿accessorio con l¿essenziale, nel disegno della loro strategia di crescita e che il desiderio di riuscire, negli intenti manifestati, abbia impedito loro di subodorare il fiasco; ma una percentuale equivalente al 70% delle perdite annuali, avrebbe – forse – dovuto consigliare di stoppare, in tempo, questo autentico sperpero. La scelta di non sbarazzarsi dell¿¿affaire Tele+¿, perch&#233 nulla sarebbe stato mai abbastanza per fare di Canal il leader europeo della televisione numerica, ha dimostrato che, ben installata ai posti di comando, vi era una brigata di (dis?)onesti incompetenti, con tanta voglia di ¿farsi spennare¿ e di precipitare lo stato di salute del Gruppo.

Partendo dalla venerabile Lyonnaise des Eaux – prima di produrre uno snaturamento irreparabile e, probabilmente, un annientamento irreversibile del suo progetto di grandeur – Messier era riuscito, in qualche modo, a salire sul treno diretto verso la riorganizzazione del ¿capitalismo dell¿informazione¿, che gi&#224 aveva generato il gigante AOL-Time Warner.

Con la pretesa di riorganizzare «les industries de l¿esprit» (la definizione – tratta dal quotidiano l¿Humanit&#233 del 27 febbraio 2002 – &#232 dell¿insigne prof. Pierre Musso, autore dell¿articolo: ¿Le «signe» Messier¿); grazie al credibile, lusingante e patriottico pretesto di competere con le grandi realt&#224 nord americane, al taumaturga Jean-Marie Messier era riuscito di piantare il tricolore francese a Hollywood. Una sorta di rivincita dei «Fromages qui puent» – come vengono sprezzantemente chiamati i cugini d¿Oltralpe, al di l&#224 dell¿Atlantico – di fronte alle «World Companies» statunitensi.

La difesa, poi, di una certa «eccezione culturale» – gi&#224 definita in occasione dei negoziati dell¿Uruguay Round intrapresi nel 1986, nell¿allora GATT – chiedeva di parteggiare per il fine Messier, partito all¿assalto della fortezza hollywoodiana.

Inteso nella sua pi&#249 ampia accezione, il sistema audiovisivo dopo essersi costituito in industria; dopo aver subito la trasformazione dei propri mezzi di informazione e di intrattenimento, in autentici strumenti di mercato, atti a convertire le persone informate ed intrattenute, in buoni consumatori, avrebbe corso il pericolo di diventare – seguendo l¿ancora attuale ed imperante logica del finanziamento delle industrie della cultura – null¿altro se non un insieme di dati veicolati attraverso una molteplicit&#224 di reti.

Nella mappa strategica VU targata Messier voleva esserci un duplice controllo: dei diritti sui prodotti e sulle opere, a monte; degli abbonati, a valle. Sinergie, offerte combinate, e marketing incrociato erano le parole chiave della strategia commerciale del Gruppo.

Facile &#232 stato rifugiarsi nello sdegno, aprire dibattiti e prendere il polso della probabile follia del mittente, allorch&#233, senza false ipocrisie, Messier ha gridato al mondo intero che l¿«eccezione culturale» era morta: alzata la foglia che, da sempre e a ragione, attribuiva all¿industria audiovisiva un¿aura nobile, si &#232 scoperta l¿impudicizia che la resa del tutto simile a qualsiasi altro settore d¿attivit&#224.

&#169 2004 Key4biz

Vivendi Universal/Messier: l¿imperdonabile ¿eccezione¿ dell¿ex n°2 mondiale della comunicazione (2a parte)


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