I produttori Tv (Apt) fuoriescono da Anica. Scaramucce formali e balletto di sigle? No, problemi sostanziali

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Italia



di Angelo Zaccone Teodosi

Presidente

IsICult– Istituto italiano per l”Industria Culturale

La notizia &#232 importante, nella ¿economia¿ del sistema audiovisivo italiano, e ¿ non a caso ¿ il portale Key4biz.it l¿ha ben intercettata, mentre a livello di stampa quotidiana solo ¿Italia Oggi¿ ha rilanciato il 3 marzo l¿informazione (diramata il 2 marzo da alcuni dispacci Ansa ed AdnKronos): luned&#236 1° marzo 2004, l¿Associazione dei Produttori Televisivi Italiani ha deciso di uscire dall¿Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali. A livello di gioco di acronimi: Apt ¿versus¿ Anica.

Ci piace proporre alcune considerazioni, di sostanza e di forma.

Nella sostanza:

– l¿Apt &#232 un¿associazione senza dubbio giovane, essendo stata fondata nel 1994, presieduta in origine da Sergio Silva, gi&#224 dirigente Rcs e Rai, produttore de ¿La Piovra¿. La presidenza &#232 poi passata ad Adriano Ari&#233, Roberto Levi, per poi tornare a Silva ¿ in verit&#224, Silva, dopo il primo mandato biennale era stato gi&#224 riconfermato, nel 1996, ma nel mentre aveva assunto la direzione di Rai Cinemafiction ¿ e, dal novembre 2003, da Carlo Degli Esposti; nel dicembre 2001, l¿Anica (che registrava, a sua volta, in quei mesi, il passaggio di consegne tra Fulvio Lucidano e Gianni Massaro alla presidenza) accoglie l¿Apt nel proprio grembo; dopo due anni, Apt abbandona Anica;

– l¿Anica &#232 senza dubbio l¿associazione ¿storica¿ del cinema italiano, costituita nel 1944, e subito aderente a Confindustria. Ha comunque registrato, nel corso della sua pluridecennale storia, divisioni e lacerazioni interne: per esempio, nel 1984, avviene una scissione ¿da sinistra¿, con la costituzione di un organismo concorrente, l¿Associazione Produttori Distributori Cinematografici Televisivi (Apd); nel 1998, una dozzina di produttori ¿ tra i quali Leo Pescarolo, Massimo Cristaldi, Maurizio Tini, Grazia Volpi, Agnese Fontana – ne fuoriuscirono, denunciando l¿impossibilit&#224 di ¿una corretta dinamica associativa¿¿

In parallelo all¿Anica, esistono ormai anche altre due associazioni: l¿Api e l¿Apc, acronimi che stanno per Autori e Produttori Indipendenti, ed Associazione Produttori Cinematografici¿ Nel corso del 2003, l¿Agis, altra storica associazione dell¿industria dello spettacolo italiano (teatro, enti lirici, musica, circhi¿), che peraltro annovera nel proprio seno anche l¿associazione degli esercenti cinematografici (Anec), ha promosso un ¿coordinamento¿ di associazioni, che ha dato vita alla FederCinema, formato da Api, Fice (Federazione cinema d¿essai) e Acec (associazione degli esercenti cattolici)¿

Nella dialettica associativa del cinema italiano, questi ¿stop & go¿, associazioni & dissociazioni, vocazioni ecumeniche e rivendicazioni individualiste, sono determinati da un insieme di concause: la compresenza, all¿interno dell¿industria del cinema, di interessi talvolta ¿contrapposti¿, dai produttori italiani ai distributori americani (per esempio, per alcuni anni, le stesse ¿major¿ statunitensi si sono addirittura distaccate dall¿Anica, costituendo la Fidam, per poi rientrarvi, nel 1999), da coloro che lavorano soprattutto per il ¿cinema cinema¿ (la prioritaria fruizione ¿theatrical¿) a coloro che producono sia per la sala sia per la tv e l¿home-video¿ A tutto questo, si associano dinamiche politiche, simpatie (ed antipatie) personali, ambizioni e narcisismi, interessi aziendali, interessi di ¿banda¿ ed alleanze imprenditoriali, meccanismi di finanziamento¿ Quest¿ultimo elemento assume particolare importanza: Anica ed Agis godono di sostegni pubblici consistenti, a differenza di altre associazioni come Univideo ed Apt. E ¿l¿economia¿ associativa influenza anche le ¿politiche¿ associative: per esempio, Anica ha un ¿apparato¿ funzionariale che Apt non pu&#242 certamente permettersi.

Chi scrive queste note sta lavorando, da anni, ad un saggio sulla politica culturale e mediale italiana, e queste dinamiche saranno oggetto di analisi approfondite, finora del tutto trascurate dalla ricerca storica, industriale e culturalogica. Osservati dall¿esterno, i fatti sono spesso confusi, intrecciati, difficili da districare: se il fenomeno si registra anche in tutti i settori che hanno a che fare con il ¿content¿ (per esempio, nello specifico della televisione: Frt, AerAnti-Corallo, Rea¿), nello specifico del ¿piccolo mondo¿ del cinema, la situazione &#232 ancora pi&#249 complessa. Si pensi solo che una delle anime pi&#249 ricche, in termini di fatturato, del ¿sistema audiovisivo¿, ovvero la distribuzione home-video, ha una sua propria associazione, Univideo, che non aderisce all¿Anica ed &#232 anzi ad essa equiparata in sede di Confidustria (cos&#236 come, peraltro, la stessa Agis)¿

La fuoriuscita di Apt dall¿Anica &#232 frutto di una sedimentata insofferenza dei produttori televisivi, rispetto alla visione Anica ancora molto ¿cinema-centrica¿: in effetti, nonostante la volont&#224 di Massaro di far divenire l¿Anica ¿la grande casa¿ dell¿audiovisivo italiano (sogno peraltro perseguito anche dai suoi predecessori Cianfarani e Lucisano), nelle sue molte anime, le difficolt&#224 sono intrinseche, perch&#233 gli interessi ¿ come abbiamo segnalato ¿ sono spesso intrinsecamente contrapposti. Uno per tutti: i produttori italiani sostengono, fatte salve eccezioni, la necessit&#224 di ¿quote obbligatorie¿ (venute meno per il cinema, ma ancora in essere per la tv), mentre i distributori statunitensi (coordinati a livello mondiale dalla potente Motion Picture Association of America, Mpaa, e dal suo braccio internazionale, Mpa) sono ovviamente contrari.

In Anica, poi, convivono anche il diavolo e l¿acquasanta: alcuni piccoli produttori indipendenti ed imprese come Rai Cinema e Medusa Film, vere e proprie ¿major¿ ¿ ormai ¿ del mercato italiano (ed integrate verticalmente rispetto ai ¿broadcaster¿ madre)¿

Anche l¿Apt, a sua volta, ha registrato ambizioni ¿grandiose¿: tra la fine del 1999 e l¿inizio del 2000, ha promosso la Fida, Federazione Italiana dell¿Audiovisivo, insieme all¿associazione dei documentaristi (Doc/It), dei produttori di animazione (Cartoon Italia), all¿Apc ed all¿Api, iniziativa che si &#232 presto indebolita a causa di divergenze, anche perch&#233 al suo interno ha cercato di conciliare altre due anime: i ¿produttori¿ e gli ¿autori¿ (presenti sia in Api sia in Doc/It), ¿categorie¿ professionali, culturali (e¿ mentali) tendenzialmente contrapposte.

Tracciato questo (sommario) scenario dell¿associazionismo nel settore audiovisivo, va evidenziato che la conseguenza di questa grande frammentazione &#232 una perdurante complessiva debolezza ¿politica¿ dei produttori di contenuto: basti osservare come, nell¿ambito del travagliato iter della legga Gasparri, le esigenze dei produttori di ¿content¿ siano state completamente ignorate, a tutto vantaggio delle emittenti.

A differenza di quel che avviene in quasi tutti gli altri Paesi europei, infatti, in Italia la produzione audiovisiva non cinematografica viene sostanzialmente ignorata dallo Stato: se esiste, da sempre, un apparato, complesso e burocratico (ma latore di risorse pubbliche di entit&#224 non indifferente), di norme a favore dell¿attivit&#224 cinematografica, soltanto la legge n. 122 del 1998 ha finalmente introdotto nella legislazione italiana un primo tentativo di intervento concreto a sostegno della produzione audiovisiva nazionale.

Va enfatizzato come la Gasparri commetta un grave errore, culturale mediologico economico e politico, nel non riconoscere esplicitamente e chiaramente il ruolo del ¿produttore di contenuti¿: in effetti, l¿articolo 2 della legge (¿Definizioni¿), al comma 1, paragrafo d., propone solo una descrizione del ¿fornitore di contenuti¿ che &#232 evidentemente riferita al canale televisivo responsabile della costruzione del palinsesto.

Infine, una questione di forma: Apt &#232 uscita da Anica con un comunicato stampa laconico e distaccato; Anica, nella persona del suo presidente Massaro, ha risposto in modo francamente eccessivo, accusando l¿Apt di essere morosa rispetto ai contributi associativi (la querelle non &#232 certo elegante) e minacciando azioni legali a tutela dell¿immagine dell¿Anica (ma nella giunta odierna, le intenzioni bellicose sembrano saggiamente rientrate). Scrive Massaro che ¿l¿Anica vive da oltre mezzo secolo al qualificatissimo livello che &#232 a tutti noto, mentre assolutamente sconosciuta l¿Apt, soprattutto per quella inesistente rappresentativit&#224 di ¿tutto l¿audiovisivo indipendente¿ che essa si benigna autoattribuirsi¿. Non abbiamo trovato, nell¿ultima edizione dello Zingarelli (2004), il verbo ¿benignarsi¿, ma forse rientra in un vocabolario a noi ignoto (un ¿toscanismo¿ alla¿ Benigni?!?).

Quel che ci sembra incontestabile &#232 che Apt rappresenti decine e decine di imprese, con fatturati spesso superiori a quelli delle imprese associate all¿Anica: tra gli associati Apt, ci sono tutti (o quasi) i maggiori produttori di fiction nazionali, da Lux Vide a Publispei ad Endemol Italia, e certamente molti piccoli indipendenti… Ha forse commesso un reato di lesa maest&#224, l¿Apt, nel dichiarare ¿l¿inadeguatezza dell¿Anica a rappresentare e tutelare le esigenze della produzione televisiva e dell¿audiovisivo nazionale¿?!? Ha forse toccato interessi ¿sacri¿, Apt, nel tentativo di introdurre nella Gasparri il concetto di ¿produttore di contenuti¿? E come pu&#242 l¿Anica, in modo cos&#236 supponente ed autorefenziale, dichiarare che l¿Apt sia addirittura¿ ¿assolutamente sconosciuta¿?!? E¿ veramente arduo essere ¿ecumenici¿, con simili atteggiamenti, ed allorquando molte delle anime dell¿audiovisivo, a parte Apt, sono ormai domiciliate altrove (Univideo, Anec, Api, Apc, FederCinema, ecc.).

E mentre la ¿guerra degli acronimi¿ continua, il cinema e l¿audiovisivo italiano corrono il rischio di perdere quote di mercato e forza di rappresentanza politica.

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