INGV: studi sulla faglia della Pernicana, una struttura tettonica tra le più attive al mondo

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La faglia della Pernicana, una struttura tettonica tra le più attive al mondo, che costituisce anche il confine tra il settore stabile dell’Etna (a Nord della faglia) e quello che invece “collassa” verso il Mare Ionio (a Sud della faglia), è stata studiata e pubblicata da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dell’Università di Bari, del Cnr di Potenza e dell’Università di Bordeaux, in un articolo dal titolo: “Insights into fluid circulation across the Pernicana Fault (Mt. Etna, Italy) and implications for flank instability” appena uscito su Journal of Volcanology and Geothermal Research.

Attraverso uno studio multidisciplinare, che ha integrato dati geologici, geochimici, strutturali, di resistività elettrica e di potenziale spontaneo, i ricercatori sono riusciti a definire su un area di circa 2 km2, che corrisponde al tratto centrale della faglia Pernicana (fianco Nord Est dell’Etna), alcuni aspetti fondamentali di questa importante struttura tettonica, tra i quali anche la presenza di celle convettive idrotermali con fluidi caldi.
Lo studioso Salvatore Giammanco dell’INGV, in un’intervista dichiara che: “La presenza di questo sistema idrotermale può ridurre significativamente i parametri di resistenza delle rocce in corrispondenza del piano di faglia, agendo come lubrificante e favorendo, quindi, lo scivolamento del blocco instabile“.

Che cosa vuol dire che c’è più attività idrotermale?
Significa che esiste un settore del vulcano intensamente fratturato, corrispondente al sistema di faglie della Pernicana, continua Giammanco, in cui esiste una copiosa circolazione di fluidi, anche caldi, che esercita una continua aggressione chimica e meccanica sulle rocce permeate, diminuendo la loro resistenza alla rottura. L’obiettivo, adesso, è capire se altre strutture tettoniche etnee presentano le stesse peculiarità, ed è per questo che stiamo estendendo i nostri studi anche in altre aree tettonizzate dell’Etna“.

Quindi i dati sulla circolazione dei fluidi ricavati dallo studio indica un settore dell’Etna particolarmente fratturato e fagliato, e questo vuol dire instabilità. Da cosa dipende?
Prende la parola l’altro autore dell’articolo, il primo ricercatore Marco Neri: “E’ ormai noto da tempo che il fianco orientale del vulcano è soggetto ad un lento ma continuo scivolamento verso Sud-Est. Il margine settentrionale di questo fianco instabile è costituito, appunto, dal sistema di faglie della Pernicana, lungo il quale avviene lo scorrimento tra il blocco che si muove verso il mare e quello che rimane fermo. Il movimento del fianco instabile dell’Etna è continuo e misurabile in circa 3 centimetri all’anno. In alcuni periodi, però, la velocità di scorrimento accelera fino a raggiungere tassi di deformazione di vari decimetri all’anno (in alcune zone anche più di un metro), e ciò avviene in concomitanza con importanti eruzioni, come nel 2002“.

Rimane, quindi, da approfondire il modo in cui il collasso del fianco orientale del vulcano si relaziona con l’attività vulcanica.
La nostra ipotesi, incalza Neri, è che il vulcano alterni periodi di pace, in cui le eruzioni avvengono solo dalla sommità dell’Etna e le deformazioni del fianco instabile sono modeste, e periodi di guerra, in cui le eruzioni avvengono prevalentemente da fessure aperte sulle pendici del vulcano e a quote basse, mentre le deformazioni del fianco instabile aumentano considerevolmente“.

La situazione oggi?
Il momento attuale – dice Neri – corrisponde, appunto, ad un periodo cominciato con l’eruzione del Luglio 2001 e caratterizzato da elevata instabilità del fianco orientale ed importanti eruzioni laterali“.