Intervento dell’on. Linda Lanzillotta alla Camera: ‘La Protezione Civile è patrimonio del paese’

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Di seguito il testo dell’intervento dell’on. Linda Lanzillotta svolto in aula alla Camera, mercoledì 17 febbraio, nel corso della discussione generale del disegno di legge di conversione del decreto sulla Protezione Civile.

Signor Presidente,
signor sottosegretario, la Protezione civile italiana è un patrimonio del Paese.

Gli italiani l’hanno vista all’opera nei momenti più drammatici, intervenire per salvare vite umane e per portare aiuto e conforto alle persone colpite da catastrofi immani; gli italiani hanno imparato a riconoscere nella Protezione civile un punto di riferimento solido, affidabile, lo Stato che ti è vicino nei momenti difficili, lo Stato intorno al quale si mobilita la solidarietà dei cittadini, la generosità del nostro popolo. E le strutture pubbliche, insieme alle migliaia di volontari che tutti abbiamo visto impegnarsi senza risparmio di energie nelle situazioni più estreme, hanno fatto sì che gli italiani – almeno per una volta – fossero orgogliosi del loro Stato, di una pubblica amministrazione capace di rispondere con tempestività, con professionalità ma anche con profonda umanità ai bisogni dei cittadini in situazioni di sofferenza.

Guido Bertolaso ha il merito di aver costruito con il suo lavoro tutto questo e di essere riuscito a superare la frammentazione e l’autoreferenzialità delle numerose strutture operative che, nei vari settori dell’amministrazione centrale e nei diversi livelli istituzionali, operano sul territorio nelle situazioni di emergenza e nella gestione dei rischi idrogeologici; ed ha avuto il merito di infondere in tutti coloro che operano nella Protezione civile orgoglio per la propria missione e spirito di corpo.

Di questo credo tutti noi dobbiamo riconoscere merito a Bertolaso, perché aver realizzato questo in Italia – e penso che chiunque abbia operato nella pubblica amministrazione lo sa e ne è consapevole – non è per niente banale, per niente scontato, anzi è una missione che a prima vista potrebbe apparire quasi impossibile.
Bisogna anche dare atto a Bertolaso – al quale personalmente voglio esprimere la mia stima per aver collaborato con lui negli anni in cui ero a Palazzo Chigi, prima come segretario generale e poi come Ministro, e per averne apprezzato in quegli anni l’onestà – che, per realizzare quella missione, avere cioè una Protezione civile in grado di fronteggiare le emergenze e le catastrofi, ha utilizzato al meglio i poteri della Protezione civile. E proprio per l’importanza di questa realtà istituzionale, e per la fiducia che in essa ripongono i cittadini, sarebbe irresponsabile trascinarla in un’opera d’indiscriminata delegittimazione. Fare questo sarebbe un ulteriore colpo alla credibilità delle istituzioni, sarebbe un modo per scavare e rendere ancora più profondo il solco tra cittadini e Stato, e minare definitivamente la loro fiducia nella possibilità di avere una pubblica amministrazione efficiente, trasparente, operosa ed onesta.


Nessuno, credo (ne sono convinta) può volere un risultato di questo genere, né la maggioranza, né l’opposizione, perché sarebbe una sconfitta per tutti, una sconfitta per l’Italia. Ma perché questo non accada, non si può solo ostinatamente difendere l’esistente, come hanno fatto il Governo e lo stesso Bertolaso; bisogna fermarsi, analizzare le cause che hanno consentito le distorsioni e le degenerazioni e che sono alla base delle inchieste e dei fatti gravi che stanno emergendo nell’inchiesta di Firenze. Questo decreto-legge era e può ancora essere – faccio appello al Governo e alla maggioranza perché questo sia ancora possibile – l’occasione per farlo, perché non si può intervenire sulla Protezione civile in questo momento e ignorare ciò che sta avvenendo fuori di qui.


Certo, avere rinunciato a societarizzare gran parte delle attività della Protezione civile è stata una decisione di buon senso, perché quel meccanismo che era previsto nel decreto-legge originario avrebbe realizzato un terzo livello di opacità. Dobbiamo ricordare che il bilancio della Presidenza del Consiglio è un bilancio opaco che non viene «aperto» al Parlamento (al quale viene comunicato un unico stanziamento aggregato, senza la sua allocazione alle singole poste di bilancio) e non è sottoposto al suo controllo come tutti gli altri stati di previsione del Ministero. Sotto questo livello di opacità vi sarebbe stata l’opacità del bilancio della Protezione civile, e al terzo livello vi sarebbe stata l’opacità della società per azioni. Dunque, è stata una scelta di buon senso, ma non si può pensare che con questo il problema sia risolto, perché quello che sta emergendo in questi giorni è accaduto senza la società per azioni, è accaduto con la Protezione civile così com’è e come rimarrà allo stato di questo provvedimento. Dunque, il problema c’è e rimane e per affrontare il nodo del problema va, innanzitutto, respinta la cultura che si è impadronita della Protezione civile, espressa in più occasioni e in molte dichiarazioni dal sottosegretario Bertolaso (da ultimo anche nelle risposte alle dieci domande di Eugenio Scalfari), ovvero l’idea che l’efficienza, il fare, possano essere perseguiti sempre, in tutte le situazioni, e non solo in caso di assoluta necessità, anche a scapito delle regole, delle leggi, dei principi costituzionali che regolano il nostro ordinamento.


È questa idea di fondo che va respinta: l’idea che alla Protezione civile tutto sia consentito e che quel settore della pubblica amministrazione è sottratto alle norme della Costituzione e che chi ha lavorato per la Protezione civile ha acquisito meriti, veri, ma che comunque legittimano trattamenti speciali. Lo ripeto: il riconoscimento del valore del lavoro del Dipartimento e dei volontari è fuori discussione ma ricordo al sottosegretario Bertolaso che l’inosservanza del principio di separazione tra politica e amministrazione, che impedisce a un membro di Governo di essere capo di una struttura amministrativa che dipende dal Governo stesso, oltre a violare molte norme di legge, impedisce che, nella sostanza, nel concreto operare di ogni giorno, si realizzi quel bilanciamento di poteri ed interessi che garantisce il buon funzionamento degli uffici pubblici. Dunque, questa non è una formalità, un’invenzione, ma è un’esigenza di buon funzionamento dei meccanismi amministrativi. La distinzione di ruoli non è un fatto formale, è il meccanismo che impedisce alla politica di abusare dell’amministrazione, perché non è vero, come il sottosegretario Bertolaso ha affermato più volte, che si può fare tutto quello che l’autorità politica ordina. I funzionari hanno il diritto, ma prima di tutto il dovere di opporsi alle direttive dell’autorità politica se queste sono in contrasto con legge, perché i dirigenti, i funzionari, hanno una responsabilità autonoma che deriva dalla Costituzione e dalle leggi.


È certo che tutto quello che è stato affidato a lei, sottosegretario Bertolaso, e tutto quello che è stato ordinato di fare nella gestione dei grandi eventi fosse davvero rispondente all’interesse pubblico? E ancora: certo, i dipendenti della Protezione civile hanno grandi meriti ma in nome di quale specialità loro (piuttosto che altre migliaia di persone che da anni svolgono un servizio prezioso per lo Stato), i suoi collaboratori, devono essere stabilizzati e immessi in ruolo in deroga a norme e a sentenze della Corte costituzionale?
Credo che i successi, i riconoscimenti che sono arrivati al sottosegretario Bertolaso e alla Protezione civile abbiano forse fatto perdere il senso della misura e abbiano portato questa struttura e il Presidente del Consiglio a vedere realizzata nella Protezione civile, l’idea di uno Stato che in nome del fare può derogare ad ogni regola. Io considero l’efficienza dello Stato e della pubblica amministrazione un obiettivo strategico per un Paese moderno che voglia essere competitivo sul piano economico e giusto sul piano sociale, ma ritengo anche che in uno Stato democratico questo obiettivo debba essere perseguito nel rispetto della legge.

Avviene nei più grandi Paesi occidentali, deve essere possibile anche in Italia affinché ci sia anche nel nostro Paese una democrazia alla pari delle altre grandi democrazie europee. Questo deve essere l’obiettivo di un Governo riformatore, e invece nulla è stato fatto in questo senso dal Governo Berlusconi nei sette anni in cui ha operato dal 2001 in poi, con buona pace del Ministro Brunetta e del Ministro Calderoli, il quale dovrebbe semplificare l’attività dell’amministrazione pubblica. Ma non è stato sempre così.

La Protezione civile non è stata sempre questo. Non si sono fatti Protezione civile e grandi eventi in un unico connubio. Come credo Bertolaso ricorderà bene, il grande Giubileo del 2000, che fu sul piano organizzativo un grandissimo successo, tanto che proprio da quel successo partì e si alimentò la fama di Bertolaso quale grande organizzatore cui affidare la gestione delle situazioni più difficili, fu gestito tutto con poteri ordinari. Con le procedure ordinarie furono realizzati i lavori a Roma e nel resto d’Italia. Con i poteri ordinari furono gestiti gli eventi eccezionali come il grande incontro di Giovanni Paolo II con i giovani a Tor Vergata nell’agosto del 2000. Ma nel 2001, insediatosi il Governo Berlusconi, in vista del G8 di Genova, la cui organizzazione il Governo Amato aveva avviato con i poteri ordinari, fu introdotta la legislazione sui grandi eventi, ovvero l’estensione dei poteri di ordinanza e di deroga a tutte le norme amministrative e contabili ad eventi non imprevisti e catastrofici.

Da qui è partita – io credo – la degenerazione del sistema, un sistema censurato dall’Unione europea con l’avvio di una procedura di infrazione, a fronte della quale il Governo italiano nel 2004 – lo hanno ricordato stamattina l’onorevole Realacci ed altri colleghi – si era impegnato a ripristinare i limiti originali della normativa sulla Protezione civile. Ma questo non è stato fatto perché troppo grande è stata la pressione della politica a potersi avvalere per qualsiasi evento dei poteri eccezionali. Però, credo che qui, Presidente, sottosegretario, bisogna essere molto chiari e ognuno si deve assumere le proprie responsabilità, perché la pressione ad utilizzare i poteri straordinari all’origine non nasce dalla perversa volontà di fare affari. Questa è la conseguenza, l’effetto finale, ma ciò che spinge Presidenti del Consiglio, sindaci di grandi città, presidenti di Regione, di ogni schieramento, a chiedere la legislazione sui grandi eventi è la fuga dalle procedure ordinarie, da tutti a ragione considerate una trappola mortale da cui è quasi impossibile uscire con opere di qualità realizzate nei tempi programmati.


Allora, innanzitutto è di questo che bisogna parlare, di una legislazione urbanistica, di una legislazione sulle opere pubbliche che ha stravolto la Merloni, di una legislazione vincolistica e interdittiva il cui risultato è stato la spinta a fuggire verso la straordinarietà e ad aumentare la corruzione, perché ogni passaggio, ogni barriera burocratica inevitabilmente genera intermediazione politica e corruzione.
Quindi, chi sinceramente con onestà mentale chiede di uscire dalla logica dei poteri straordinari, deve però nello stesso tempo affrontare il tema della semplificazione delle procedure ordinarie, dei controlli, abbandonando la politica del «no», la cultura del «no» e permeando le procedure ordinarie della cultura del risultato, della valutazione dei risultati in termini di qualità ed economicità, di rispetto dei tempi e dei costi, e non solo di legalità, senza essere intimidita da estremisti e giustizialismi. Se non si è disposti a mettere al centro dell’agenda parlamentare in modo concreto, serio ed aperto questo tema, la discussione che stiamo facendo oggi rischia di essere pura demagogia.
È quello però che ci saremmo aspettati dal Governo all’indomani dell’inizio dello tsunami che sta investendo la Protezione civile: difendere ciò che di buono c’è e tutto ciò che di ottimo è stato fatto, ma affrontare il tema centrale, cioè escludere i poteri straordinari per i grandi eventi, riformare subito le procedure ordinarie, avviare una ricognizione di quanto si sta facendo con i poteri di emergenza, instaurare un sistema di controllo sui risultati su quei lavori che sono in corso, avvicendare i funzionari che da troppi anni rivestono i medesimi incarichi e che anche solo per questo producono incrostazioni di potere che vanno immediatamente rimosse.


Il sottosegretario Bertolaso ha scelto di rimanere al suo posto: una scelta che io rispetto, ma lo ha scelto autonomamente, perché nessuno io credo possa essere coartato nella propria volontà, ma questa sua permanenza potrà avere un senso positivo, a mio parere, solo se lo stesso Bertolaso si farà promotore di una riflessione critica su come si è andata modificando la Protezione civile e contribuirà a riportare la sua azione, l’azione del dipartimento e di tutta la struttura nell’ambito che le è proprio, ristabilendo un assetto equilibrato e scegliendo lui stesso tra ruolo politico e ruolo amministrativo, perché, come ho detto prima, le due cose sono funzionali all’equilibrio del sistema, non sono un fatto puramente formale o un orpello giuridico inutile. Il primo segno di questo nuovo orientamento per essere credibile, però, dovrà vedersi già in questo decreto-legge. Temo che ciò non avverrà e noi ci auguriamo che invece vi siano ancora da parte della maggioranza una valutazione e una riflessione sui punti che sono emersi in questa discussione. Ritengo che uno dei punti centrali che debbono essere corretti del decreto-legge sia quello dell’eliminazione dell’applicazione della vigilanza della Protezione civile ai grandi eventi che sono stati estesi oltre ogni ordine di ragionevolezza; e per applicare questo nuovo criterio occorre eliminare l’articolo che estende quei poteri straordinari al piano carceri: si tratta di altre centinaia di milioni di euro che verrebbero gestiti con poteri speciali, senza controlli e senza procedure garantite.


Se così non sarà, il nostro giudizio sul decreto-legge sarà fortemente negativo e, pur riconoscendo i meriti del sottosegretario Bertolaso, non potremmo non attribuire anche a lui, alle sue scelte e alla sua responsabilità l’anomalo e distorto utilizzo dei poteri straordinari e le degenerazioni che possono derivare da una concentrazione così grande di potere nelle mani di un uomo solo, che forse con un eccesso di ubris ritiene di poter fare a meno delle regole e dei controlli che l’ordinamento pone a presidio della legalità
“.