geopolitica dell’AI

Amazon e OpenAI verso un accordo da 10 miliardi di dollari

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Il possibile investimento miliardario di Amazon in OpenAI e l’uso dei chip AI di AWS segnano una svolta nella competizione globale sull’intelligenza artificiale, ridefinendo equilibri tra hyperscaler, finanza, politica industriale e governance tecnologica.

Un possibile deal strategico tra OpenAI e Amazon Web Services per lo sviluppo dell’infrastruttura AI americana

OpenAI e Amazon sarebbero in trattative avanzate per un accordo strategico che potrebbe includere un investimento superiore ai 10 miliardi di dollari e l’utilizzo dei chip proprietari di intelligenza artificiale (AI) sviluppati da Amazon Web Services (AWS).

La notizia, confermata da CNBC e anticipata da The Information, arriva in una fase di profonda riorganizzazione dell’ecosistema globale dell’AI e segna un ulteriore passo nella trasformazione di OpenAI da laboratorio di ricerca a infrastruttura centrale dell’economia digitale.
Non è un caso che il CEO di OpenAI, Sam Altman, è finito sulla copertina del TIME “Persona dell’anno” tra gli “architetti dell’AI” che stanno cambiando il mondo.

I dettagli dell’intesa, come spesso accade in questi casi, restano vaghi e “confidenziali”, ma la logica industriale è chiara: OpenAI cerca capacità computazionale, diversificazione dei fornitori e accesso diretto a hardware AI avanzato, mentre Amazon mira a rafforzare il proprio ruolo nella corsa globale all’intelligenza artificiale generativa, andando oltre il già consistente investimento (oltre 8 miliardi di dollari) nel competitor Anthropic.

In cosa consiste l’accordo: capitale, cloud e chip AI

L’eventuale accordo tra Amazon e OpenAI si articolerebbe su tre dimensioni chiave. La prima consiste in un investimento diretto in OpenAI, potenzialmente superiore ai 10 miliardi di dollari, che rafforzerebbe ulteriormente una valutazione ormai stimata tra i 500 e i 750 miliardi di dollari sui mercati privati.

Continuare a garantire accordi di fornitura cloud di lungo periodo. OpenAI ha già firmato un contratto settennale da 38 miliardi di dollari con AWS, il primo grande accordo cloud dopo la ristrutturazione che ha ridimensionato l’esclusività storica con Microsoft.

Terzo, favorire l’utilizzo dei chip AI proprietari di Amazon, in particolare le nuove generazioni di Trainium e Inferentia, progettate per l’addestramento e l’inferenza di modelli di grandi dimensioni, in alternativa (o integrazione) alle GPU Nvidia.

In un contesto di carenza strutturale di capacità computazionale, l’accesso diretto a chip custom diventa un fattore competitivo critico. Un chip custom offre numerosi vantaggi, perchè è un chip progettato specificamente per un’applicazione o un’esigenza unica, a differenza dei chip “off-the-shelf” generici, integrando funzioni su misura per prestazioni, efficienza energetica e sicurezza ottimali, fondamentale per settori come AI, IoT e industriale

Per OpenAI significa ridurre dipendenze, ottimizzare costi e scalare più rapidamente i modelli di nuova generazione. Proprio pochi giorni fa, OpenAI ha rilasciato Gpt-5.2 per arginare l’avanzata di Google, soprattutto dopo il successo del modello “Nano Banana”, dedicato alla modifica delle foto su Gemini.

Gli effetti attesi sullo sviluppo dell’AI

Un’intesa di questa portata avrebbe impatti “sistemici” sullo sviluppo dell’AI, per diversi motivi. Innanzi tutto, comporterebbe una chiara accelerazione del training di modelli sempre più grandi e multimodali, come le famiglie GPT-4.1, GPT-4o e GPT-5.x, già al centro delle strategie enterprise e governative.

Inoltre, promuoverebbe il consolidamento di OpenAI come “anchor tenant” della computing economy, capace di orientare investimenti in data center, semiconduttori e infrastrutture energetiche, con un rafforzamento dell’approccio multi-cloud e multi-vendor, che segna la fine dell’era dell’esclusività tra hyperscaler e foundation model provider.

Tutto questo, infine, porterebbe ad una maggiore pressione competitiva su Nvidia, AMD e sugli altri produttori di hardware AI, spingendo verso una diversificazione tecnologica del mercato.

In prospettiva, l’accordo contribuirebbe a definire l’AI come infrastruttura generale (general-purpose infrastructure), al pari di elettricità, telecomunicazioni e cloud computing.
Su questo principio si incentra il super contratto da 300 miliardi di dollari in cinque anni, firmato da Oracle e OpenAI a settembre, che ha davvero impresso una svolta storica nel mercato del cloud e dei data center, in particolare per l’intelligenza artificiale.

Perché cresce l’interesse di imprese e finanza su OpenAI

L’attrattività di OpenAI per grandi imprese e mercati finanziari si spiega con la convergenza di tre fattori strutturali. OpenAI mantiene un ritmo di innovazione eccezionalmente aggressivo, con modelli che ampliano contesto, multimodalità e capacità AI agentic. Soluzioni come Operator, capaci non solo di rispondere ma di agire autonomamente online, stanno ridefinendo il concetto stesso di software e automazione.

Per aziende e governi, OpenAI rappresenta oggi lo standard de facto su cui immaginare la prossima fase di adozione dell’AI. Non a caso molte risorse pubbliche sono dirottate verso questo settore strategico. Basta guardare a quanto sta già accadendo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna e quanto altro potrebbe accadere a breve in altri Stati europei (senza andare in giro per il mondo).

Sul piano finanziario, OpenAI è diventata il simbolo del boom dell’AI: raccolte record (oltre 40 miliardi di dollari nel 2025), valutazioni senza precedenti e un ruolo chiave nella ristrutturazione delle catene globali di investimento in tecnologia. Le cifre in gioco alimentano il dibattito tra chi vede OpenAI come il “nuovo Microsoft dell’AI” e chi teme una bolla. Ma, per il momento la bolla si ipotizza e gli investimenti crescono (ancora si sente l’eco dell’investimento di un miliardo di dollari della Disney proprio in OpenAI), assieme alle applicazioni.

Da non dimenticare che OpenAI è oggi anche un attore geopolitico. La sua adesione ai nuovi codici di condotta europei sull’AI Act e il suo ruolo nelle discussioni globali su sicurezza, trasparenza e governance la rendono un punto di riferimento per regolatori e policymaker.

A questo si aggiunge il rapporto sempre più stretto con l’amministrazione Trump, che vede OpenAI come asset strategico nazionale nella competizione tecnologica con Cina ed Europa. Dalla sicurezza nazionale alla sovranità del compute, l’azienda è ormai parte integrante della politica industriale americana sull’AI.

OpenAI come infrastruttura strategica del XXI secolo?

Il possibile accordo tra Amazon e OpenAI non è solo un’operazione finanziaria, ma un segnale strutturale: l’intelligenza artificiale sta diventando il nuovo strato infrastrutturale dell’economia globale.
In questo scenario, OpenAI si configura sempre meno come una startup e sempre più come un nodo centrale del capitalismo tecnologico contemporaneo, capace di attrarre capitali, ridefinire alleanze industriali e influenzare scelte politiche e regolatorie.

Per imprese, investitori e governi, comprendere questa dinamica non è più opzionale: è una condizione necessaria per interpretare il futuro dell’innovazione, della competitività e del potere economico globale. In questo scenario si inserisce un’ultima riflessione, forse la più importante: cosa sta combinando l’Europa? Come l’Unione europea si porrà di fronte a questa corsa rapidissima e alimentata da investimenti straordinari? La capacità di regolamentare anche settori molto complessi come quelli aperti dalle nuove tecnologie sarà un vantaggio strategico o come molti pensano una zavorra storica?

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