Dopo aver ribadito con forza che gli sforzi per affrontare il cambiamento climatico procedono troppo lentamente, i leader mondiali hanno lasciato gli edifici della COP30 nella città amazzonica di Belém, in Brasile, per lasciare spazio ai negoziatori di oltre 200 Paesi.
I lavori in programma
Ora inizia il vero lavoro. In particolare, il primo giorno della COP30 segna una svolta per adattamento e tecnologia. Banche multilaterali di sviluppo e partner stanno presentando nuovi strumenti e modelli di finanziamento per trasformare i piani di adattamento in progetti finanziabili e riproducibili in scala, e nel pomeriggio è in programma l’inaugurazione del Green Digital Action Hub, una piattaforma globale per promuovere una trasformazione digitale più verde e inclusiva. Tra le altre iniziative figurano anche l’AI Climate Institute, tecnologie digitali per decarbonizzare e avanzare nella trasparenza dei dati sulle emissioni ICT.
L’arrivo dei leader indigeni
A confermare che COP30 sia entrata nel vivo del dibattito, anche l’arrivo, stamattina a Belèm, dei leader indigeni delle comunità della foresta amazzonica, che hanno chiesto un ruolo più attivo nella gestione “energetica” dei propri territori.
Un rapporto pubblicato la scorsa settimana da Earth Insight e dalla Global Alliance of Territorial Communities ha, infatti, rilevato che circa il 17% delle aree pluviali occupate da comunità locali, è oggi minacciato da concessioni per trivellazioni di petrolio e gas, attività minerarie e disboscamento.
Ma quello delle comunità indigene è solo uno dei tanti casi presentati in COP30 che ribadiscono un concetto di fondo: la Conferenza delle Parti non può farsi paladina dei più deboli limitandosi ad offrire garanzie finanziarie e fondi d’ investimento.
COP30, gli interessi in gioco
Nelle prossime due settimane, quindi, si discuterà nei dettagli tecnici di tutto, da come ridurre al meglio le emissioni, alla roadmap per abbandonare i combustibili fossili, alla struttura dei fondi per aiutare i Paesi più poveri a far fronte agli impatti di eventi meteorologici sempre più estremi.
In un momento storico, in cui questioni come guerre, dazi e bolle finanziarie, stanno spostando il clima dalla vetta dell’agenda internazionale, qualsiasi accordo finale richiederà, però, anche il consenso dei più scettici. Di chi vede nella transizione energetica “un freno alla crescita”. Nonchè, paradossalmente, dei maggiori produttori di petolio, fomentati dalle politiche trumpiane.
La roadmap del fossile, tutti gli occhi su Trump
Com’è noto, gli Stati Uniti usciranno dall’Accordo di Parigi il prossimo 27 gennaio, e tutt’ora nè Trump nè altri delegati si sono registrati per partecipare ai colloqui della COP30. Tuttavia, c’è tempo fino al termine dei lavori, e funzionari statunitensi potrebbero presentarsi in qualsiasi momento.
Ad ogni modo gli Stati Uniti domineranno le trattative, in linea con il sostegno governativo a combustibili fossili e il disprezzo manifestato per le azioni contro il cambiamento climatico. Oltretutto, alla COP28 di Dubai, i Paesi si erano impegnati a ridurre gradualmente l’uso dei combustibili fossili, ma nessuno dei più di 60 aggiornamenti dei piani climatici nazionali presentati da allora ha fissato obiettivi concreti per ridurre l’effettiva produzione di petrolio e gas.
Una partita complessa densa di interessi geopolitici
Come ben spiegato in un editoriale di Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, il vertice internazionale è una partita complessa, che va giocata su più fronti, tra interessi nazionali e geopolitici. Ma è, tuttavia, una partita iniziata, che difficilmente potrà essere interrotta. Al massimo rallentata dai capricci di Trump.
Il mondo sta vivendo quella che il think tank climatico Ember definisce una “rivoluzione elettrotecnologica” e tra le questioni incombenti rientra inevitabilmente la ricerca del capitale iniziale necessario.
È grazie ai sussidi, infatti, che le politiche governative hanno potuto dare il via allo sviluppo di solare, eolico e batterie. Oggi grazie alla diffusione di tecnologie pulite si è innescato un circolo virtuoso che vede una rapida diffusione delle economie di scala e innovazione accelerata.
Molti Paesi emergenti, per fortuna, vedono ormai la transizione energetica non come un ostacolo allo sviluppo, ma come un motore di crescita. Le aree del mondo storicamente povere di energia vogliono quindi compiere un “salto di fase”, passando direttamente alle nuove tecnologie e sfruttando elettricità abbondante, economica e non inquinante.
L’Agenda di COP30
A differenza delle due edizioni precedenti, la COP30 non punta a un grande risultato emblematico. Tuttavia, un ambito in cui i negoziatori potrebbero compiere progressi concreti riguarda la necessità di adattarsi ai cambiamenti climatici, tema tornato drammaticamente d’attualità con l’uragano Melissa, che ha colpito la Giamaica causando danni stimati fino a 4,2 miliardi di dollari.
I colloqui si concentreranno quindi sulla riduzione della lista degli indicatori di resilienza climatica, passando da 400 a circa 100 entro la chiusura della COP30, in modo da ottenere criteri più chiari per valutare le politiche e il sostegno ai Paesi. L’attuale obiettivo di raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento scade alla fine dell’anno, e diversi delegati sperano che venga fissato un nuovo traguardo.


