Non solo l’AI, in movimento ci potrebbero essere altre “bolle”
“Potremmo assistere a delle bolle in movimento. Una è la bolla delle criptovalute, la seconda riguarda l’intelligenza artificiale e la terza è quella del debito“.
È quanto affermato dal Presidente del World economic forum (Wef), Borge Brende, durante una conferenza stampa a San Paolo in Brasile.
Attenzione, o cautela nel muoversi sui mercati, ma non paura o panico, ha sottolineato il capo del Wef: “i mercati hanno toccato livelli record e alcune valutazioni sembrano esagerate”.
Il tutto mentre nelle ultime ore la paura di una bolla legata all’AI ha attraversato tre continenti, mettendo in forte dubbio la capacità di tenuta dei giganti tecnologici e dei loro asset finanziari.
Tra martedì e mercoledì, i titoli legati all’AI hanno perso più di 400 miliardi di sterline sui mercati globali e a farne di più le spese sono state le aziende produttrici di chip, secondo il MailOnline.
Nonostante gli elevati tassi di interesse, l’inflazione persistente e le turbolenze commerciali, i mercati hanno spinto al rialzo, in parte sulla base delle aspettative che l’intelligenza artificiale avrebbe potuto trasformare le prospettive dell’economia e delle imprese globali.
“Mentre il principale indice londinese FTSE 100 ha evitato il peggio, aiutato dal fatto che è meno orientato all’intelligenza artificiale rispetto ai mercati statunitensi e asiatici, gli analisti hanno messo in guardia dalle turbolenze future“, si legge sul quotidiano britannico.
L’AI promette un aumento della produttività, ma rappresenta anche una minaccia ai posti di lavoro
L’intelligenza artificiale può aumentare produttività e opportunità di guadagni, per le imprese, ma pone anche dei dubbi, soprattutto sull’impatto complessivo sui livelli occupazionali di un Paese. In poche parole, la paura è che questa corsa all’AI possa lasciare dietro di sé tanti disoccupati tecnologici.
“Nel peggiore dai casi potresti assistere ad una specie di Rust Belt, come in quelle grandi città piene di uffici amministrativi con impiegati che più facilmente potrebbero esser sostituiti dall’intelligenza artificiale e da una maggiore produttività legata ad essa”, ha sottolineato Brende, citando i recenti annunci di tagli al personale fatti da Amazon e Nestlé.
Qui Brende fa un paragone storico abbastanza inquietante e purtroppo verosimile, perché con Rust Belt oggi ci si riferisce ad una storia di crisi e declino industriale di alcuni Stati americani (compresi tra i monti Appalachi settentrionali e i Grandi Laghi), che ha avuto inizio a metà degli anni Ottanta a causa della deindustrializzazione, la chiusura delle fabbriche e la perdita di posti di lavoro. Una crisi causata da più fattori, tra cui la competizione con i mercati esteri, l’automazione tecnologica e il declino delle industrie tradizionali come l’acciaio e la produzione automobilistica.
Huang (Nvidia): “Siamo tutti in una bolla”
Jensen Huang, fondatore e amministratore delegato di Nvidia, ha dichiarato al Financial Times: “Siamo tutti in una bolla, la domanda è: dove ci troviamo in questa fase? Credo che siamo all’inizio della fase di sviluppo. Si tratta solo di numeri molto grandi“.
Huang, che era a Londra per ricevere dal Re Carlo il Queen Elizabeth Prize for Engineering, ha comunque respinto le preoccupazioni secondo cui i mercati azionari sarebbero sull’orlo di una correzione: “l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’economia è così grande che queste cifre in percentuale impallidiscono al confronto”.
Il CEO di Nvidia sostiene invece che sono necessari ingenti investimenti per modernizzare l’infrastruttura informatica, affermando che l’intelligenza artificiale è “efficace e redditizia, motivo per cui tutti stanno accelerando lo sviluppo di questa tecnologia”.
Aggiungendo poi, non si sa se in tono polemico o scherzoso, che “la Cina batterà gli Stati Uniti nella corsa all’intelligenza artificiale grazie ai più bassi costi dell’energia e alle regole meno stringenti”, ma anche perché in Occidente “manca l’ottimismo”.
La bolla del debito
Alla fine del 2024, secondo un’analisi dell’Institute of International Finance (IIF), l’ammontare del debito globale è salito alla cifra record di 318 trilioni di dollari. Esso comprende quello pubblico, quello delle famiglie, quello cosiddetto “corporate debt”, cioè delle imprese non finanziarie, e quello delle istituzioni finanziarie. In dodici mesi è aumentato di 7 trilioni di dollari.
Secondo il Fondo monetario internazionale, il debito pubblico globale degli Stati crescerà entro fine anno di almeno 5 trilioni di dollari. E non si conosce ancora l’effetto dell’aumento delle spese militari in un mondo sconvolto dalle paure e dalle provocazioni.
Il debito americano sta lievitando molto rapidamente e per questo motivo il Presidente Donald Trump cerca di accaparrarsi terre rare, riportare la produzione industriale in patria e alimentare quella preesistente, addirittura di comprarsi/annettersi la Groenlandia, perchè come hanno spiegato bene Mario Lettieri, già deputato e sottosegretario all’Economia, e Paolo Raimondi, economista e docente universitario: “Se queste immense ricchezze diventassero statunitensi, Trump potrebbe dire che il debito, sebbene enorme, sarebbe garantito da tale eccezionale sottostante“.
La bolla del debito globale è al limite della tenuta.
I tre segnali di una bolla finanziaria, tutti validi per AI e criptovalute
“La prima legge delle bolle finanziarie è questa: è facile capire quando ci si trova dentro, ma è difficile sapere quando scoppierà“, ha spiegato in un lungo articolo di approfondimento sul tema William H. Janeway, Professore associato di economia presso l’Università di Cambridge.
Janaway ha poi elencato i segnali di allarme da tenere sempre in considerazione quando si parla di “bolle finanziarie” e sono tre: “Il primo è l’inversione della curva di domanda, ovvero l’aumento della domanda all’aumentare dei prezzi. Due economisti finanziari di grande prestigio, Jose Scheinkman della Columbia University e Shin Hyun-song della Banca dei Regolamenti Internazionali, hanno richiamato l’attenzione sul verificarsi di questo fenomeno durante la bolla di Internet/dot-com della fine degli anni ’90 e nel periodo precedente la crisi finanziaria globale del 2008“.
Il secondo segnale, ha continuato il Professore di Cambridge, “si verifica quando all’aumento esponenziale dei prezzi si osserva un incremento dell’offerta. Anche nel mondo digitale, ci vuole più tempo per generare un nuovo asset rispetto al movimento di prezzo. Nel caso delle criptovalute, le variazioni di prezzo sono istantanee; allo stesso modo, i mercati del private equity si muovono molto più velocemente di chiunque speri di costruire un nuovo modello linguistico di grandi dimensioni“.
Infine, terzo segnale, “nelle fasi terminali di una bolla, la domanda è sempre più alimentata da investitori disinformati e dilettanti“, ha concluso Janaway, sottolineando: “Tutti e tre i segnali sembrano lampeggiare di rosso nei mercati delle criptovalute e dell’intelligenza artificiale“.


