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La Giornata Parlamentare. FI, nessuna tassa sugli extraprofitti delle banche. Le Pen attacca Meloni: “PNRR pagato da noi”

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Intesa del centrodestra, sulle banche. Oggi il Cdm per il varo della manovra. Le Pen attacca Meloni “le invidio Pnrr pagato da noi”. Landini dà della “cortigiana” a Meloni. La premier attacca.

Intesa del centrodestra, sulle banche. Oggi il Cdm per il varo della manovra

I partiti di governo dopo una giornata ad alta tensione trovano la quadra in un vertice di maggioranza convocato dalla premier Giorgia Meloni a Palazzo Chigi per chiudere la partita sulla legge di Bilancio. La manovra approderà così questa mattina in Cdm, un segnale chiaro che la premier ha mandato ai partiti che la sostengono sul fatto che il tempo era scaduto. Al tavolo con la premier, dopo una giornata di fibrillazioni in particolare tra Lega e Forza Italia, siedono i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi mentre il titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti è in video collegamento da una delle stanze del Fondo Monetario Internazionale a Washington. “Voi non credete ai miracoli, io invece ci credo ai miracoli”, dice ai giornalisti che lo attendono fuori alla porta. E aggiunge: il vertice “è andato bene, i dettagli li scrivo in aereo” All’incontro anche il viceministro Maurizio Leo di FdI che ha gestito la partita con le banche e le assicurazioni. 

Subito dopo l’incontro bocche cucite sui dettagli dell’intesa che, filtra, non conterrà una sola misura ma più interventi per raggiungere il risultato di gettito previsto, i 4,4 miliardi. Ci sarebbe comunque la tassa del 27,5% sulle banche e le assicurazioni che dovranno liberare i depositi vincolati in base alla norma del 2023 che tassava, in alternativa, gli extraprofitti al 40%. Di fatto non si tratta di tasse sugli extraprofitti in senso stretto, come sottolineano da Fi; secondo i calcoli di questi giorni varrebbe 1,7 miliardi che si riducono a 1,3 se si applicano solo alle 9 più grandi banche. Ci sarebbe poi l’aumento dell’Irap di 2,5 punti e anche una modifica, che può valere fino a 1,2 miliardi sulla norma che consentiva nel 2026 di recuperare le perdite che non si era potuto scontare (al 65%) sui bilanci di quest’anno, e ci sarebbero anche altre norme minori. Il tutto deve ancora essere presentato nel complesso ai rappresentanti delle banche. Era questo il nodo principale insieme ad altri nodi ancora tutti da sciogliere per chiudere la manovra da oltre 18 miliardi entro il Cdm convocato per questa mattina alle 11.00. 

Il titolare del Tesoro a Washington prenderà l’aereo per arrivare in Italia e certamente alle riunioni del Fmi ha incontrato il governatore di Bankitalia Fabio Panetta: non è escluso che il tema del contributo alla manovra da parte degli istituti di credito sia stato oggetto di uno scambio tra i due. La riunione tra gli alleati arriva dopo una giornata ad altissima tensione proprio su questo punto: la Lega che ribadisce la propria linea e Forza Italia pronta a fare muro alzando la voce e avvertendo di non essere disponibile ad appoggiare in alcun modo (nemmeno nel voto in Cdm) nessuna forma di tassazione degli extraprofitti. “È una tassa che sa di Urss e non ci sarà”, mette in chiaro il vicepremier Antonio Tajani. Ma dal partito di Salvini si moltiplicano gli inviti a “chi ha di più” a “dare di più”. “Ci sono questi doverosi 5 miliardi” dice il ministro dei Trasporti “che le banche metteranno con gioia a disposizione del Paese per aiutare famiglie e imprese in difficoltà”. I diretti interessati, intanto, restano in ascolto e fanno capire che una posizione verrà espressa dopo che sarà chiarito in quale modo il Governo conti di ricavare da loro e dalle assicurazioni 4,4 miliardi per il 2026. 

La misura tra l’altro, sempre a quanto emerge dal Dpb, sarebbe di fatto strutturale. Ad ogni modo i contatti con i vertici degli istituti di credito vanno avanti. Resta da chiarire la forma del contributo, se quindi tramite la via dei crediti d’imposta o attraverso un’imposta ad hoc (seppure ridotta) sul capitale accumulato, la più dettagliata possibile e in grado di reggere anche ai malumori che i ministeri stanno manifestando per la spending review. Il Dpb stima la misura per il prossimo anno allo 0,1% del Pil, ovvero 2,3 miliardi e prosegue anche nel biennio successivo arrivando a circa 3 miliardi nel 2028. 

Altro capitolo che ha fatto tribolare la maggioranza è quello della rottamazione quinquies. Fonti di maggioranza spiegano che un’intesa di massima ci sarebbe. La pace fiscale in primis non riguarderebbe le omesse dichiarazioni dei redditi e non avrebbe una prima rata più pesante; sarebbe, inoltre, confermata la scansione in 56 rate bimestrali in 9 anni. Confermato che il taglio dell’Irpef (2,7 miliardi) avrà benefici limitati per i redditi più alti. Sulle pensioni, invece, il Dpb certifica che il congelamento dello scalino del 2027 riguarda solo i lavori gravosi e usuranti. Si rafforza il pacchetto famiglia da 1,6 miliardi con il finanziamento della riforma del caregiver familiare e il potenziamento del bonus per le lavoratrici madri con almeno 2 figli e con redditi annui sotto i 40mila euro. Tra le novità in arrivo anche l’ampliamento delle detrazioni per le famiglie con un solo figlio. Novità anche sull’Isee: non solo si esclude la prima casa ma viene rafforzato anche il coefficiente dal secondo figlio in poi. Intanto le opposizioni attaccano. (Pagina di Nomos – Legge di Bilancio 2026)

Le Pen attacca Meloni “le invidio Pnrr pagato da noi”

Il modello Meloni per la Francia? “L’unica cosa apprezzabile, anzi, non l’unica, ci sono molte cose apprezzabili, ma la cosa che forse le invidio è l’enormità del piano di rilancio che ha riguardato l’Italia e che noi, la Francia, andremo a pagare”. Marine Le Pen, ai microfoni della radio pubblica France Inter, parla del Governo italiano e dei risultati economici della premier: “Non minimizzo il lavoro di Giorgia Meloni. Tuttavia, con 240 miliardi di Pnrr ricevuti dall’Ue è più semplice”; dunque, “non ho un modello europeo, l’unico mio modello è la Francia”. Le esternazioni della rappresentante del Rassemblement National a Roma fanno saltare sulla sedia, per motivi opposti, rappresentanti della maggioranza e dell’opposizione. 

Il primo a rilanciare le sue parole è Giuseppe Conte: “La leader della destra francese invidia a Meloni solo quello che non ha fatto. Chissà se sa che, mentre il mio Governo lottava per ottenere quegli oltre 200 miliardi in Europa, Meloni ci dava dei criminali in Italia e faceva votare astensione ai parlamentari di FdI”. Ora quei soldi “li stiamo perdendo perché li spendono con enorme ritardo: la corsa è solo per il riarmo”. Dal Pd rincarano la dose: “È ormai evidente anche ai suoi amici sovranisti europei che la politica economica di Meloni non esiste. Senza le risorse del Pnrr l’economia sarebbe stagnante”, afferma Piero De Luca. Per il segretario di Più Europa, Riccardo Magi, “ancora una volta, emerge l’ipocrisia della destra: predica sovranità, ma vive di fondi europei. Dice prima l’Italia, ma senza l’Europa non avrebbe nemmeno i soldi per le sue promesse”. Alle parole non proprio lusinghiere della leader francese risponde indirettamente FdI. 

Il responsabile del programma dei meloniani Francesco Filini punta il dito contro il M5S che è “in evidente confusione e caduta libera. L’Italia con il Pnrr sottoscritto all’epoca del governo Draghi ha ricevuto sovvenzioni, ripagate con il bilancio di tutta l’Ue e quindi anche dai contribuenti italiani stessi, per 68,9 miliardi di euro, mentre si è indebitata per circa 123 miliardi di euro. La Francia, invece, ha scelto di non contrarre debito e di prendere soltanto la parte delle sovvenzioni pari a più di 40 miliardi. Insomma, non è affatto vero che i francesi ci finanziano il Pnrr, perché questo è per gran parte sulle spalle dei cittadini italiani”. Secondo Maurizio Lupi, “le parole di Marine Le Pen sono di fatto un riconoscimento del lavoro serio e concreto della premier Meloni, del ministro Foti e, prima di lui, del ministro Fitto, nella gestione del Pnrr. Sbaglia” però, sottolinea anche lui, “quando sostiene che i fondi italiani siano pagati dai francesi”. 

Landini dà della “cortigiana” a Meloni. La premier attacca

Giorgia Meloni una “cortigiana” e la corte è quella di Donald Trump. È bufera sulle parole pronunciate da Maurizio Landini in tv nei confronti della presidente del Consiglio. Che usa un termine “sessista” come gli viene subito fatto notare in trasmissione. Ed è proprio la premier a scatenare il dibattito sui social, pubblicando la definizione da dizionario di cortigiana, che in senso figurato, e non come primo significato, riporta “prostituta”. Parole, accusa, utilizzate da chi “è obnubilato da un rancore montante”. Quando la sinistra non ha argomenti, affonda ancora la premier a distanza di due giorni dalla trasmissione tv, “per criticare una donna le dà della prostituta”. Nessuna offesa sessista ma “un giudizio politico”, ribatte Landini, con una nota che non basta a fermare le polemiche, anche perché dal leader della Cgil non arrivano scuse per la scelta del termine, quantomeno infelice. Il palco è quello di Martedì ed è il giorno dopo la firma degli accordi di pace per Gaza di Sharm el Sheik. 

Appena accolto Landini, il programma fa riascoltare alcune delle parole della premier pronunciate sul sindacato nelle ultime settimane, e in particolare un passaggio dal palco del comizio del centrodestra prima delle regionali in Toscana, sul fatto che lo sciopero generale: “In Palestina non cambia niente e in compenso in Italia gli italiani hanno un sacco di problemi e particolarmente ce l’hanno i lavoratori che il sindacato dovrebbe difendere”. Il segretario della Cgil replica che gli italiani in piazza sono scesi “per difendere l’onore dell’Italia” a differenza di “Meloni che si è limitata a fare la cortigiana di Trump e non ha mosso un dito”. Scelta, quella del termine cortigiana, che è “in qualche modo sessista” come sottolinea in diretta lo stesso conduttore Giovanni Floris. Tanto che Landini precisa: volevo dire “stare alla corte di Trump, essere la portaborse di Trump”. La stessa cosa che ribadisce dopo essere stato sommerso da una batteria di dichiarazioni piene di indignazione e solidarietà a Meloni. 

I risultati in Toscana scuotono il M5S e la strategia del campo largo

Il voto in Toscana, col calo dei consensi dal 7% al 4%, ha scosso il M5S e ha ravvivato un dibattito che, dalla Costituente di fine 2024, si era un po’ spento, con l’estromissione di Beppe Grillo e la fine del duello col presidente Giuseppe Conte. Il tema è il rapporto col Pd: nessuno mette in discussione che, per sconfiggere il centrodestra, il campo largo sia necessario ma nell’ultima riunione dei parlamentari la deputata Chiara Appendino ha criticato l’atteggiamento del M5S, giudicandolo troppo schiacciato sulle posizioni dell’alleato. Per il capogruppo del M5S alla Camera Riccardo Ricciardi“C’è stato un dibattito interno, come si fa sempre ma nessuna drammatizzazione. Il dibattito non finisce mai, facciamo un’assemblea ogni settimana”. La presidente della Sardegna Alessandra Todde ha rassicurato: nessun rischio scissione, “Abbiamo già dato”. Però la questione c’è. 

“Appendino poneva un tema di postura, di come si sta in un’alleanza” ha raccontato la deputata Vittoria Baldino, “Ha parlato di quello che è successo in Toscana. Io sono d’accordo con la strada intrapresa dal M5S in Toscana, ma sono d’accordo con lei: bisognerebbe parlare e capire con quale postura stare all’interno di un’alleanza”. Le regionali stanno rappresentando un test interno di gradimento della strategia delle alleanze. Per la presidente Todde, “il progetto è paradossalmente rafforzato: noi abbiamo deciso a livello nazionale di riuscire ad andare insieme al resto del centrosinistra in tutte le regioni, Marche e Toscana. Lo faremo in Puglia e ovviamente in Campania. Quel che conta è il progetto che si costruisce. Questo non vuol dire essere subordinati o succubi delle politiche di qualcun altro”. Ma nel M5S i distinguo non mancano. Quando ha alzato il dito, Appendino ha anche alluso alla possibilità di dimettersi dal ruolo di vicepresidente del partito. “Non c’è stata alcuna minaccia”, ha chiarito il capogruppo Ricciardi. Nessuna minaccia, ma Appendino è uscita dal coro. E il controcanto potrebbe crescere.

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