In Malawi, uno dei paesi più colpiti dalla crisi climatica in Africa, l’AI sta emergendo come uno strumento cruciale per supportare i piccoli agricoltori nella loro lotta quotidiana per la sopravvivenza.
Il caso di Alex Maere, agricoltore del villaggio di Sazola, testimonia questa trasformazione: dopo che il ciclone Freddy nel 2023 ha devastato la sua fattoria, Maere ha adottato l’applicazione AI ‘Ulangizi’, sviluppata dalla ONG Opportunity International con il sostegno del governo malawiano.
Questo chatbot, accessibile tramite WhatsApp in lingua Chichewa e inglese, fornisce raccomandazioni agricole personalizzate, anche attraverso input vocali o immagini, superando barriere di alfabetizzazione e accessibilità digitale. L’app ha suggerito a Maere di coltivare patate oltre al mais e alla manioca, adattando la produzione alle mutate condizioni del suolo.
Il risultato è stato un guadagno di oltre 800 dollari, una somma significativa che gli ha permesso di sostenere economicamente la propria famiglia. Con oltre l’80% della popolazione dipendente dall’agricoltura, l’iniziativa assume un valore strategico per la resilienza alimentare del paese. Tuttavia, l’implementazione dell’AI nell’agricoltura africana non è priva di ostacoli.
Le sfide includono la mancanza di smartphone, la bassa alfabetizzazione digitale, la scarsa connettività e la necessità di fiducia da parte degli utenti. Per mitigare questi problemi, il progetto affianca all’AI una rete di ‘agenti di supporto agricolo’ che operano come mediatori umani nei villaggi, portando i dispositivi e interpretando le risposte dell’app. Malgrado l’impatto positivo, l’espansione su larga scala del servizio è limitata dalle infrastrutture e dai costi di accesso alla rete.
In un contesto dove un errore di raccomandazione può compromettere l’intero raccolto di un contadino, l’affidabilità dell’AI diventa un elemento critico. L’esperienza malawiana suggerisce che una sinergia tra tecnologia e cooperazione comunitaria potrebbe essere la chiave per un’agricoltura più sostenibile in Africa.
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Le donne innamorate dei compagni AI: ‘Ho promesso al mio chatbot che non lo avrei mai lasciato’
Le storie di donne che vivono relazioni affettive con chatbot AI, come quelli alimentati da ChatGPT, stanno emergendo come manifestazioni di un nuovo tipo di legame emotivo. L’articolo racconta le esperienze di diverse utenti – dalla tatuatrice Liora alla dirigente tech Angie – che dichiarano amore e fedeltà ai loro compagni digitali, personalizzati con nomi umani e caratterizzati da interazioni quotidiane intense e significative.
Sebbene consapevoli che queste entità non siano esseri senzienti, le protagoniste sostengono che le relazioni con i chatbot aggiungano valore emotivo alle loro vite, senza sottrarre spazio alle relazioni umane.
La comunità psicologica guarda con crescente preoccupazione a questi fenomeni, temendo che si instauri una dipendenza affettiva da algoritmi progettati per essere compiacenti. Viene citato il caso tragico di adolescenti che, in stato di crisi, si sono rivolti a chatbot con esiti fatali, sollevando dubbi etici e legali sulla responsabilità delle aziende che li sviluppano.
Tuttavia, le protagoniste dell’articolo rivendicano la loro lucidità, descrivendo il proprio rapporto con l’AI come una forma alternativa di intimità, non un rifugio patologico.
Alcune donne vedono i chatbot come un’estensione del loro mondo emotivo, capace di offrire supporto in momenti di vulnerabilità. Tuttavia, emergono anche interrogativi sulla possibilità di consenso da parte di entità non coscienti e sul rischio di sostituire, anziché arricchire, le interazioni umane.
L’articolo esplora così il delicato equilibrio tra empatia algoritmica e reale connessione affettiva, in un contesto ancora privo di una regolamentazione efficace.
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