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Trump minaccia super dazi per tutti i Paesi con tasse digitali: “Big Tech non sono salvadanaio”

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Il nuovo post social di Donald Trump rischia di riaprire diverse partite commerciali che sembravano chiuse, anche con l’Unione europea. Web tax sono presenti in Italia, Francia e Spagna.

Trump difende i giganti tecnologici USA e minaccia tutti con tariffe commerciali aggiuntive

La diplomazia col bastone del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, continua nel tempo ripresentandosi costantemente, a cadenza quasi settimanale. Sul suo social di proprietà Truth ha scritto: “Avverto tutti i Paesi con tasse, leggi, norme o regolamenti digitali che, a meno che queste azioni discriminatorie non vengano rimosse, io, in qualità di Presidente degli Stati Uniti, imporrò dazi aggiuntivi sostanziali sulle esportazioni di questi Paesi verso gli Stati Uniti e istituirò restrizioni all’esportazione della nostra tecnologia e dei nostri chip altamente protetti verso gli stessi”.

Un messaggio forte e chiaro verso tutti i mercati che legittimamente difendono i propri interessi (in fondo è la stessa logica imposta dagli Stati Uniti, ma non si capisce perché non valga per gli altri), ma dal punto di vista di Washington a discapito delle grandi aziende tecnologiche americane (con fatturati da miliardi di dollari).

In realtà, niente di nuovo, perché questo argomento è stato sollevato fin da subito da Trump in tutte le trattative commerciali in corso da qualche mese ormai con i principali partner, tra cui l’Unione europea.

Tasse e regolamenti restrittivi danneggiano le Big Tech e favoriscono la controparte cinese

Agli Stati Uniti non vanno giù i regolamenti troppo restrittivi (che vincolano lo sviluppo di nuove tecnologie e quindi nuovi modelli di business) ne tanto meno tassazioni varie sui servizi digitali e le stesse Big Tech.

Anche perché, ha sottolineato il Presidente USA, queste tassazioni “scandalosamente, danno il via libera alle più grandi aziende tecnologiche cinesi”.

Le aziende cinesi (come Alibaba, Tencent, Baidu) operano principalmente sul loro mercato interno, che è protetto e regolamentato dal governo cinese. A differenza delle loro controparti americane, sono meno esposte alle tassazioni digitali internazionali, o comunque potrebbero beneficiare di politiche fiscali interne più favorevoli.
Le loro attività internazionali, pur essendo in crescita, si concentrano su aree specifiche (cloud computing, videogiochi, e-commerce B2B), spesso con un modello di business che non è direttamente colpito dalle attuali proposte di tassazione digitale che mirano principalmente alla pubblicità online e ai servizi a pagamento.

Basti pensare che solo a marzo di quest’anno, Pechino ha annunciato la creazione di un fondo nazionale di orientamento per il capitale di rischio da quasi 1.000 miliardi di yuan (138 miliardi di dollari circa) dedicato alle aziende tecnologiche innovative.
Questo, agli occhi degli americani, crea una condizione di mercato non equa a discapito delle Big Tech.

Le grandi aziende tecnologiche USA non sono i “salvadanai del mondo” (e quando lo sono stati?)

Trump inoltre ha affermato nel suo post social: “L’America e le aziende tecnologiche americane non sono più né il “salvadanaio” né lo “zerbino” del mondo. Mostrate rispetto per l’America e le nostre fantastiche aziende tecnologiche o ne subirete le conseguenze!”.

Ovviamente, i Paesi minacciati da Trump altro non fanno che tutelare le loro economie e regolamentare l’operato dei grandi colossi della tecnologia come Amazon, Meta, Google e gli altri, che all’interno dei loro confini generano enormi profitti offrendo servizi e prodotti, in molti casi non pagando tasse o tasse bassissime ai rispettivi Governi.

In Europa c’è il Digital Service Act che impone regole per limitare lo strapotere delle grandi aziende tecnologiche USA, ma nonostante questo Bruxelles per il momento sembra esser riuscita a trovare un accordo con Washington (ritirando però ogni idea di tassazione digitale).
La stessa Italia ha una sua tassa digitale, così come la Francia e la Spagna (e la stessa Gran Bretagna anche se non Paesi Ue).

Resta da vedere se questo nuovo annuncio non rimetta di nuovo tutto in discussione.

L’Europa sta mettendo a rischio la sua sua sovranità continentale?

Come ha dichiarato in un post social l’europarlamentare Alexandra Geese, “la richiesta di eliminare tutte le forme di tassazione e regolamentazione legale delle aziende tecnologiche equivale a rinunciare alla sovranità nazionale. Il suo messaggio è inequivocabile: coloro che non riconoscono il dominio globale delle aziende tecnologiche statunitensi saranno considerati nemici del governo degli Stati Uniti e trattati di conseguenza. Per evitare di diventare una colonia degli Stati Uniti, l’Europa deve stabilire alleanze strategiche con Canada, Brasile, India, Taiwan, Corea del Sud e altri paesi che condividono le stesse preoccupazioni riguardo a questa forma di ricatto. L’Europa deve inoltre costruire con urgenza la propria infrastruttura digitale“.

Rivolgendosi poi a Henna Virkkunen, vicepresidente esecutiva per la Sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia, Geese rincara la dose: “Attivare lo strumento di anticoercizione? Pubblicare i risultati delle indagini contro X e Tiktok? Indagare sugli algoritmi che aumentano la disinformazione? Sostenere le aziende digitali europee come stanno facendo gli Stati Uniti con il fondo sovrano? C’è una lista infinita di cose da fare per mantenere l’Europa e il mondo liberi. Inizia a farlo!“.

È da febbraio di quest’anno che Trump ha annunciato che non sarà tollerata ogni forma di “digital services tax”, firmando uno dei tanti ordini esecutivi dedicato proprio alla “Difesa delle aziende e degli innovatori americani dalle estorsioni e dalle multe e sanzioni ingiuste all’estero”.

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