L'analisi

Il futuro dell’energia si gioca tra Usa e Cina. E Pechino allunga il passo. L’analisi di ASviS

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La guerra per conquistare il mercato globale si sta inasprendo. Il Dragone esporta batterie per solare e pale eoliche nel mondo. Trump fa leva sui dazi per assicurare l’acquisto del petrolio Usa. Entrambi difendono interessi nazionali, ma uno dei due la sta spuntando.

Da una parte, la Cina e le rinnovabili. Dall’altra, gli Stati Uniti e le fonti fossili. Al centro un bel montepremi: il futuro dell’energia globale. È questa, in sintesi, la battaglia che due dei Paesi più potenti al mondo stanno combattendo a suon di strategie energetiche, mosse geopolitiche e dazi per guadagnare la supremazia del mercato globale. Si parla di interi settori industriali coinvolti, alleanze economiche e geopolitiche, effetti a cascata sulla società e sull’ambiente. Un conflitto che in un mondo sempre più caldo sta diventando cruciale, come fa notare il New York Times in un lungo approfondimento.

Cominciamo da qualche dato. In Cina lo scorso anno sono state installate più turbine eoliche e pannelli solari che in tutto il resto del mondo. Una crescita che si sta espandendo anche fuori dai confini. Le aziende di Pechino stanno costruendo fabbriche di veicoli elettrici e batterie in Brasile, Thailandia, Marocco, Ungheria e altrove.

Gli Usa, invece, fanno pressione su Giappone e Corea del Sud affinché investano “migliaia di miliardi di dollari” nei progetti per il trasporto di gas naturale in Asia. La General Motors ha accantonato i piani per produrre motori elettrici, e investirà 888 milioni di dollari per quelli a benzina.

Già così si può comprendere lo scenario: Trump vuole mantenere il mondo agganciato ai combustibili fossili, anche se sono molto più inquinanti delle alternative rinnovabili, mentre la Cina rema nel verso opposto.

Le ragioni sono per lo più economiche: gli Usa sono il maggior produttore mondiale di petrolio e il maggiore esportatore di gas naturale, e per tornare al “dominio energetico” tanto sbandierato in campagna elettorale la strada per il tycoon sembra essere solo una. La Cina non dispone invece di petrolio o gas a casa propria, e sta puntando tutto su pannelli solari e turbine eoliche a prezzi accessibili, esportandoli in tutto il mondo. Ed è ansiosa di eliminare la dipendenza dai combustibili fossili anche per una ragione interna: la forte dipendenza dal petrolio estero, in particolare iraniano, la cui disponibilità e prezzo oscillano a causa delle crisi globali.

È vero che la Cina brucia ancora più carbone del resto del mondo ed emette più anidride carbonica di Stati Uniti ed Europa messi insieme. Ma è anche vero che il suo sviluppo tecnologico sta procedendo al galoppo. È di poche settimane fa la notizia che una delle più importanti aziende cinesi, la Catl, ha immesso sul mercato batterie intercambiabili installate nei veicoli elettrici e progettate per essere sostituite in pochi minuti presso apposite stazioni, eliminando l’annoso problema dei tempi di ricarica. Pechino detiene anche 700mila brevetti di ricerca per l’energia pulita, più della metà del totale globale.

La Cina ha anche iniziato a investire massicciamente nell’energia nucleare, un settore un tempo dominato dagli Usa. Si parla di 31 reattori in costruzione (quasi quanti ne ha il resto del mondo) e grossi investimenti nella fusione nucleare, il Santo Graal dell’energia pulita quasi illimitata.

In risposta, l’amministrazione Trump sta facendo pressioni su altri Paesi affinché aumentino l’acquisto di petrolio e gas americani. A questo serve anche l’arma dei dazi, che il tycoon è tornato a brandire proprio in queste ore. Si tratta di una completa inversione di tendenza rispetto alla politica di Joe Biden: terreni pubblici e acque federali aperti per nuove trivellazioni, accelerazione dei permessi per gli oleodotti, megadecreti per cancellare definitivamente gli incentivi alle rinnovabili.

Ma molti Stati stanno adottando alternative più pulite, che Trump lo voglia o no. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, entro il 2035 solare ed eolico potrebbero diventare le due principali fonti di produzione di elettricità del pianeta, complice l’abbattimento dei costi. E gli Usa potrebbero trovarsi nella scomoda posizione di aver scommesso sul cavallo sbagliato, e aver perso anche quel po’ di terreno che avevano recuperato con l’amministrazione Biden. Con tanti saluti dalla Cina.

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