Violenza in streaming

Facebook sarà in grado di risolvere il suo errore peggiore?

di Rachele Zinzocchi, Digital Strategy R&D - laboratorio Digital Education |

Con 45 casi di delinquenze e morti andate in streaming, Facebook ha un problema con la violenza molto più grande di quanto in genere si sia pensato finora. Ma il social network di Zuckerberg sarà in grado di adattarsi al mondo che ha creato?

Almeno 45 casi di violenza – sparatorie, rapine, omicidi, abusi su minori, torture, suicidi – sono stati trasmessi in diretta via Facebook Live da dicembre 2015: circa due al mese.

Di ieri l’ennesimo allarme, lanciato da BuzzFeed News: «La violenza su Facebook live è peggio di quanto tu possa pensare». Stando a una nuova inchiesta condotta dalla testata, «Facebook ha un problema con la violenza molto più grande di quanto in genere si sia pensato finora». Guarda qui la mappa dei principali casi di delinquenze e morti andate in streaming.

Gli esempi, di cui abbiamo parlato lungamente anche qui, tornano d’altronde facilmente alla memoria. Dal 49enne James M. Jeffrey, un uomo dell’Alabama suicidatosi in streaming via Facebook Live – mille le volte in cui è stato visto il video prima che fosse rimosso – al 20enne Wuttisan Wongtalay, che in Thailandia ha ucciso la figlia di 11 mesi impiccandola, postandone poi  il video su Facebook, passando per il caso Cleveland, con al centro il 37enne Steve Stephens, di cui i media di tutto il mondo hanno discusso per giorni, o la 15enne stuprata in live streaming, la 14enne, oggetto di abusi per anni, suicidatasi in diretta su Facebook, la 12enne suicidatasi, sempre in diretta, il cui video è stato rimosso solo dopo due settimane da Facebook o, ancora, i casi dello scorso aprile, in cui tre sparatorie sono state trasmesse in diretta Facebook in soli due giorni (puoi rileggerli qui, qui e qui).

Potremmo continuare all’infinito. Non sarebbe però altro che un gettare altra carne su un fuoco fin troppo ardente: quel tema più globale riassumibile così: «Facebook e i social contro

#FakeNews e violenza online e offline, nella (presunta) difesa della privacy: una telenovela. Destinata a finir male.

Da parte mia, con in testa sempre il concetto di Educazione Digitale come Educazione Civica Digitale e, anzitutto, Educazione, me ne sto a lungo occupando da mesi (anche già solo grazie a quel che io chiamo il «TG della #Digital #Education su Telegram»). Qui e qui due esempi. Vogliamo però fare una sintesi del problema? Riepiloghiamo solo le ultime e principali bufere abbattutesi su Facebook e la rete a proposito dei temi considerati:

  1. Dati di minori a rischio suicidio venduti alle aziende per pubblicità. Solo qualche settimana fa scoppia la bomba lanciata da The Australian: «Facebook trova i minori che si sentono insicuri e ne rivende i dati alle aziende per pubblicità». Forte delle 23 pagine di Confidential: Internal Only, documento privato della società, lo scoop mette in luce come il Dio Algoritmo identifichi, tra 6,4 milioni di australiani e neozelandesi, i ragazzini «depressi, stressati, ansiosi, nervosi, stupidi, destinati al fallimento» e li dia in pasto a brand per #SocialAds. Più facile vendere a chi è vulnerabile. Come si suol dire, d’altronde, «se non paghi, sei tu il prodotto». Questo è il prezzo del gratis – essere non il cliente, ma il venduto.
  2. Tradotto? Facebook sa tutto di te. E vende i tuoi dati come e a chi vuole. Allarme lanciato già da Propublica, ricordato da The Next Web: Facebook traccia e possiede ogni tuo dato. Occhio: non solo della tua vita online, ma anche offline. Ti traccia, insomma, anche dal panettiere sotto casa. Così come Google, d’altra parte. Colpa dei dati che tu stesso hai dato loro, con i fiumi di interessi e preferenze personali condivise.
  3. Facebook e le multe milionarie per violazione della privacy, messe insieme in pochi giorni un mese fa: vogliamo parlarne? € 110 milioni dalla UE per false informazioni fornite sulla condivisione di dati con WhatsApp. 3 milioni dall’Antitrust per avere Indotto gli utenti ad accettare i nuovi termini di utilizzo dell’App di messaggistica, con condivisione dei dati da Facebook. Ancora, € 150mila dalla Francia per l’impiego di dati a fini pubblicitari di utenti internet, con o senza account.

E se già non fosse abbastanza, ecco un’altra bomba in arrivo. In ballo, un tracciamento di dati sensibili del valore di 400 miliardi di dollari. I paladini della privacy, che hanno sottoscritto  una lettera pubblica a Zuckerberg sulle implicazioni etiche del tracciamento dei minori, sono sicuri. «Benvenuti nella nuova era dei buchi della privacy di Facebook, dove la paura maggiore non è ciò che Facebook sa di te, ma se questa conoscenza può diventare un’arma di cui sei inconsapevole, e lo sarai sempre».

  1. La risposta di Facebook e degli altri social? La lotta, a parole, di un mix d’Intelligenza Artificiale e controllo umano, e 3000 assunti in più – ne abbiamo parlato anche qui. Già si disse: Le 3000 persone in più annunciate da Facebook per rafforzare il controllo sulla circolazione indiscriminata nel social di video e dirette via Facebook Live con omicidi, suicidi e soprusi di ogni genere? Non basteranno. «Non serviranno a nulla»: se non a «minare l’equilibrio emotivo dei futuri membri del team, sottopagati e sottoposti a una dura prova».
  2. Così puntualmente è stato. Nell’ordine, giunge da The Guardian l’ennesima bufera: i Facebook Files «revealed». «Ecco le linee guida e le regole segrete interne dei moderatori di Facebook su contenuti sessuali, terroristici e violenti», su quali contenuti permettere e quali cancellare. Policy segrete assurde, confuse e inconsistenti imposte agli addetti ai lavori per gestire il News Feed, ove a brillare è solo la confusione, non priva di stranezza. Basta dare uno sguardo a qualche regola. «Frasi come “Qualcuno ha sparato a Trump” devono essere distrutte»: però «I video di morti violente, pur flaggati come disturbing, non devono necessariamente essere distrutti, poiché possono aiutare a creare consapevolezza circa problematiche quali le malattie mentali». Ancora: «alcune foto di abusi fisici non sessuali e di bullismo verso i bambini non devono per forza essere distrutte, a meno che non vi siano elementi sadici o celebratori del gesto», oppure «Foto di abusi su animali possono essere condivisi», «I video di aborti sono consentiti, purché non si mostrino nudità (sic)» e, dulcis in fundo, «Facebook permetterà alle persone di trasmettere in diretta atti di autolesionismo, poiché non vuole agire come censore o infliggere ulteriori punizioni a chi già si trova in condizioni di difficoltà».

In queste condizioni di semi-anarchia – o monopolio che dir si voglia, da parte di Facebook – solo qualche giorno fa emerge un altro scandalo, ancora da The Guardian. L’identità dei moderatori del News Feed a disposizione, da anni, di terroristi, delinquenti e personaggi pericolosi in Rete. Un bug che ha riguardato oltre 1000 dipendenti  ha cambiato le vite di molti e ne ha costretto persino uno, di origine irlandese, a scappare per salvarsi la vita.

  1. Di sconfitta dei social tools, nella lotta contro #FakeNews, Web Violence, spam e clickbait, abbiamo a lungo parlato. Disputed News, Tag che flaggano e penalizzano news di scarsa qualità, Decaloghi e Guide, Consorzi in nome della NewsIntegrity, Intelligenze Artificiali o mani umane annunciate pronte lì, con mille occhi, a intervenire: nulla di tutto questo servirà.

E dire che, giusto 4 giorni fa, sembravi partito bene, caro Mark, con le tue Hard Question, sulla gestione di #FakeNews e Web Violence, nonché poco dopo con la bella dichiarazione d’intenti proprio contro i terroristi. Invece niente: anche stavolta ci hai deluso. A che servono, infatti, tante «domande impegnative», e paroloni contro i terroristi, se poi «non fai nulla contro tuo cugino che posta meme razzisti»?

Per alcuni scienziati l’Intelligenza Artificiale può aiutare nella prevenzione dei suicidi. Ma troppo spesso anche gli algoritmi sbagliano. Come dicevamo qui, poi, produrre Fake News costa incredibilmente poco. «Per 55mila dollari puoi screditare un giornalista, per 200.000 aizzare una protesta in strada». «Questa è la bestia che Facebook non può domare», è stato scritto su Quartz. E ancora: «L’intelligenza artificiale non è ancora abbastanza intelligente per funzionare come strumento di prevenzione».

E se Twitter non vuol esser da meno e rilancia battaglia contro violenza e #FakeNews provenienti da bot, e anche Google annuncia in queste ore, tramite il suo vicepresidente Kent Walker, nuove misure contro i contenuti diffusi su YouTube dagli estremisti – «Molto di più dev’esser fatto contro i contenuti diffusi online dai terroristi» – gli esseri umani non possono più aspettare.

  1. «Il vero problema, infatti, non sta nelle #FakeNews, ma in fiducia e manipolazione», ammonisce Jeff Jarvis. Le «bufale» sono il «sintomo della vulnerabilità delle istituzioni, in cui non abbiamo né dobbiamo più avere fiducia».

«Il lato oscuro dei social network» è d’altronde noto. E «Internet ha le sue leggi segrete». Come dicevamo qui, «distopia» sembra il nuovo nome della nostra società oggi: «L’età dell’oro del pessimismo radicale». Solo l’ultimo degli allarmi in tal senso.

Da Richard Hendricks, fondatore di Pied Piper«Stop a intermediari, Facebook, Google, per un nuovo Internet senza regolamentazioni, censure», a Evan Williams, «Internet si è rotto», o Tim Berners-Lee, papà del Web, «Internet è morto», fino a Maciej Cegłowski: «Viviamo un Internet feudale», dominato da Apple, Google, Microsoft, Amazon e Facebook. «Scegliti un signorotto che ti protegga», è il suo ammonimento.

Già due mesi fa il New York Times si chiedeva: «Zuckerberg ora riconosce il lato pericoloso della rivoluzione social cui lui stesso ha dato il via. Ma il più potente strumento che la storia abbia mai visto per connettere l’umanità sarà in grado di adattarsi al mondo che ha creato?». La via per Mark è chiara: «La risposta di Zuckerberg a un mondo diviso da Facebook? Più Facebook».

  1. La soluzione vera però sta altrove: in un reinventarsi, con equità, trasparenza, responsabilità e onestà. Come Jarvis fa, ad esempio, col progetto News Integrity Initiative. E come in generale tutti dovremmo fare acquisendo coscienza della necessità, non più rinviabile, di una nuova Educazione: Educazione Digitale, Educazione Civica Digitale. Fatta di Cultura, Umiltà, Etica.

Da parte mia, la risposta è chiara. Sta nel coraggio di comprendere responsabilmente, eticamente, il Digitale come strumento, non buono o cattivo in sé, ma tale in base all’uso che se ne fa, al fine di aiutare tutti ad acquisire competenze e mezzi per un uso consapevole, proficuo di Internet e Web, social network, social media, la Rete – online e offline – col suo universo di apparecchi e «Intelligenze Artificiali», parte ormai integrante di uffici e case, del nostro modo di pensare e persino di vestire. Per imparare, dunque, a usare il Digitale bene per il bene: un Digitale Utile, Etico che, proprio in ciò, porterà utilità, efficacia, produttività, redditività, nel business e nella vita nostra, dei nostri figli, della società tutta.

«Perché tutti questi riferimenti all’aiutare?», si potrebbe chiedere. Perché oso dire che «aiutare fa guadagnare»? Semplice. Perché, nella nostra epoca di crisi – nell’età «della scienza e della tecnica» – non ci servono fuochi d’artificio, ma chi ci ripara il rubinetto che perde: chi ti abbraccia al momento giusto o ci fa fare una risata, o magari vieni a prenderci alle 4 del mattino in tangenziale perché ci si è forata la ruota della macchina e non sappiamo chi chiamare. Chi ci aiuta, insomma: nelle esigenze serie come in quelle più leggere.

Capire e usare responsabilmente, eticamente la rete, significa usarla aiutando, aiutare usandola: quel che io chiamo #HelpMarketing, #HelpFullNess, «il» nuovo modello di business, la nuova strategia per avere successo, raggiungere i propri traguardi e obiettivi nel lavoro e nella vita, come teorizza Jay Baer con la sua Youtility. Un «essere utile per avere l’utile», «fare l’utile con l’utilità». «Aiuta», vien da dire, «avrai successo, nel business e nella vita». Questa, a mio umilissimo avviso, è la via per usare al meglio e per il meglio, con responsabilità, autenticità, affidabilità, gli strumenti del mondo digital ove non solo siamo, ma che noi stessi siamo.

Tanto sono convinta che la exit strategy stia in una «Educazione Digitale che aiuta», che ho deciso di dar spazio a un nuovo tema, richiestomi da molti: la «finanza» – più semplicemente i tuoi soldini… Ne è nata una piccolissima, umilissima nuova rubrica: Educazione Digitale Finanziaria (curata non certo da me, ma da Riccardo Rossi, Financial Consultant & Advisor Sanpaolo Invest, tra i massimi esperti del settore), di cui ha debuttato da poco la prima puntata. Risposta a una domanda di vita quotidiana, quella che più mi era stata richiesta qui: senza bacchette magiche ma solo con testa, cuore e buon senso per spiegar in parole semplici quel che nessun altro ti spiega – e poi chi ne fa le spese sei tu, siamo noi.

Mi fermo qui. Non sarà certo questo a risolvere piaghe tanto serie come quelle riepilogate finora. C’è però, ormai, un dovere preciso per ciascuno di noi: non limitarsi a «dire», ma «fare». Metterci la faccia: per quella goccia nel mare – ma forse qualcosa in più – che può significare.