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8 marzo, le donne nuovo motore dell’economia digitale

Al lavoro, per tenersi informati, per curare le relazioni sociali e famigliari, per divertirsi, per studiare, per organizzare un viaggio e per non perdersi in una città sconosciuta, la tecnologia ha preso definitivamente posto nel nostro quotidiano individuale e collettivo, favorendo nel tempo l’emersione di una nuova figura sociale ed economica della donna.

L’innovazione tecnologica ha dato di fatto una grande mano nel lavoro di riduzione del cosiddetto gender gap tra uomini e donne. La strada è ancora lunga, tanti problemi e molte delle ingiustizie storiche sono sempre sul tavolo, ancora da affrontare, sia da un punto di vista culturale, sia politico, ma qualcosa è successo e la tecnologia digitale ha di fatto posto uomini e donne sullo stesso piano lavorativo, depotenziando la forza fisica e i suoi vincoli biologici, prediligendo invece competenze, idee, intuizioni, tenacia, caparbietà, capacità di lavorare in team e voglia di misurarsi con sfide sempre più grandi.

Smartphone, tablet, programmazione, ecommerce, infotainment, applicazioni, intelligenza artificiale, automazione, internet delle cose, realtà virtuale, società dei dati, robotica, sono queste le tecnologie disruptive che sono intervenute e intervengono a cambiare la storia, favorendo un ruolo economico del tutto inedito della donna.

Un percorso di crescita e di affermazione che è ancora in corso, che non si sarebbe mai realizzato senza l’impegno negli anni passati di tante e di tanti per superare pregiudizi e stereotipi, per cambiare una cultura vecchia e dispotica, per migliorare le condizioni di vita di milioni di donne in tutto il mondo (e ancora troppo c’è da fare).

Se ne fa un resoconto generale in un capitolo a parte del nuovo Report Eurispes “Eurispes. Studio, italiane: quattro istantanee per un ritratto, dedicato a tutte quelle novità high tech che negli ultimi anni hanno inondato i mercati di tutto il mondo.

Grazie all’innovazione le donne fanno acquisti online, aprono imprese e startup dell’ecommerce, sostengono i consumi nell’elettronica comprando nuovi prodotti e sfruttando servizi di nuova generazione, sono più propense a confrontarsi con la trasformazione digitale e le sue applicazioni.

L’Eurispes parla apertamente di “Donne motore dell’economia” e noi possiamo aggiungere “digitale”. Ad esempio, per quanto riguarda il mercato degli smartphone, “oltre sette donne su dieci cambiano apparecchio solo quando quello vecchio non funziona più, il 12,6% quando il modello e le funzionalità sono superati, solo una su dieci lo sostituisce quando ne esce uno che le piace di più e il 6,9% appena ne ha la possibilità”.

I numeri cambiano se si considera solo la fascia delle giovanissime: “sono il 15% a confessare di cambiarlo appena possono, e il 19% a dichiarare di acquistarne uno nuovo quando adocchiano un modello più bello”.

Sempre con lo smartphone vicino, dal divano al letto, dal bagno all’automobile

La tecnologia è donna: non esiste alcun gap tra maschi e femmine in tema di tecnologia legata alle abitudini quotidiane”. Così inizia il capitolo dedicato a donne e tecnologia.

Il 64,6% delle donne consulta il proprio smartphone mentre guarda la televisione, “il 63,4% se lo porta dentro al letto e lo controlla prima di andare a dormire e appena apre gli occhi, il 55% parla e scrive mentre cammina, poco meno della metà non ne fa a meno nemmeno quando va al bagno (44,7%)”.

Più di una donna su cinque lo tiene sott’occhio persino mentre sta guidando.

I risultati sono ancora più eloquenti se si prendono in considerazione le giovanissime tra i 18 e i 24 anni: “per il 92,5% di loro il cellulare diventa un oggetto indispensabile prima di addormentarsi e appena sveglie, e per oltre nove su dieci è uno strumento da consultare davanti alla tv; inoltre il 75,5% non ci rinuncia quando è in bagno”.

L’immersione nei social e gli occhi sempre aperti

Altrettanto stretto è il legame che le donne di ogni età hanno sviluppato con la rete e in particolare con i social network: “il 78,5% crede che siano di aiuto per restare in contatto con i propri amici, il 71,8% che consentano di essere informati sull’attualità; per il 63,4% aiutano a fare nuove conoscenze e per il 62,5% sono uno strumento utile di lavoro”.

La grande maggioranza è comunque cosciente anche degli aspetti negativi: “il 64,8% ritiene che attraverso l’anonimato i social favoriscano comportamenti aggressivi e offensivi, il 63,9% che siano pericolosi perché mettono a rischio la privacy”.

I giudizi positivi su questo tipo di tecnologia provengono da donne laureate e, in generale, le maggiori sostenitrici sono anche quelle più consapevoli dei rischi.

Il Report ha indagato anche sulle abitudini di utilizzo prevalenti fra le donne che frequentano le reti sociali. L’attività più comune è quella di guardare le attività e le foto degli amici (88,3%), “l’86,2% usa le chat, il 78,8% ascolta e guarda video, per il 77,7% sono uno strumento per tenersi informate”.

Ancora, “scrive che cosa fa e pensa il 58,5% delle intervistate, scrive commenti il 68,2%, si iscrive a pagine su argomenti e personaggi il 55% e il 56,2% usa i social per conoscere persone nuove”.

Secondo lo studio, infine, “sono le donne conviventi quelle che sfruttano maggiormente le attività offerte, seguite dalle nubili e dalle vedove. Le sposate e le separate/divorziate sono invece più riservate”.

Se da un punto di vista economico, prettamente commerciale, il ruolo della donna sta crescendo e acquisendo un peso strategico, in quello lavorativo però la situazione rimane complessa e le differenze di genere ancora persistono.

In Europa, ad esempio, colo il 20% dei laureati in informatica è donna e sono donne solo il 9% degli sviluppatori e il 19% dei responsabili della comunicazione.

I dati sono stati diffusi dalla Commissioni del Parlamento europeo per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere.

Stesso discorso nel settore dei media, qui la rappresentanza delle donne è bassa: solo il 36% tra i dirigenti e il 33% nei consigli di amministrazione.

In un talk show politico, ad esempio, le donne sono invitate solo a fornire un’opinione (41%) o a riportare esperienze personali (38%), non certo a dare il proprio parere da esperte (solo nel 17% dei casi accade).

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