il caso

6 giorni senza fibra, storia di un naufragio digitale

di Mister Robinson |

Mercoledì 26 maggio, ore 8 del mattino, sto per iniziare il mio sesto giorno da naufrago digitale. Sei giorni senza fibra, senza connessione alla rete fissa, abbandonato da mamma Tim e con il pc improvvisamente trasformato in una versione evoluta della Olivetti 22.

Sono certo che non resterò per quasi 28 anni sull’Isola della disperazione, come il mio illustre antenato, tuttavia annuncio ai miei quattro lettori che oggi, mercoledi 26 maggio, ore 8 del mattino, sto per iniziare il mio sesto giorno da naufrago digitale. Sei giorni senza fibra, senza connessione alla rete fissa, abbandonato da mamma Tim e con il pc improvvisamente trasformato in una versione evoluta della Olivetti 22.

Quando venerdì, dopo pranzo, mi sono accorto dell’accaduto, passato il primo momento di panico ho cominciato a massaggiare amorevolmente cavi e spinotti, a mandare delicati pensieri alla signora delle pulizie che sicuramente “avrà spostato qualcosa”, a verificare prese, contatti elettrici e quant’altro. Poi ho iniziato a spegnere compulsivamente il modem e a riavviarlo, una, due, tre volte. Infine, rassegnato, mi sono deciso a chiamare il 187.

Sono stato accolto dalle braccia amorevoli e sollecite di un bravo ragazzo. Ho pensato che Tim, probabilmente, investe molto nella formazione dei suoi operatori di call center. Il ragazzo si è mostrato da subito non solo professionale ed efficiente, ma anche rassicurante, empatico, tranquillizzante, persino capace di governare la strumentazione di base di uno studente di psicologia.

Non si preoccupi, vediamo, ora controllo, magari risolviamo subito…sa cosa deve fare lei intanto? spenga il modem e lo riavvii”. “Guardi l’ho già fatto tre volte…”. “Ah…l’ha già fatto…eh sì…in effetti vedo che c’è assenza di connessione…”. “Beh, si, lo credo…è la ragione per cui ho chiamato il 187”.

Lui ce l’ha messa tutta. Davvero. Poi però alla fine abbiamo dovuto aprire il ticket per l’intervento tecnico. E a questo punto è accaduto il miracolo. Dopo meno di un’ora, ricevo un primo sms che mi informa che l’azienda non mi ha abbandonato, che i suoi tecnici stanno già lavorando per me, che entro 24 ore “salvo problematiche di particolare complessità”, il problema sarà risolto. Tra venerdì e domenica ne ho ricevuti 6 di sms del medesimo tenore. L’azienda mi coccola e mi protegge. I suoi software intelligenti sanno come cullare e rassicurare il cliente. Mi sovvengono superficiali letture in tema di machine learning e intelligenza artificiale. Vorrei tanto spiegare a Shoshona Zuboff e a tutti i teorici del capitalismo della sorveglianza che senza l’intelligenza artificiale non avrei in questo momento tutti i software del customare care di Tim pronti a rassicurarmi e cullarmi. Sono felice, speranzoso e guardo al futuro con grande ottimismo.

Sabato in tarda mattinata suona il citofono. Un simpatico tecnico in tuta rossa mi chiede le chiavi di accesso agli stipiti condominiali che proteggono contatori e centraline. Apprendo che nel palazzo ci sono numerosi altri malcapitati e che il guasto riguarda, forse, altri edifici della zona, e va comunque risolto da centrale.

Lo slang è splendido, e mi mette di ottimo umore. “Dotto’, qui se devesse staccata na bretella, na ciavatta, tocca vede’n centrale…da qui nse po ffa gnente”.

Chiedo se siamo in tempo a risolvere in giornata e apprendo che alle 13 circa di sabato, sarà molto difficile “…speriamo de beccà un turnista…magari semo fortunati”. L’empatia aziendale colpisce ancora. L’uso del plurale è davvero magistrale. Faccio un’altra domanda e la risposta ha la saggezza del miglior Eugenio Montale. È ora di pranzo, d’altra parte, e gli Ossi di seppia evocano magari un più prosaico risottino di mare.

“Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Dice più o meno così il tecnico quando gli chiedo di spiegarmi cosa succede e quanto grave sia il problema. E io lo amo all’istante.

Domenica. Sono rassegnato. Se non si trova un turnista di sabato pomeriggio figuriamoci di domenica. Però ho Guerra e Pace in bella vista su uno scaffale, lo afferro e sono certo che non lo avrei mai fatto se avessi avuto la connessione e fossi stato sul mio pc a godermi qualche library in streaming. D’altra parte, aggrapparmi a Sky go sullo schermo del cellulare mi sembra troppo da sfigati, e poi c’è la vecchia parabola che mi assicura una magnifica visione del GP di Montecarlo, anche se con la Rossa azzoppata. A ramengo la fibra, penso, chissenefrega.

Al tramonto riprendo Guerra e Pace e salgo in terrazza, non prima di una deviazione verso il router cui indirizzo alcuni garbati moccoli. Mentre guardo il cielo che si scurisce, riprendo le pagine immortali in cui il principe Andrey, ferito e riverso sul campo di battaglia, immobile nel silenzio della sua anima in contemplazione, guarda l’immensità del cielo con occhi nuovi. “Che silenzio, che calma (…) sono diverse queste nuvole che corrono nel cielo alto e sconfinato. Come mai prima (nell’infuriare della battaglia – ndr -) non lo vedevo questo cielo sublime?”. Andrey è grato alla sorte, che gli ha riservato una ferita in battaglia senza la quale non avrebbe mai percepito l’Immenso. Sollevo lo sguardo in alto al mio cielo e, tra gli ultimi cirri rosa di un tramonto che assomiglia finalmente ad un tramonto di inizio estate, mi godo Boote, la costellazione del Pastore, e la sua stella più luminosa, Arturo. Come il principe Andrey sono commosso, e rivolgo un grato pensiero al management di Tim e alla direzione infrastrutture di rete dell’azienda, senza il cui operoso concorso mai avrei goduto di così immenso spettacolo.

Lunedì è giorno di silenzio. Ma anche il silenzio è figlio dell’operosità, lo sappiamo bene. I software intelligenti del customare cure hanno esaurito ogni risorsa di fantasia. Oppure sono stati messi da parte come inutili orpelli di retorica aziendale, da una squadra di tecnici al lavoro. Il modem lampeggia minacciosamente, il telefono fisso tace, il led rosso mi dice che siamo ancora in alto mare. Metto su un disco di Francesco Guccini. “… E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito; quanto tempo è ormai passato e passerà?”. Escludo che Guccini ce l’avesse con la Tim. Però il dubbio mi assale. Quanto tempo è ormai passato e passerà, è proprio la mia domanda …

Martedi, quinto giorno da naufrago digitale. Alle 14 un sms mi informa che il guasto è riparato. Tuttavia, devo verificare nell’arco delle 24 ore successive l’effettivo ripristino del servizio. Mara Majonchi direbbe… “E alooora?”.

Alle otto del mattino successivo (mercoledi), di effettivo ripristino del servizio ancora non se ne parla. Quando scendo sotto casa trovo altri due tecnici che armeggiano sulla centralina condominiale, con un tizio a mani giunte che li implora, neanche fossimo a Lourdes, di metterlo in condizione di lavorare. Provo a capire che succede, ma i due tecnici scuotono la testa e sembrano più rassegnati di me.

Poi, come per incanto, mia moglie all’ora di pranzo mi informa che finalmente il led rosso sul modem è sparito, sostituito dalla rassicurante lucina verde.

Sono passati quasi sei giorni. Non so cosa sia successo. Non so quale fosse la complessità tecnica da risolvere. Non so se l’azienda vorrà spiegarsi e scusarsi con i suoi clienti. Ignoro perché in questi cinque giorni, in luogo di inutili sms di routine, non abbia ricevuto una comunicazione che mi avvertiva che per sopperire al disagio sulla rete fissa avrei avuto a disposizione qualche giga in più sul numero mobile Tim nella mia disponibilità. Non so se sull’importo della prossima bolletta troverò traccia di questo episodio.

Però so una cosa. Che non chiederò né rimborsi, né indennizzi. Anzi sono disponibile a riconoscere un modesto ritorno economico, da concordare, all’azienda che in questi giorni mi ha simpaticamente offerto l’opportunità di accendere un vecchio wi-fi, sfogliare libri che ignoravo da anni e capire finalmente cosa intendeva Giuseppe Ungaretti quando parlava di Allegria di naufragi.

Un allegro naufrago digitale, ecco come mi sono sentito. Si può fare, insomma. Lo diceva anche Branduardi qualche decennio fa. Solo che la canzone andrebbe corretta in un dettaglio.  Si può (ancora) crescere o cambiare, si può (ancora) prendere o lasciare…ma non si può continuare a navigare, non con la connessione in disarmo. Ma non è detto che sia solo un male.