Le regole

5G, tempi stretti per sperimentazione. Bando Mise a tappe forzate

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Appena due mesi di tempo concessi agli operatori per presentare i progetti sperimentali per la fase pre-commerciale del 5G in 5 città italiane. Troppo poco?

Tempi strettissimi per la sperimentazione del 5G in Italia, un progetto strategico per la ripresa economica dell’Europa, richiesto a gran voce dalla Ue, per il quale però gli operatori di casa nostra saranno costretti a fare di corsa. Il bando del Mise per l’assegnazione delle frequenze in banda 3.6-3.8 Ghz in 5 città (Milano, Prato, L’Aquila, Bari e Matera), pubblicato il 16 marzo, concede meno di due mesi ai soggetti interessati per organizzarsi, costituire i consorzi e mettere a punto i progetti da sottoporre al ministero per la fase di test pre-commerciale sul 5G.

I tempi

C’è tempo soltanto fino al 15 maggio per fare domanda, e vista la fretta del Mise di entrare nella fase operativa, gli operatori dovranno fare tutto di corsa. L’assegnazione dei progetti avverrà poi entro il 31 luglio mentre la fase operativa dovrà partire entro il 31 dicembre 2017, ma poi ci sono 4 anni di tempo per la loro realizzazione.

Le richieste del bando sono peraltro piuttosto stringenti, con criteri di valutazione dei punteggi che a prima vista sembrano a volte più qualitativi che quantitativi.

Leggendo l’avviso, si evince che la proposta progettuale avanzata dai contendenti dovrà essere molto dettagliata, indirizzata all’analisi di uno o più casi d’uso tra quelli definiti per il 5G dall’ITU, l’organismo dell’Onu che decide le politiche internazionali dello spettro radio, fra cui l’eMBB (Enhanced Mobile Broadband), m-MTC (Massive machine Type Communications) e URLL (Ultra reliable and Low-Latency Communications. Tutti ambiti di grande interesse ma nuovi, futuribili e alquanto complessi, per cui i contendenti dovranno cimentarsi su un terreno pressoché vergine, e per questo forse avrebbero bisogno di approfondimenti tecnici preliminari più consistenti.

Chi può partecipare

Per quanto riguarda i soggetti ammessi alla procedura selettiva, poi, emerge un altro elemento curioso, come si evince dal bando: “…In ogni caso il soggetto capofila deve essere individuato in uno o più operatori di comunicazione. I partecipanti diversi dal soggetto capofila possono partecipare solo ad un’associazione o ad un raggruppamento in forma di partnership, pena l’esclusione dalla procedura di selezione…”. Mentre i capofila dei progetti, che con ogni probabilità saranno gli operatori di rete classici (Vodafone, Wind-3, TIM se vorrà), potranno partecipare a diverse associazioni e raggruppamenti d’impresa o raggruppamenti in forma di partnership (in diverse città), questa possibilità è negata a tutti gli altri soggetti partecipanti (startup, PA, Università, enti di ricerca, Pmi, produttori di apparati e manifatturieri).

Gli OTT possono entrare in un consorzio, ma se ottengono l’autorizzazione come operatori di rete (e non è difficile) potranno anche fare da capofila.

Al contrario, la possibilità di partecipare a diversi consorzi è negata ai produttori di apparati e ai manifatturieri.

Perché i produttori di apparati di rete e le aziende manifatturiere non possono partecipare a diversi consorzi?

Come si vince?

Passando infine ai crismi di valutazione del bando, sarà premiato con 20 punti il criterio temporale. Il progetto di più rapida e più ampia portata in termini di chilometri quadrati coperti sarà quindi avvantaggiato, come sarà valutata positivamente l’efficienza di utilizzo dello spettro, la replicabilità, il grado di coinvolgimento di istituzioni e amministrazioni pubbliche. Anche la propensione al rischio d’impresa e la volontà d’investimento sarà un plus. Sembra mancare, invece, una valutazione più strettamente legata alla validità economica, e non soltanto sociale, dei vantaggi attesi dai diversi progetti.