Spettro radio

3G verso lo switch off in Italia. Ma è giusto che decidano le telco?

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Lo switch off del 3G è cominciato ed entro l’anno prossimo questo standard di comunicazione mobile andrà in pensione. Le frequenze verranno usate ad altri scopi, ma perché decidono le telco?

Lo switch off del 3G (2100 Mhz e 900 Mhz) è cominciato ed entro l’anno prossimo questo standard di comunicazione mobile, che a suo tempo servì per il lancio del “mitico” Umts, andrà in pensione. E’ una decisione presa dai principali operatori mobili, da Tim a Vodafone a Wind Tre, che avrà delle conseguenze sulle policy dello spettro radio e su chi utilizza queste frequenze, usate per servizi voce ma anche per la comunicazione M2M in diversi settori verticali. Tra l’altro, questo spegnimento da un certo punto di vista è “storico”, perché è la prima volta che sono gli operatori a decidere in autonomia di dismettere uno standard mobile, senza che ciò dipenda dalla scadenza dei diritti d’uso fissati dall’Agcom, che fino ad oggi sono sempre stati rinnovati tacitamente senza nuove aste.  

Ma è giusto che siano gli operatori a decidere lo spegnimento e la destinazione d’uso delle frequenze?

Che fine faranno le frequenze?

Saranno destinate progressivamente a 4G e 5G?

Come saranno usate?

E quali sono le conseguenze di questo spegnimento deciso dagli operatori per i Vertical che usano queste frequenze?

C’è un dibattito in corso su questi temi?

Cosa ne pensano le aziende i cui servizi M2M saranno toccati dallo spegnimento del 3G?

Lo switch off della banda 700 dei broadcaster gestita dallo Stato

Per dire, attualmente i broadcaster televisivi stanno dismettendo la banda 700 Mhz, nel quadro della migrazione ampiamente prevista e programmata di queste frequenze dalla Tv al mobile per il lancio del 5G. Ma in questo caso la roadmap dello spegnimento è stata fissata dal Mise e non certo dalle emittenti televisive.

Nel caso del 3G, che con ogni probabilità sarà pensionato nel 2023, non è così. Sono gli operatori che stanno decidendo in autonomia di spegnere. Il refarming del 3G non lo fa lo Stato, ma gli operatori. E con ogni probabilità la medesima cosa avverrà per il 2G, usato per servizi più delicati del 3G, il cui spegnimento è previsto per il 2029.

Ma cosa significa tutto ciò?

Perché lo switch off in autonomia del 3G è un fatto nuovo e potenzialmente dirompente nelle policy di gestione dello spettro radio?

Quali implicazioni avrà questo nuovo modo di gestire lo spettro per gli operatori Tlc?

Quali conseguenze avrà questo switch off su altri settori e servizi M2M che viaggiano sulle frequenze del 3G?

Non sarebbe preferibile un processo di switch off frequenziale gestito dallo Sato?

A questo punto, è giusto immaginare un utilizzo delle frequenze in mano direttamente ad alcune aziende verticali, per “saltare” l’intermediazione degli operatori?

Il contesto attuale dello spectrum management

Le frequenze sono una risorsa che può essere utilizzata per metterci sopra tecnologie diverse. Ad esempio, sulle frequenze 900 Mhz si può far viaggiare, volendo, il 5G creando una capacità di trasmissione molto maggiore. L’esempio tipico di tutto ciò sono le frequenze televisive: prima si trasmetteva con il DVB-T adesso si trasmetterà con il DVB-T2. Con il DVBT si aveva una certa capacità, di 20 Mbps, con il -T2 si passa a 40 Mbps.

I vecchi operatori televisivi avrebbero potuto dire che se la tenevano loro la banda 700, perché passando a 40 Mbps avrebbero avuto molta più capacità a disposizione, che gli avrebbe consentito di fare tutto quello che facevano prima più altre cose. Ad esempio, trasmettere in HD e 4K, ma anche in 8K. Fare concorrenza al satellite, alla banda larga fissa.

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Ma lo Stato è intervenuto e glielo ha impedito. Anche se i diritti d’uso sarebbero scaduti nel 2032, lo Stato si è ripreso le frequenze, ha compresso i broadcaster nella metà delle frequenze che avevano prima, mentre l’altra metà è stata venduta alle telco. Le emittenti televisive hanno dovuto accettare questa posizione dello Stato, che quindi si è ripreso quelle frequenze e le ha riutilizzate.

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Dismissione del 3G non la fa lo Stato

Ma lo stesso meccanismo usato dallo Sato lo può rifare una telco, che ha delle frequenze a disposizione?

Sì, è quello che sta succedendo con le frequenze 3G e che succederà fra qualche anno (nel 2029) quando arriverà a fine servizio anche il 2G. Possono le telco decidere di usare le frequenze 2G ad esempio per il 5G? Ipoteticamente sì. Potrebbero decidere di usarle per fare tutto quello che ci facevano prima, ma con uno smartphone 5G. E inoltre l’operatore potrebbe avviare tutta una serie di nuovi servizi, che prima erano impossibili per mancanza di capacità. E’ quello che è accaduto per le frequenze assegnate per il WiMax e che sarebbero scadute alla fine del 2022, non solo lo Stato non ha atteso di rientrarne in possesso ma le ha prorogate fino al 2029 e ha consentito ai vecchi assegnatari di utilizzarle per realizzare reti 5G.

Chi gestisce lo spettro?

Il proprietario delle frequenze che le ha acquisite in un’asta onerosa sta disponendo di frequenze su cui, però, viaggiano servizi di grandi aziende verticali che hanno investito in infrastrutture 3G e 2G. Ad esempio, Enel, che ha investito in infrastrutture 2G per la trasmissione dati di milioni di contatori elettronici dovrà, fra qualche anno fare i conti con lo spegnimento del 2G quando si deciderà di sostituirlo con il 5G. Molti Vertical saranno costretti a cambiare tecnologia.  

Per esempio, un altro settore verticale che sarà toccato sono i produttori di sistemi d’allarme che funzionano in 2G o 3G.   

Quando il 3G e il 2G chiuderanno, tutti i sistemi di allarme che funzionavano su quelle frequenze smetteranno di funzionare da un giorno all’altro. Dovranno essere aggiornati.

Un problema che toccherà tutti i produttori di allarmi ma soprattutto tutti gli utenti, che si ritroveranno con sistemi di allarme obsoleti e non più funzionanti.

Quelli che andranno più in crisi sono i grandi sistemi verticali: l’Energia; le Ferrovie; le strade.

Le Ferrovie (RFI) hanno costruito un intero sistema di monitoraggio basato sul 2G su tutta la loro rete, basandosi sull’idea che gli operatori avrebbero continuato a servirla per sempre, e improvvisamente si sentono dire che no, è finito e che è giunto il momento di sostituire il sistema perché andato in obsolescenza.

Gestione dello spettro

A questo punto sorge una domanda: è giusto che nel momento in cui scadono i diritti d’uso delle frequenze vengano indetti dei bandi destinati esclusivamente a operatori nazionali di telecomunicazioni. Oppure non sarebbe più giusto distribuire una parte di questo spettro un po’ all’Energia, un po’ alle Ferrovie e un po’ agli altri settori verticali, in modo tale che ognuno abbia le sue frequenze?

E’ giusto che i Vertical abbiano una certa parte dello spettro dedicata direttamente a loro?

L’idea sarebbe quindi che i servizi dei Vertical venissero gestiti direttamente dalle aziende, senza l’intermediazione degli operatori. In questo modo, i verticali potrebbero costruire direttamente le loro reti con frequenze, anche locali, che ottengono in licenza.  

Ad esempio, RFI potrebbe acquisire le frequenze locali lungo le ferrovie e alcune bande sarebbero utilizzate lì, per il monitoraggio della rete ferroviaria.

Spaccatura fra autorità?

La domanda di fondo è se a proposito dell’uso dello spettro ci sia il giusto interscambio e rapporto fra le diverse autorità. L’Agcom, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sarà certamente interessata al futuro dei contatori del gas o al monitoraggio della rete ferroviaria, ma di sicuro su questi temi avranno un maggior interesse rispettivamente l’Autorità dell’Energia (Arera) e quella dei Trasporti (Art). In prospettiva, si andrà certamente verso un nuovo regime che prevede l’assegnazione delle frequenze ai settori verticali di energia, trasporti e gas.

In prospettiva, con l’avvento del 5G, le telco diventeranno i fornitori di capacità dei Verticali ma difficilmente potranno pretendere dai Verticali il cambio della loro tecnologia quando lo decidono le telco.

SIM M2M al 30 settembre 2020 sono 26,3 milioni

Salgono a 104,1 milioni le SIM complessive attive in Italia al 30 settembre 2020, secondo quanto riferisce l’AGCOM nel suo report trimestrale sulle comunicazioni.

Linee rete mobile Settembre 2020

Le SIM M2M (Machine to Machine) alla stessa data salgono a 26,3 milioni mentre le SIM “Human” (ovvero escluse le M2M, ma incluse le SIM che effettuano traffico «solo voce» o «voce e dati», incluse le SIM solo dati con interazione umana come ad es: chiavette per PC, SIM per tablet) sono 77,8 milioni (in calo).