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Piano Industria 4.0 al via. Carlo Calenda (MISE): ‘E’ la partita del Paese’

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Il piano mette insieme sei ministeri e sembra convincere Confindustria e sindacati. Calenda: mai più incentivi a bando ma solo 'incentivi fiscali orizzontali'.

Il Governo scende in campo in favore dell’Industria 4.0 con un Piano Nazionale ad hoc che prevede investimenti pubblici per 13 miliardi di euro nel periodo 2017-2020 che dovrebbero mobilitarne 24 miliardi privati (10 miliardi in più di investimenti privati in innovazione nel 2017 – da 80 miliardi a 90 miliardi – , 11,3 miliardi di spesa privata in più nel triennio per la ricerca e lo sviluppo e, sempre nello stesso periodo, un incremento di 2,6 miliardi dei finanziamenti privati, specie nella fase early stage).

Questa la previsione del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda per l’implementazione dell’ambizioso ‘Piano Industria 4.0’ che dovrà traghettare l’Italia nella quarta rivoluzione industriale.

Già a partire dal prossimo anno, quindi non nel prossimo triennio, saranno sbloccati investimenti privati per 10 miliardi di euro, ha spiegato il ministro, sottolineando che gli incentivi fiscali per 13 miliardi previsti dal piano non ricadranno tutti sulla Legge di bilancio 2017, ma saranno spalmati su un arco temporale di 7 anni, fino al 2024.

Un piano, quello presentato questo pomeriggio alla presenza del Premier Matteo Renzi, la cui preparazione – si è detto – è stata uno sforzo corale, che ha messo insieme sei ministeri, presidenza del Consiglio, e anche le parti sociali, che infatti hanno espresso apprezzamento per questo cambiamento di ‘metodo’. Anche la Cassa Depositi e Prestiti sarà della partita, ha confermato l’amministratore delegato Fabio Gallia, così alcune università italiane considerate sinonimo di eccellenza come per esempio l’Università di Sant’Anna di Pisa.

La governance di questo piano sarà affidata a  una cabina di regia gestita in un primo momento da governo e imprese, poi successivamente entreranno anche le Regioni. La cabina di regia, ha detto Calenda, “dovrà funzionare come un’assemblea dei soci: che si riunisce ogni sei mesi, fa il punto della situazione, si parla di ciò che è stato fatto e si migliora ciò che non va”. E la verifica sarà spietata, perché nel paese della “non governance” bisogna cambiare mentalità per evitare, come ha detto il premier Renzi, di perdersi per strada. Dopo averlo messo sulla carta, insomma, il piano va realizzato e c’è solo una cosa da fare per farlo: mettersi a lavoro.

Il piano

Innanzitutto, ha detto il ministro, il piano sarà costruito su incentivi fiscali orizzontali e non a bando perché dalle esperienze pregresse si è capito che quest’ultimo “è il modo di non spendere”.

Cinque le direttrici del piano: neutralità tecnologica; azioni orizzontali e non verticali o settoriali; operare sui fattori abilitanti (quali la banda larga e la connettività nelle aree grigie); far leva su strumenti esistenti per favorire il salto tecnologico e la produttività; coordinare i principali stakeholder senza ricoprire un ruolo dirigista.

Tra le misure incentivanti previste, il superamento del superammortamento al 140% con un “iperammortamento al 250% per i beni legati all’industria 4.0” e una diversa modulazione del credito di imposta per ricerca e innovazione che sarà incrementale, portando l’aliquota della spesa interna fino al 50%, con un credito massimo da 5 fino a 20 milioni di euro. E ancora, detrazioni fiscali fino al 30% per investimenti fino a un miliardo in start up e pmi innovative.

Il piano sarà accompagnato da “direttrici di accompagnamento” che prevedono questi investimenti: 6 miliardi dal privato e 6,7 miliardi dal pubblico per la banda ultralarga; 22 miliardi dal privato e 0,9 miliardi dal pubblico per il fondo centrale di garanzia; 1 miliardo all’anno dal privato e 0,1 miliardi dal pubblico per il made in Italy; 2,8 miliardi dal privato e 1 miliardo dal pubblico per i contratti di sviluppo (negoziazione ed erogazioni di finanziamenti personalizzati); circa 1,3 miliardi per quello che è stato definito lo “scambio salario-produttività” per il periodo 2017-2020.

Un piano che “sarà organizzato sulle nostre specificità”, ha detto il ministro, e non potrà certo replicare quanto fatto in altri paesi come la Germania per le troppe differenze tra il sistema industriale tedesco, caratterizzato da “una grande integrazione tecnologica” e quello italiano, trainato da un tessuto produttivo costituito in prevalenza dal piccole e medie imprese.

 

I commenti

Il premier Renzi non ha nascosto l’entusiasmo nei confronti di una strategia che potrebbe contribuire a fare dell’Italia “la patria delle possibilità e delle opportunità”. Obiettivo che potrà essere raggiunto cambiando mentalità. Solo così, pur “con tutte le difficoltà e i limiti dell’attuale scenario” l’Italia potrà avere “un futuro straordinario”.

Toni trionfalistici a parte, per il ministro Calenda, si tratta del più grande piano mai fatto oltre che di una “sfida culturale, politica oltre che economica”. C’è un piano, ha aggiunto, che “dà fiducia alle imprese, mettendo a disposizione le risorse” necessarie senza imporre dove investire.

Stamani, al termine dell’incontro al Mise – alla presenza dei ministri dell’Economia Pier Carlo Padoan, dell’Istruzione Stefania Giannini, del Lavoro, Giuliano Poletti e dell’Agricoltura Maurizio Martina – il ministro Calenda ha affermato che il piano del governo per il programma Industria 4.0 andrà in legge di bilancio.

Credo ci sia la sensazione – ha aggiunto – che questa partita degli investimenti, e soprattutto quelli sull’innovazione, sia la partita del Paese”.

Tra i punti forti del piano, il fatto che non sia stato imposto dall’alto ma sia nato in modo ‘integrato’, come ha sottolineato il ministro Giannini, rivendicando che quello del ministero dell’Istruzione sarà un ruolo nevralgico per la creazione di conoscenze e competenze a partire dalla scuola e dall’università, finendo alla ricerca.

“Si parte dalla scuola – ha spiegato – e poi si arriva al coinvolgimento importante del sistema universitario, con tutte le eccellenze che possediamo e infine la ricerca, che è una base fondamentale per produrre innovazione”.

Per il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, il piano è una grande occasione che permetterà di “cavalcare la quarta rivoluzione industriale”.

Per Boccia occorre ora lavorare insieme coinvolgendo anche le Regioni, per evitare interventi incoerenti e  “per portare questo periodo di transizione dell’industria italiana in una grande fase in cui esprimere potenzialità rilevanti”.

“Siamo un grande Paese industriale, possiamo farcela con le nostre potenzialità. E’ chiaro che questa impostazione riguarda le scelte che vengono fatte all’interno delle fabbriche, che faranno gli imprenditori, che riusciremo a realizzare anche con relazioni industriali moderne e l’indirizzo di politica economica del Governo”, ha concluso Boccia.

Per il presidente di Federmeccanica Fabio Storchi, “L’industria 4.0 rappresenta una sfida di ammodernamento, non solo per l’industria ma per il Paese, è un argomento di rilevanza strategica per tutti”.

“Al Governo – ha aggiunto – chiediamo una serie di interventi che mettano le imprese nella condizione di poter adeguarsi a questa evoluzione e poter raggiungere in pochi anni quello che i nostri concorrenti dei paesi limitrofi stanno già facendo, in primis la Germania”.

Un piano che sembra, a caldo, convincere anche i sindacati, almeno nel ‘metodo’, avendo il Governo deciso di coinvolgere anche le parti sociali ai lavori della cabina di regia del Piano Nazionale 4.0. Per il segretario confederale della Cgil, Franco Martini, è importante sostenere il piano con investimenti pubblici e privati e coinvolgere i territori “veri attori della sfida”, oltre che – naturalmente – proteggere il lavoro che “deve essere risorsa strategica del Piano, alla quale destinare un forte investimento formativo”.

Anche per il segretario confederale della Cisl, Giuseppe Farina, il piano è importante e positivo: “finalmente – ha detto – si parla di investimenti e di un progetto di industria per il Paese”.

Dello stesso tenore il commento della segretaria confederale Uil Tiziana Bocchi, secondo cui Industria 4.0 è “…un’opportunità da cogliere e non un ostacolo da superare”.

“In particolare – ha sottolineato Bocchi – siamo anche noi convinti che il nostro Paese abbia bisogno di una nuova politica industriale che, a partire dai fattori produttivi, sia in grado di renderlo competitivo non solo nell’oggi, ma anche per i prossimi anni; attraverso l’individuazione di linee di indirizzo, efficaci, concrete e condivise, sulle quali far convergere tutti gli attori interessati”.

Quella della cosiddetta Industria 4.0  è infatti una sfida che il paese non vuole mancare: una nuova rivoluzione industriale alla quale l’Italia deve arrivare preparata senza lasciare indietro nessuno – lavoratori in primis. Non dimentichiamo, infatti, che quando si parla di Industria 4.0 si parla di un processo che porterà a una produzione industriale del tutto automatizzata e interconnessa, che utilizzerà massivamente strumenti quali i Big data, Internet of Things, Machine-to-Machine, cloud computing, manifattura additiva, stampa 3D, robotica e tanto altro ancora per razionalizzare i costi e ottimizzare le prestazioni.

Un insieme di tecnologie, neanche troppo futuristiche che rischiano di sconvolgere il mercato del lavoro e di produrre la perdita di milioni di posti di lavoro, a meno che non si intervenga con una risposta “integrata e globale, in grado di coinvolgere tutte le parti interessate del sistema politico globale, del settore pubblico e privato, del mondo accademico e della società civile”, come ha detto di recente Klaus Schwab fondatore e presidente del World Economic Forum.