il conflitto

Democrazia Futura. A 100 secondi dalla mezzanotte nucleare

di Pieraugusto Pozzi, ingegnere, neo segretario generale di Infocivica - Gruppo di Amalfi |

Parte prima A 100 secondi dalla mezzanotte nucleare. Note di lettura sulle crisi ucraina e sulla necessità di un approccio critico interdipendente e interdisciplinare.

Pieraugusto Pozzi

Pieraugusto Pozzi neo segretario di Infocivica presenta per Democrazia futura alcune “Note di lettura sulla crisi ucraina” sottolineando “La necessità di un approccio critico interdipendente e interdisciplinare” secondo la lezione del suo maestro Edgar Morin. Qui di seguito la prima parte del saggio “A 100 secondi dalla mezzanotte nucleare”.

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Da tempo, non solo le istituzioni globali come l’ONU che promuovono (spesso vanamente) programmi per migliorare lo stato del mondo e dell’umanità (cibo e sanità per tutti, sfida dei cambiamenti climatici e della transizione energetica, tutela degli ecosistemi e della biodiversità, contenimento del pericolo nucleare originato dagli arsenali di armi accumulate da potenze più o meno grandi e più o meno sagge, metamorfosi del tempo e dello spazio delle nuove società digitali di umani e macchine), ma anche gli osservatori più ragionevoli concordano sulla necessità di avere un approccio interdipendente, multilaterale e interdisciplinare.

Edgar Morin, pensatore modernissimo e allo stesso tempo veggente, dote che probabilmente gli viene dal secolo di vita appena compiuto, da tempo parla di Terra-patria come unica vera e possibile comunità di destino per affrontare i problemi globali che certo non si fermano ai confini di sovranità sempre più difficili da tracciare e giustificare.

Yuval Noah Harari aggiunge che tali problemi non hanno, né politicamente né tecnicamente, soluzioni che prescindano dalla cooperazione tra diverse aree economiche e culturali del mondo. Una dimostrazione della correttezza dell’approccio multilaterale era appena stata offerta dalla pandemia, che aveva colpito implacabilmente e duramente tutto il pianeta soprattutto per l’incapacità politica, economica e sanitaria di cooperare in un mondo percorso da flussi di merci e persone che agevolano la diffusione rapidissima degli agenti patogeni vecchi e nuovi.

Se, al di là delle ipotesi di laboratorio, consideriamo la pandemia un fenomeno “naturale”, simbolicamente e concretamente, l’”operazione militare speciale” lanciata della Russia contro l’Ucraina il 24 febbraio 2022 è la rappresentazione volitiva della negazione dell’approccio ragionevole e multilaterale, poiché esprime, al contrario, proprio la volontà di praticare soluzioni unilaterali. Anzi, l’uso della forza militare, fuori e contro le norme del diritto internazionale come ha argomentato Sabino Cassese[i], manifesta l’intenzione di deviare il corso delle relazioni internazionali, in particolare in Europa, riportando indietro l’orologio della storia. Soprattutto, l’iniziativa russa rischia di annullare, sul piano economico e sanitario, la ripresa che faticosamente ma nettamente il nostro continente stava mostrando e, al contempo, di smorzare la spinta che, finalmente e nonostante qualche eccesso di opportunismo e di retorica, i decisori politici avevano dato alla transizione economica ed ecologica, disegnata come necessaria dopo la pandemia.

Chi ha ordinato l’iniziativa bellica non ha applicato alcuna etica della responsabilità, manifestando un completo disinteresse all’eredità e all’esperienza del Novecento: le istituzioni globali ed europee, gli accordi di cooperazione, il diritto internazionale e, soprattutto, il rifiuto della guerra come strumento per dirimere controversie.

Così, mentre tornano indietro le lancette dell’orologio della storia, le lancette dell’orologio dell’apocalisse (che non indica più il solo rischio nucleare, ma anche altri rischi globali come quello climatico) sono fissate, dal 2020, a soli 100 secondi dalla mezzanotte.

Più vicine alla mezzanotte di quanto siano mai state dal 1947 a oggi, secondo il Bulletin of the Atomic Scientists[ii].

Per ora, l’iniziativa bellica non ha fatto ulteriormente avanzare le lancette perché esse vengono regolate, in tempi normali, una volta l’anno. Va ricordato che nel 1991, alla fine della Guerra Fredda e in vista di ulteriori accordi di disarmo nucleare strategico, l’orologio segnava le 23.43, 17 minuti prima della mezzanotte. Nelle ultime settimane, l’uso delle armi nucleari tattico e persino strategico (come se questa parola avesse un minimo senso, riferita ad armi di distruzione di massa che possono avere effetti di lunghissimo periodo sull’abitabilità umana del mondo) viene invece evocato da ministri e portavoce e dibattuto nei media come se si trattasse di un gioco digitale di guerra. Ma insieme al rischio massimo di guerra mondiale addirittura nucleare e oltre a determinare nel teatro di guerra distruzioni morali, umane, materiali, infrastrutturali che richiederanno decenni per rimarginarsi, l’iniziativa certamente può riaprire crisi alimentari, sanitarie ed energetiche. E quelle sociali e politiche legate alle ondate migratorie dei rifugiati (diversi milioni già oggi, in Italia già oltre 80mila ai primi di aprile 2022).

Forse la reazione ucraina non era stata messa adeguatamente in conto dallo scacchista russo che ha fatto la mossa di attacco. Una mossa largamente imprevista nelle opinioni pubbliche e nei media occidentali, avvertita e segnalata da servizi di intelligence, e invece ipotizzata come possibile da un grandissimo scacchista come Garry Kasparov. Che aveva scritto dei rischi per la pace correlati alle strategie politiche del governo russo già ne L’inverno sta arrivando[iii] del 2015 e che, in una intervista a Federico Fubini del 22 gennaio 2022, aveva dichiarato:

«Per così tanti anni abbiamo detto: Putin non lo farebbe mai! Sarebbe terribile per la sua immagine! E poi lo ha fatto […] Non dico che invaderà l’Ucraina di sicuro, ma Putin può fare qualunque cosa».

A chi, come chi scrive, ha il privilegio di osservare questa desolazione da lontano, restano il dovere di superare le difficoltà emotive, cognitive e di comunicazione (come l’interessante diario tenuto in queste settimane da Stefano Rolando) per ragionare e discutere su ciò che i media e la rete raccontano e che sembrano appartenere a tempi o luoghi remoti o a un ciclo del programma “La Grande Storia” che racconta una guerra che incredibilmente non troviamo nei manuali.

In un breve ma intenso articolo, Alfonso Berardinelli[iv] cita Simone Weil che, nel saggio del 1937 Non ricominciamo la guerra di Troia,scriveva:

«i conflitti più minacciosi presentano un carattere comune, che ne costituisce la vera pericolosità: sono privi di un obiettivo definibile […] Non c’è oggi sintomo più angosciante del carattere irreale della maggioranza dei conflitti emergenti».

Berardinelli aggiunge, per l’oggi:

“Se non riusciremo a liberarci da quelle diaboliche irrealtà che si autoalimentano nella distruzione, il mondo non avrà tregua né scampo”.

Una di queste irrealtà è quel tavolo di negoziazione tra delegazione russa ed ucraina, naturalmente privo di presenze femminili, in una plastica rappresentazione del potere di clan patriarcali. Un’assenza (colmata in Italia da Libere – Se non ora quando con l’appello dell’8 marzo e con la lettera aperta ai dirigenti europei e italiani[v],) che non porta al negoziato l’essenziale ruolo delle donne, della loro specifica sensibilità alla cura e all’amore per la vita e di rifiuto per la guerra che stupra e uccide loro stesse, bambini e soldati. Un tavolo che incredibilmente continua ad essere imbandito (per chi osserva e spera comunque in un buon esito delle trattative, da lontano, attonito) mentre il gas continua ad essere pompato sotto i piedi di chi riceve bombe e ingiurie disumane di ogni tipo. Questi appunti di lettura sono scritti per fissare qualche elemento di informazione e conoscenza e con la volontà di liberarsi da tali diaboliche irrealtà.

Tra strategie e profezie

Come avviene nei periodi dominati delle passioni tristi e meno fortunati della storia, come è avvenuto per esempio nel peggiore Novecento, riguadagnano spazio e ascolto pensatori “realisti”, ovvero tradizionalisti e reazionari. Coloro che raccontano con sapiente soddisfazione l’eterno mondo umano nel quale da sempre vige e conterà la legge del più forte, con l’unica variante dei protagonisti. Sebbene i più sapienti di questi realisti amino dire che si tratta, naturalmente, di imperi e civiltà immortali, anzi dell’eterna lotta del bene contro il male.

Capita così che lo scontro di civiltà tratteggiato negli anni Novanta da Samuel Huntington sia citato, e soprattutto apertamente rilanciato e promosso da contemporanei, come Aleksander Dugin[vi] che, come previsto, riprende un altro vecchio paradigma, quello della guerra santa, per ora in Ucraina, poi si vedrà:

«Prima di tutto, è lo scontro di civiltà, di cui ha scritto Huntington. La frontiera tra la civiltà russa e quella occidentale attraversa l’Ucraina, dividendola in due. L’Occidente voleva stabilire il controllo su tutta l’Ucraina. Putin non ha permesso che ciò accadesse […] la Russia sta per i valori tradizionali, valori conservatori – Chiesa, Stato, famiglia – mentre l’Occidente si oppone direttamente – postmodernismo, ateismo o indifferenza alla religione, abolizione dei governi statali a favore di un governo unico mondiale, matrimoni gay, aborti, persone transgender, ecc. Sappiamo come i progressisti vedono la società tradizionale, ma non pensiamo a come le società tradizionali vedono l’«Occidente progressista». E la vedono come una “civiltà dell’Anticristo”».

Maurizio Stefanini[vii], da tempo attento osservatore del quadrante orientale, ricorda un’intervista che fece ad Alexander Dugin l’8 luglio del 2014: «Per l’ispiratore occulto di Putin sarà guerra tra Mosca e Kiev. Dugin ci spiega l’Unione Eurasiatica e i suoi confini. “L’Ucraina unita ha contribuito alla disgregazione dell’Urss”».  Aggiunge Stefanini che Dugin, di solito indicato come ideologo di Putin, è stato descritto come un «oscurantista, fan di Evola, esoterico». Parla fluentemente molte lingue, compreso l’italiano e “l’intervista di allora Dugin me l’aveva concessa parlando proprio dal cellulare di Savoini, l’uomo di Matteo Salvini coinvolto nel “caso Metropole“.

Stefanini aggiunge che Dugin aveva sistemato il suo pensiero strategico, ben prima dell’arrivo al potere di Putin, nel manuale Fondamenti di geopolitica – Il futuro della Russia del 1997. Nel testo adottato dall’Accademia militare dello Stato maggiore delle Forze armate della Federazione Russa, Dugin indicava alcune linee di intervento per ottenere una Europa finlandizzata:

«Fare in modo che la Gran Bretagna esca dall’Unione europea; agevolare la presa di potere della Germania sugli Stati cattolici e protestanti dell’Europa continentale; incoraggiare lo sviluppo del nazionalismo di destra in America; incoraggiare tensioni razziali tra gruppi di neri militanti e i nazionalisti di destra».

Una strategia-profezia discretamente azzeccata, analizzando gli eventi accaduti da allora ed esaminando lo stato della democrazia negli Stati Uniti, in Europa e in Gran Bretagna. Un Paese, questo, nel quale gli oligarchi russi sono stati accolti negli ultimi due decenni con straordinaria ospitalità, acquisendo rapidamente grandi proprietà immobiliari, nei media e nelle attività economico-finanziarie e, da nuovi padroni di casa, diventando ricercati ed amichevoli animatori dell’establishment di altissimo livello.

Gli oligarchi russi in Occidente e in Italia

Secondo l’Enciclopedia online Treccani, per oligarchia si intende la forma di regime politico in cui il potere è detenuto da un gruppo ristretto di persone che esercita, generalmente a proprio vantaggio, un’influenza o una supremazia di istituzioni economiche, amministrative e culturali. Stefano Bartezzaghi[viii] scrive che il caso degli oligarchi russi sembra essere diverso:

«Che potere esercitano, questi cosiddetti oligarchi, sul piano politico e oggi anche militare? A quanto è dato saperne e capirne, nessuno. Grazie al potere politico hanno ottenuto ricchezze smisurate, e certo sproporzionate rispetto al resto della società; con esso non è difficile immaginare che siano in vigore accordi, taciti o no, di appoggio reciproco. Ma l’unico potere che gli oligarchi russi detengono in proprio è quello implicito nella disponibilità dei miliardi. La politica, se c’è, è altrove».

Nel libro Gli uomini di Putin, Catherine Belton[ix], giornalista investigativa già corrispondente da Mosca del Financial Times, descrive l’interferenza nelle elezioni americane, il sostegno alle forze populiste in Italia e in tutta Europa, gli interventi russi in Ucraina precedenti alla guerra del 2022, che hanno avuto come protagonisti una nuova generazione di fedeli oligarchi, con i quali Putin ha sostituito i magnati dell’era Eltsin. Oligarchi che hanno progressivamente controllato l’economia nel loro paese e ne hanno ampliato l’influenza internazionale, sfumando i confini tra criminalità organizzata e potere politico-economico e supportando operazioni per influenzare i governi stranieri.

Per rimanere al Regno Unito, è significativo ricordare il fortissimo legame tra Boris Johnson e il suo ex consigliere a Downing Street Dominic Cummings, già capo della campagna elettorale pro-Brexit, noto per avere intrapreso, tra il 1994 e il 1997, attività imprenditoriali nel settore del trasporto aereo in Russia. Per quanto riguarda Johnson, va ricordata la fortissima pressione che ha esercitato personalmente, contro il parere negativo espresso dai servizi di sicurezza britannici, affinché Evgeny Lebedev fosse nominato pari a vita. Lebedev siede alla Camera dei Lord dal 19 novembre 2020 e possiede, tra l’altro, The Evening Standard, The Independent and il canale televisivo London Live. La sua ricchezza deriva dal padre, Alexander Lebedev, ex ufficiale del KGB, oligarca russo ed azionista di banche e imprese industriali e di servizi. Nelle sue proprietà in Inghilterra e in Umbria Alexander Lebedev pare abbia ospitato Tony Blair, David Cameron e lo stesso Johnson[x].

Secondo il Guardian[xi], da quando Johnson è primo ministro, circa 2 milioni di euro sono stati donati da russi al Partito Conservatore. Un conto comunque difficile da fare perché molte delle fonti di finanziamento risultano (per le pratiche di naturalizzazione dei protagonisti o per il diritto d’impresa) effettivamente britanniche.

Per quanto riguarda l’Italia, un notevole lavoro di ricerca sul potere economico degli oligarchi e le attività dell’intelligence russa in Italia è stato fatto da Jacopo Iacoboni[xii] e Gianluca Paolucci in Oligarchi. Come gli amici di Putin stanno comprando l’Italia. Secondo gli autori, il contesto che emerge è quello di

«una profonda influenza della Russia in Italia, che ha attraversato governi di segno politico opposto ma ha avuto una intensificazione e una oggettiva escalation nella stagione dei partiti populisti trionfanti in Italia, Lega e Movimento 5 stelle».

Per semplificare il livello delle relazioni, si può leggere un passo dedicato a Igor Sechin, uno di tali oligarchi:

«Il Belpaese si è dimostrato incredibilmente accogliente con quest’uomo che figura in cima alla lista degli individui sanzionati dall’Unione europea e dagli Stati Uniti dell’amministrazione di Barack Obama. Sechin ha legami fortissimi al di qua delle Alpi. Nel novembre del 2017, tre anni dopo l’introduzione delle sanzioni occidentali a suo carico, riceve all’ambasciata italiana di Mosca un premio “per i servizi resi all’Italia” […] Nella primavera del 2013, nell’anno che precede le sanzioni anche a Sechin, la sua Rosneft sale fino al 20 per cento della Saras dei Moratti. L’anno dopo è la volta di Pirelli: grazie agli investimenti dei russi, Marco Tronchetti Provera riesce a consolidare la sua presa sul gruppo dopo la rottura con Malacalza e in attesa dell’arrivo dei cinesi di ChemChina. Dal gruppo dei Moratti, Sechin uscirà qualche tempo dopo, tra 2015 e 2017. In Pirelli c’è ancora un 6,24 per cento del capitale che fa riferimento a Mosca tramite il fondo Long Term Investments di Sergey Sudarikov. L’accordo tra Rosneft e Pirelli venne annunciato in grande stile, alla presenza di Putin in persona. In una nostra inchiesta con «La Stampa» e un gruppo di testate internazionali, è emerso come in realtà Rosneft non sia mai stata titolare formale della quota nella società italiana. Alla sua nascita, poco prima dell’ingresso in Pirelli, il fondo faceva capo a una ballerina russa, titolare di una scuola di danza a Mosca».


[i] Sabino Cassese, “È tutto illegale”, Corriere della Sera, 8 marzo 2022; Sabino Cassese, “Il diritto smarrito”, Corriere della Sera, 24 marzo 2022

[ii] It is 100 seconds to Midnight” troviamo scritto sul lato destro della testata del sito: cfr. www.thebulletin.org.

[iii] Garry Kasparov, L’inverno sta arrivando. Perché Vladimir Putin e i nemici del mondo libero devono essere fermati, Roma, Fandango Libri, 2016, 256 p.

[iv] Alfonso Berardinelli, “La guerra alimenta diaboliche irrealtà”, Avvenire, 1°aprile 2022.

[v] Libere – Se non ora quando, “Il nostro 8 marzo al fianco delle donne ucraine”, La Repubblica, 5 marzo 2022; “La nostra madrepatria è l’Europa. Appello di donne per un’altra Difesa”, Avvenire, 3 aprile 2022

[vi] Francesca Musacchio, Intervista ad Aleksander Dugin “La guerra serve ad avere un nuovo ordine mondiale”, Il Tempo, 31 marzo 2022

[vii] Maurizio Stefanini, “Annunciò l’invasione e che altre sarebbero seguite”, La Ragione, 9 marzo 2022

[viii] Stefano Bartezzaghi, “Oligarchi”, Repubblica, 10 marzo 2022

[ix] Catherine Belton, Gli uomini di Putin. Come il KGB si è ripreso la Russia e sta conquistando l’Occidente, Milano, La nave di Teseo, 2020, 648 p.

[x] Jacopo Iacoboni, Gianluca Paolucci, Oligarchi. Come gli amici di Putin stanno comprando lItalia, Roma-Bari, Laterza, 2021, 240 p.

[xi] Peter Walker, “Party funding linked to Russia – how much have Tories benefited?”, The Guardian, 23 febbraio 2022

[xii] Jacopo Iacoboni, Gianluca Paolucci, Oligarchi. Come gli amici di Putin stanno comprando lItalia, op.cit. alla nota 10.