il commento

Web tax europea ancora rimandata: un danno devastante senza fine

di Vasco Petruzzi |

L’Unione Europea per l’ennesima volta ha abdicato ai suoi doveri rimandando l’applicazione della web tax all’OCSE, grazie ai voti contrari di Irlanda, Svezia, Danimarca e Finlandia. Eppure basterebbe imporre la stabile organizzazione per introdurre, con semplicità, l'imposta.

Pensate ad una gara ciclistica. Tutti gli atleti in sella ad una bicicletta, che corre grazie alla forza muscolare impressa sui pedali. L’atleta con più dedizione all’allenamento e, perché no, anche dotato di un talento naturale, dovrebbe vincere…

In uno scenario di concorrenza leale dove tutti i protagonisti competono a pari condizioni, si è soliti declamare: “vinca il migliore”.

Purtroppo nella realtà, alcune volte, ci sono atleti disonesti che utilizzano il doping per aumentare le prestazioni muscolari e di resistenza. E c’è chi, non contento, vuole anche avere “una marcia in più” e si fa installare all’interno del telaio della propria bicicletta un piccolo motore elettrico per superare agevolmente gli avversari.

Uno scenario squallido e nauseabondo dove chi vince non è il migliore, ma il più disonesto.

Alla luce di tutto ciò le autorità e gli organi di controllo del ciclismo si attivano per punire e debellare questi fenomeni ignobili.

Ma nel mondo ICT questo non sta avvenendo, anzi, si è permesso e si continua a permettere ai più furbi di vincere senza averne merito, grazie a condizioni fiscali che, definire asimmetriche, è semplicemente eufemistico.

Sulla Web tax l’Ue ha abdicato ai suoi doveri

L’Unione Europea per l’ennesima volta ha abdicato ai suoi doveri rimandando l’applicazione della web tax all’OCSE, grazie ai voti contrari di Irlanda, Svezia, Danimarca e Finlandia. 

Guarda caso questi Stati, pur di creare posti lavoro e alimentare una economia locale stagnante e senza potenziali sviluppi, ospitano le sedi e gli impianti delle OTT offrendo condizioni fiscali da sogno (con aliquote d’imposta “finite”, minori dell’1%).

Questa è semplicemente concorrenza fiscale sleale, ma se avesse come mero scopo quello di attirare grandi aziende ad operare in quello Stato specifico e basta (!), poco o nullo sarebbe il danno per gli altri Paesi.

La soluzione è nell’imporre la stabile organizzazione

Quello che invece sta radendo al suolo la capacità competitiva di tutta l’Europa è il combinato disposto fra l’asimmetria fiscale di alcuni Stati europei miscelata all’annacquamento del monolitico, chiaro e semplice concetto di stabile organizzazione.

Cosa è la stabile organizzazione? L’art. 162 del DPR 917/1986 la definisce come “una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato”. 

In altre parole è il principio secondo il quale qualsiasi soggetto giuridico extra-territoriale che opera nel e sul territorio di uno Stato sovrano dotato di un complesso di leggi e regolamenti comuni e condivisi, deve dichiarare e stabilire una sede locale per la rappresentanza giuridica.

Vale a dire una sede nella quale l’azienda acquisisce la sua capacità giuridica diventando a tutti gli effetti titolare di diritti e doveri, inclusi quelli fiscali! Per essere chiari, se vuoi aprire un negozio devi rispettare le leggi che vigono in quel territorio e devi pagare le tasse sui profitti che generi in loco, altrimenti, semplicemente stai agendo in maniera illegittima.

Quando il merito, la verità e il rispetto delle regole è annacquato e mistificato c’è sempre un concerto di colpe, ma sicuramente il direttore d’orchestra è il primo responsabile.

Per la questione fiscale il direttore d’orchestra è l’Europa.

La medesima Europa scricchiolante che in ritardo clamoroso ha consentito alle OTT di monopolizzare la raccolta massiva ed indiscriminata di dati, arginandola faticosamente con il GDPR, solo a partire dallo scorso 25 Maggio 2018.

Tutto ciò ha contribuito fortemente a causare la decadenza economica, finanziaria e produttiva dell’Europa. 

La crisi che stiamo vivendo è strutturale e non congiunturale ed è dovuta a queste politiche scellerate.

L’ottimo, nel caso specifico, è raggiungibile quando cambiando le condizioni di applicazione delle regole fiscali è possibile aumentare il benessere di qualcuno senza diminuire quello di qualcun altro, ed i soggetti chiamati in causa sono i cuori europei pulsanti della capacità innovativa, produttiva e fiscale: le aziende.

Se volessimo competere ad armi pari nel settore ICT, se proprio non si riesce a equiparare i regimi fiscali, che si consenta a tutte le aziende europee di avere lo stesso regime a quasi zero tassazione, allora sì che in breve si potrebbe sancire chi sia il migliore.

Solo per equiparare le considerazioni qui proposte, basti pensare che chiunque voglia agire sul e nel territorio americano e/o cinese e/o russo non può raccontare “la favoletta” che i server essendo fuori territorio non possono configurare una stabile organizzazione: provate a vedere quale sarebbe la reazione.

La Francia e la Gran Bretagna hanno iniziato a muoversi da sole per tassare le OTT. L’Italia, nella Legge di Bilancio 2019, ha approvata la sua web tax con parametri simili a quelli francesi: imprese con fatturato globale superiore ai 750 milioni di euro e utili generati in Italia superiori ai 5,5 milioni. Ma non sono stati ancora approvati i decreti attuativi.
Una web tax ancora su carta.

Che l’Europa risorga dalle sue ceneri e che i governanti sanciscano in maniera trasparente e giusta le regole per competere partendo da pari condizioni, perché noi europei vogliamo vincere in quanto migliori ad innovare e non migliori a rubare.