Il parere

Avvocato generale Corte Ue: norma italiana vs scalata di Vivendi a Mediaset contraria a diritto Ue

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Per l'avvocato generale Campos Sánchez-Bordona normativa ostacola la libertà di stabilimento in maniera sproporzionata rispetto all’obiettivo di tutela del pluralismo dell’informazione.

L’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue boccia lo stop deciso a suo tempo dall’Agcom alla scalata di Vivendi a Mediaset, dopo la mancata acquisizione di Premium. Secondo l’avvocato generale, la decisione dell’Authority è stata sproporzionata rispetto alla sua finalità di tutela del pluralismo dell’informazione, mentre la doppia partecipazione in Tim e Mediaset da parte di Vivendi non giustificherebbe il provvedimento. I requisiti di proporzionalità potrebbero non essere compatibili con la quota molto ridotta di ricavi (10%) del Sistema integrato di comunicazioni (SIC), fissata quale limite massimo per le imprese i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche superino il 40% dei ricavi complessivi di tale settore. Infine, l’avvocato generale ritiene sproporzionato calcolare i ricavi delle società “collegate” come se fossero società “controllate”.

Mediaset, parere dell’avvocato generale non vincolante

Mediaset “prende atto delle posizioni espresse dall’Avvocato Generale che, come indicato in calce allo stesso comunicato stampa, non vincolano le decisioni della Corte di Giustizia”. E’ quanto si legge in una nota diffusa dall’azienda che sottolinea che, “diversamente dalle posizioni espresse nel giudizio pendente dalla Commissione Ue, anche l’Avvocato Generale ribadisca come la tutela del pluralismo dell’informazione può giustificare ‘l’adozione di misure nazionali che limitano la libertà di stabilimento’, demandando tuttavia ai giudici nazionali la valutazione della proporzionalità di tali misure. In attesa della sentenza da parte della Corte Ue e delle valutazioni di tale sentenza da parte del giudice nazionale, nella perdurante vigenza della normativa oggetto di scrutinio giudiziale, nulla cambia in merito alla valutazione di illiceità della condotta di Vivendi in relazione all’acquisto del 29,94% del capitale sociale di Mediaset”

Vivendi: nella Ue confermata nostra posizione

Diametralmente opposto il commento di Vivendi. “Siamo molto soddisfatti, si tratta di una conferma molto forte della nostra posizione”. Così un portavoce di Vivendi in merito al parere dell’avvocato generale della Corte Ue, secondo cui il gruppo ha diritto di detenere il 28% di Mediaset dato che le restrizioni della normativa italiana sarebbero contrarie al diritto Ue.

Mirella Liuzzi: Prioritario nuovo testo unico servizi media

“Il parere dell’avvocato generale, ove confermato dalla Corte UE, rende attuale il tema della revisione delle norme contenute nella Legge Gasparri. Lo faremo nel 2020 con il nuovo testo unico dei servizi media digitali, secondo quanto previsto dalla legge di delegazione europea, approvata in via preliminare dal Consiglio dei Ministri lo scorso 12 dicembre”. così in una nota Mirella Liuzzi, Sottosegretario dello Sviluppo Economico, in merito alle posizioni, espresse dall’Avvocato Generale della Corte UE, sulla normativa italiana che impedisce a Vivendi di acquisire il 28% del capitale sociale di Mediaset.

Il caso Vivendi-Mediaset

L’Avvocato generale Campos Sánchez-Bordona propone alla Corte di Giustizia europea di dichiarare che la normativa italiana che impedisce a Vivendi di acquisire il 28% del capitale sociale di Mediaset è contraria al diritto dell’Unione.

Nel 2016, la società francese Vivendi, al vertice di un gruppo attivo nel settore dei media e nella creazione e distribuzione di contenuti audiovisivi, avviava una campagna ostile di acquisizione di azioni della Mediaset Italia Spa (in prosieguo: «Mediaset»), società italiana del medesimo settore controllata dal gruppo Fininvest [1], giungendo ad acquisirne il 28,8% del capitale sociale, pari al 29,94% dei diritti di voto.

L’intervento dell’Agcom

Mediaset denunciava quindi Vivendi dinanzi all’Agcom, accusandola di aver violato la normativa italiana [2] la quale, al fine di salvaguardare il pluralismo dell’informazione, vieta a un’impresa di realizzare, direttamente o indirettamente, attraverso soggetti controllati o collegati [3], oltre il 20% dei ricavi complessivi del cosiddetto Sistema integrato di comunicazioni (SIC) [4]. Tale percentuale si riduce al 10% se l’impresa detiene nel contempo una quota superiore al 40% dei ricavi complessivi del settore delle comunicazioni elettroniche in Italia. Ciò avveniva nel caso della Vivendi, che già occupava una posizione rilevante nel settore italiano delle comunicazioni elettroniche, in virtù del suo controllo sulla Tim.

Nel 2017, la AGCom accertava che Vivendi, avendo acquisito le predette partecipazioni in Mediaset, aveva violato la normativa italiana e le ordinava, pertanto, di cessare tale violazione.

L’appello di Vivendi al Tar del Lazio

Pur ottemperando all’ordine dell’AGCom, trasferendo ad una società indipendente la proprietà del 19,19% delle azioni Mediaset, Vivendi impugnava la delibera dell’AGCom dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, chiedendone l’annullamento. In tale contesto, detto giudice chiede, in sostanza, alla Corte di giustizia se la normativa italiana che limita l’accesso al SIC delle imprese attive nel settore delle comunicazioni elettroniche sia compatibile con il diritto dell’Unione.

Le conclusioni dell’Avvocato generale Ue

Nelle sue conclusioni odierne, l’Avvocato generale Manuel Campos Sánchez-Bordona ritiene che, nell’ambito della causa in esame, occorra valutare se la normativa italiana sia compatibile con la libertà di stabilimento (articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFUE), poiché la controversia tra Vivendi e Mediaset ha come sfondo la volontà del gruppo francese di intervenire nella gestione di Mediaset ed acquisire una quota significativa del mercato italiano dei media e non soltanto quella di realizzare un mero investimento di capitali.

L’Avvocato generale rileva che varie disposizioni della normativa italiana limitano la possibilità che imprese di altri Stati membri entrino nel settore italiano dei media, incidendo così sulla libertà di stabilimento.

Egli osserva, inoltre, che la tutela del pluralismo dell’informazione (articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) costituisce una ragione imperativa di interesse generale, la cui tutela può giustificare, in astratto, l’adozione di misure nazionali che limitano la libertà di stabilimento.

L’Avvocato generale ritiene che, in linea di principio, la normativa italiana sia idonea a conseguire tale obiettivo, quantomeno in teoria, in quanto impedisce che un’unica impresa acquisisca, direttamente o tramite proprie controllate, una quota rilevante (superiore al 20%) del mercato dei media e che le imprese che già detengono una posizione dominante nel settore dei servizi di comunicazione elettronica (ad esempio TIM, che è l’impresa leader del settore) approfittino di tale circostanza per rafforzare la loro posizione nel settore dei media.

Normativa italiana sproporzionata

Tuttavia, l’Avvocato generale sottolinea che, oltre ad essere idonea a conseguirlo, tale normativa nazionale dev’essere proporzionata all’obiettivo di tutela del pluralismo dell’informazione, ossia non deve andare oltre quanto necessario per raggiungerlo.

Sebbene spetti ai giudici nazionali ponderare la proporzionalità tra la normativa nazionale in esame e le finalità cui è ispirata, l’Avvocato generale suggerisce alla Corte di fornire agli stessi indicazioni utili al riguardo. In quest’ottica, egli osserva, in primo luogo, che la normativa italiana definisce in maniera eccessivamente restrittiva il perimetro del settore delle comunicazioni elettroniche, escludendo nuovi mercati che sono divenuti la principale via di accesso ai media (servizi al dettaglio di telefonia mobile, servizi di comunicazioni elettroniche collegati a Internet e servizi di radiodiffusione satellitare).

Quota del SIC ridotta

In secondo luogo, a suo avviso, i requisiti di proporzionalità potrebbero non essere compatibili con la quota molto ridotta di ricavi (10%) del SIC, fissata quale limite massimo per le imprese i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche superino il 40% dei ricavi complessivi di tale settore. In terzo luogo, l’avvocato generale ritiene sproporzionato calcolare i ricavi delle società «collegate» come se fossero società «controllate» quando, come sembra accadere nel caso di specie, la società (Vivendi) che detiene una quota dei diritti di voto nell’altra (Mediaset) superiore alle cifre sopra indicate non è, di fatto, in grado di esercitare un’influenza notevole su quest’ultima.


IMPORTANTE: Le conclusioni dell’avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia. Il compito dell’avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato. I giudici della Corte cominciano adesso a deliberare in questa causa. La sentenza sarà pronunciata in una data successiva.


[1] L’azionista di maggioranza della Fininvest SpA, al vertice del gruppo Fininvest, è il sig. Silvio Berlusconi (causa C-219/17, Silvio Berlusconi e a./Banca d’Italia e a.; v. comunicati stampa n. 93/18 e n. 205/18).

[2] Decreto legislativo del 31 luglio 2005, n. 177, recante il «Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici».

[3] Secondo la legge italiana, sono collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

[4] Oltre alla stampa e alle pubblicazioni elettroniche, il SIC comprende la radio e i servizi audiovisivi, il cinema, la pubblicità esterna, le iniziative di comunicazione di prodotti e servizi nonché le sponsorizzazioni.