L'analisi

Udienze da remoto, come cambia la Giustizia ai tempi del Coronavirus

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L'uso della videoconferenza tra tribunali, carceri e stazioni di polizia è in aumento a causa dell'emergenza da COVD-19, bisogna però stare attenti per le criticità che possono mettere a rischio la regolare celebrazione di alcuni tipi di udienze.

Con il decreto legge 8 marzo 2020, n. 11, sono state dettate misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria.

In particolare, è stata introdotta, dal comma 1 dell’art. 3 del citato d.l., la possibilità di sospendere i termini processuali e rinviare d’ufficio le udienze fissate dall’8 marzo 2020 (data di entrata in vigore del decreto legge) sino al 22 marzo 2020.

Giustizia: come cambia con il Coronavirus

Sul punto, è sorto il dubbio interpretativo se tale disposizione operi con riferimento a tutti i giudizi pendenti (e non solo a quelli rinviati d’ufficio) e si applichi a tutti i termini processuali (esempio anche a quelli riguardanti le impugnazioni).

Con adunanza della Commissione speciale del 10 marzo 2020 n. 571 si è pronunciato il Consiglio di Stato ritenendo plausibile un’interpretazione estensiva del dettato normativo.

Secondo la Commissione: “l’interpretazione letterale stride con lo spirito e la ratio del provvedimento legislativo urgente, atteso che con precipuo riguardo al termine per il deposito del ricorso (art. 45 c.p.a.) e soprattutto a quelli endoprocessuali richiamati dal già citato art. 73, comma 1, c.p.a., non si ravvisano le medesime esigenze che hanno giustificato la sospensione delle udienze pubbliche e camerali perché trattasi di attività che il difensore può svolgere in via telematica e senza necessità di recarsi presso l’ufficio giudiziario”…“Non appare esservi, dunque, alcun pericolo per la salute dei difensori né si moltiplicano le occasioni di contatto sociale e dunque le possibilità di contagio, sicchè appare sicuramente più in linea con la ratio del decreto legge un’altra interpretazione della norma nel senso che il periodo di sospensione riguardi esclusivamente il termine decadenziale previsto dalla legge per la notifica del ricorso (artt. 29, 41 c.p.a.) e non anche i citati termini endoprocessuali” con “l’auspicio che si intervenga prontamente ed urgentemente, alla prima occasione utile, a livello normativo, con provvedimento chiarificatore di carattere interpretativo e quindi di portata retroattiva, in modo da assicurare la certezza nella materia dei termini processuali a beneficio di tutte le parti dei giudizi”.

Deve essere dato atto che – pressoché contemporaneamente – il Presidente del Consiglio di Stato ha emanato il decreto n.71 (Disposizioni di coordinamento per lo svolgimento delle udienze e delle adunanze) con il quale ha rilevato che, con riferimento al provvedimento citato, “Trattasi di avallo esegetico che, seppur autorevole, non ha efficacia cogente per i giudici chiamati a decidere sul caso concreto sicchè non può che confidarsi, al fine di una effettiva, pronta e corale reazione alla diffusione epidemiologica che non sacrifichi oltremodo l’efficienza e la capacità di risposta del sistema giudiziario amministrativo, in un atteggiamento pienamente collaborativo dell’avvocatura e dei singoli avvocati che si traduca in una sostanziale rinuncia ad avvalersi, per quanto concerne il deposito telematico degli atti defensionali di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a., della sospensione di cui all’art. 3 comma 1 del DL 11/2020.”

Udienze da remoto

In disparte gli esiti a valle di tali opposti orientamenti, ciò che è preminente sottolineare è la possibilità di trattare le cause mediante collegamenti da remoto con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei difensori alla trattazione dell’udienza.

Tale circostanza è stata ulteriormente regolamentata dal Ministero della Giustizia con provvedimento del Direttore Generale del 10 marzo 2020.

Ebbene, se da un lato l’uso della videoconferenza tra tribunali, carceri e stazioni di polizia è in aumento in Italia e nel mondo, è altrettanto vero che margini di criticità possono porre a rischio la regolare celebrazione di alcuni tipi di udienze.

Invero, l’uso più controverso della videoconferenza attiene all’acquisizione di tutte le prove in “contraddittorio” (si pensi alla “cross-examination” nei processi penali).

È doveroso anche ricordare che il ricorso allo strumento audiovisivo è però già presente nel codice di procedura penale (vedi artt. 146-bis e 147-bis disp. att. c.p.p.) ma con le dovute accortezze di segretezza e riservatezza con strumenti tecnologici adeguati.

Viceversa, nei provvedimenti sinora citati viene evidenziato che il collegamento da remoto può essere intrapreso laddove sia garantita la riservatezza del collegamento e la segretezza.

Le connessioni da remoto

Questo approccio ci sembra più di stile che di contenuto e, pertanto, appare più saggio limitare l’uso delle connessioni da remoto ad una lista ben precisa di adempimenti processuali e non applicare tale strumento in maniera indiscriminata.

È pur vero, come ricordato dalla Commissione del Consiglio di Stato che l’attività amministrativa ne beneficerebbe.

Sul tema, infatti, il consesso ha avuto modo di argomentare che:

  • l’articolo 3, comma 5, del decreto – nella parte in cui consente «lo svolgimento delle udienze pubbliche e camerali che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante collegamenti da remoto con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei difensori alla trattazione dell’udienza» – consenta tale possibilità. Peraltro, nel caso dell’attività consultiva, ad avviso della Commissione, non sussistono ostacoli di alcun genere perché le adunanze si svolgono senza la presenza di pubblico e di difensori ma solo con la partecipazione dei magistrati componenti la Sezione o la Commissione speciale.
  • Tale conclusione risulta peraltro in linea con quanto stabilito dall’articolo 1, comma 1, lett. q), d.P.C.M. 8 marzo 2020 (pubblicato sulla g.u. 8 marzo 2020 n. 60, nella parte in cui stabilisce che «sono adottate, in tutti i casi possibili, nello svolgimento di riunioni, modalità di collegamento da remoto»), ora esteso all’intero territorio nazionale dall’art. 1, d.P.C.M 9 marzo 2020.
  • Altre disposizioni di legge, pur non riferite espressamente all’attività consultiva del Consiglio di Stato ma a quella amministrativa, sono la chiara dimostrazione di un indirizzo legislativo volto a potenziare il ricorso agli strumenti telematici. Ed invero nelle norme sotto elencate può trovarsi una conferma:

a. articolo 3 bis l. 241/1990 (“Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l’uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati”);

b. articolo 14, comma 1, l. 241/1990 (“La prima riunione della conferenza di servizi in forma simultanea e in modalità sincrona si svolge nella data previamente comunicata ai sensi dell’articolo 14-bis, comma 2, lettera d), ovvero nella data fissata ai sensi dell’articolo 14-bis, comma 7, con la partecipazione contestuale, ove possibile anche in via telematica, dei rappresentanti delle amministrazioni competenti”);

c. articolo 12 d. lgs. 82/2005 e in particolare comma 1 (“Le pubbliche amministrazioni nell’organizzare autonomamente la propria attività utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione nel rispetto dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, nonché per l’effettivo riconoscimento dei diritti dei cittadini e delle imprese di cui al presente Codice in conformità agli obiettivi indicati nel Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione di cui all’articolo 14-bis, comma 2, lettera b)”) e comma 3 bis (“I soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, favoriscono l’uso da parte dei lavoratori di dispositivi elettronici personali o, se di proprietà dei predetti soggetti, personalizzabili, al fine di ottimizzare la prestazione lavorativa, nel rispetto delle condizioni di sicurezza nell’utilizzo”);

d. articolo 45, comma 1, d. lgs 82/2005 (“I documenti trasmessi da soggetti giuridici ad una pubblica amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico, idoneo ad accertarne la provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale”).

– Il collegamento da remoto per lo svolgimento dell’adunanza è conseguentemente modalità alternativa allo svolgimento in aula dei lavori purché sia garantita la riservatezza del collegamento e la segretezza. Peraltro tale modalità consente di tutelare la salute dei magistrati componenti la Sezione, o la Commissione speciale, senza pregiudicare il funzionamento dell’Ufficio (che continuerà ad operare a pieno regime), rispondendo altresì alle direttive impartite dal Governo, proprio in questa fase di emergenza, in materia di home working o smart working, senza oneri per le finanze pubbliche.

Dall’altro lato, è anche vero che emergono criticità di non poco conto.

Iniziamo con le questioni attinenti al trattamento dei dati giudiziari e delle informazioni riservate (commerciali o industriali) che – come noto – devono essere trattati con la dovuta accortezza.

Non è noto in che modo i vari Tribunali abbiano modo di garantire la segretezza e la riservatezza della comunicazione da remoto.

Difatti, ciascuno ufficio giudiziario dovrebbe effettuare quelle valutazioni proprie che competono in casi analoghi:

  • Quali dati personali o informazioni commerciali vengono trattati? Qual è stata la valutazione del rischio connesso? (Ad esempio, si presume il rischio di una conferenza non protetta e coloro che partecipano alla riunione possano divulgare quanto ivi discusso).
  • Registrazioni. I Tribunali dovrebbero sempre assicurarsi che non possa aver luogo la registrazione non autorizzata della conferenza (esistono, infatti, vari software in grado di registrare l’udienza).
  • Desktop condiviso. Molte volte capita che nella video conferenza venga condiviso un desktop dal quale i partecipanti possano attingere dati personali o informazioni su procedimenti diversi da quello condiviso.
  • Trasmissione dati. La videoconferenza permette la condivisione potenziale ed esponenziale dei dati in maniera indiscriminata. È sin troppo evidente il rischio che il fornitore del software possa accedere ad informazioni privilegiate e non abbia però ricevuto debite prescrizioni di riservatezza e segretezza (si pensi a tutti quei contenziosi riguardanti la proprietà industriale).
  • Pubblicità e trasparenza. I principi appena citati dovrebbero consentire un doppio livello di conferenza: uno pubblico (accessibile potenzialmente a tutti gli “addetti ai lavori”) per verificare che l’udienza si celebri secondo i singoli crismi procedimentali (manifestazione del principio di pubblicità delle udienza; ex multis vedi art. 6 CEDU); l’altro riservato alle parti coinvolte (bisognerebbe evitare che il quisque de populo curiosando sul web possa cogliere l’occasione di seguire intere giornate d’udienza).

È anche vero che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (ad esempio, nella sentenza del 5 ottobre 2006 – Ricorso n. 45106/04; M. V. c. Italia; come del resto la giurisprudenza nazionale) è stata più volte molto sensibile alle modalità di partecipazione al processo mediante videoconferenza, ritenendola ammissibile nei prescritti termini di cui all’art. 146 bis disp. att. c.p.p..

Tuttavia è il caso di precisare che la legittimità di tale approccio riguarda sempre la parte (in specie l’imputato) e non gli stessi difensori, che invece hanno sempre il diritto di intervenire nel processo e veder garantito che una volta “chiusa” l’udienza (quindi terminata la videoconferenza), la parte pubblica (altri soggetti) non possa interloquire con il Tribunale o la Corte, così estromettendo il singolo avvocato da un reale contraddittorio.

Sotto il versante prettamente qualitativo, possiamo sicuramente salutare con favore la modernizzazione e la semplificazione che deriva dall’utilizzo delle connessioni da remoto.

Tale modalità ha il pregio di aiutare la giustizia in ogni forma di giurisdizione, permette di ridurre i costi, consente di migliorarne l’efficienza (riducendo ad esempio i tempi di attesa e i costi di mobilità e quindi l’impatto ambientale, e nel caso attuale permette di contenere il contagio da virus), infine consente anche di aumentare l’accessibilità ai vari servizi giudiziari.

Tuttavia, come contro altare, si paventano – come accennato – rischi evidenti sulla circolazione indiscriminata di informazioni (e non solo personali ma anche commerciali e industriali); si impone la necessità di garantire una buona qualità e una tecnologia affidabile (che spesso comporta dei costi notevoli); attualmente non permette un utilizzo “neutro” laddove non viene predisposta su base legislativa (e non regolamentare) una rosa differenziata di modalità di connessione da remoto a seconda della specifica udienza; non conosciamo bene il rapporto costi/benefici (quindi anche il risparmio) ovvero non si conoscono eventuali conseguenze indesiderate né i relativi impatti.