Lo scontro

Tim, Elliott attacca Vivendi ‘Dimissioni consiglieri azione cinica per prendere tempo’

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Sale il tono del braccio di ferro fra Vivendi e il fondo Elliott in attesa del confronto rimandato all’assemblea generale rimandata al 4 maggio.

Le dimissioni dei sette consiglieri di Tim in quota Vivendi al Cda di ieri sono “un’azione cinica ed egoista”, per “prendere tempo” ritardando così “la possibilità per gli azionisti di Telecom Italia di esprimere il loro voto in assemblea generale”. Questo il commento del fondo Elliott all’esito del cda di ieri, durante il quale Vivendi a sorpresa ha deciso di far decadere il consiglio di amministrazione e di rimandare al 4 maggio l’assemblea per il voto sul rinnovo complessivo dell’intero Cda. Una mossa per rintuzzare l’attacco del fondo Elliott che aveva proposto la sua lista anti-Vivendi per sostituirne altrettanti in quota francese all’assemblea del 24 aprile, che a questo punto si limiterà ad approvare il bilancio 2017 e a rinnovare il collegio sindacale.

De Puyfontaine ‘Affrancare il Consiglio da clima d’incertezza’

Ieri intanto il presidente di Tim e Ceo di Vivendi Arnaud De Puyfontiane, anch’egli dimissionario, aveva così motivato la decisione di sciogliere il Board. “Nella veste di presidente di Tim e nell’interesse di tutti gli azionisti, voglio affrancare il consiglio dal clima di incertezza che si è creato e che distoglie l’attenzione da quella che è la nostra priorità, cioè la rapida realizzazione del piano strategico DigiTIM“. Un piano, ha aggiunto, “che il consiglio ha votato all’unanimità e che è stato accolto con ampio sostegno dalla comunità finanziaria e in generale dai nostri stakeholder. Accettare oggi le dimissioni di 8 consiglieri è un concreto atto di responsabilità. In un’assemblea generale già convocata per il prossimo 4 maggio, infatti, gli azionisti potranno scegliere rapidamente un Consiglio rinnovato, rispetto a votare su modifiche parziali” come proposto da Elliott, accusato da Vivendi di voler smantellare Tim in ottica di breve periodo.

Sale il tono dello scontro

Sale quindi il tono dello scontro fra il fondo Elliott, che detiene una quota del 5,74% in Tim (su cui il governo ha deciso che non eserciterà il golden power), e il primo azionista Vivendi, che ha una quota del 23,9%. Elliot nella nota odierna si dice peraltro “non sorpreso” dalla mossa di Vivendi. “Incapace di avanzare argomentazioni valide, il Consiglio – secondo il fondo d’investimento statunitense – ha semplicemente abbandonato i propri posti per creare una situazione di stallo momentaneo”.

“Questo – si legge ancora nella nota di Elliott – è l’ennesimo esempio di come i diritti degli azionisti di minoranza a Telecom Italia siano abrogati e del continuo disprezzo delle migliori pratiche di governo”. Nel ricordare che Elliot ha investito in Telecom Italia dal 1999, “ben prima che Vivendi ne diventasse azionista”, il fondo statunitense sottolinea il suo attuale impegno per migliorare “performance e governance”.

Duello solo rimandato

E in effetti lo scontro previsto all’assemblea del 24 aprile è soltanto rimandato, anche se nelle more Tim si troverà con un amministratore delegato, Amos Genish, che sembra gradito a Elliott ma che, gioco forza, avrà le mani legate anche perché il piano DigiTIM finisce in stand by in attesa del responso dell’assemblea generale. In questo periodo di vacatio, Genish sarà coadiuvato dalla vigile e solida presenza di Franco Bernabè, che ieri ha assunto le deleghe sulla Sicurezza e su Sparkle, subentrando al dimissionario (con effetto immediato) Giuseppe Recchi.

L’attacco di Elliott

In una lettera della scorsa settimana inviata agli azionisti, Elliott aveva espresso la necessità di un consiglio di amministrazione indipendente e aveva denunciato la “cattiva gestione del consiglio controllato da Vivendi” tradottasi in “seri problemi di governance” e in “calo del suo valore” in borsa e dei suoi asset strategici.

Elliott, il fondo attivista da più parti definito come un “avvoltoio”, gestisce asset finanziari per 34 miliardi di euro e di norma investe in aziende in difficoltà o il cui titolo è sottostimato, come nel caso di Tim, ingaggiando dei veri e propri coro a corpo con gli azionisti in carica.

Braccio di ferro

E in effetti a questo punto il braccio di ferro fra Vivendi e Elliott è pienamente in atto. La mossa sorpresa con cui ieri Vivendi ha fatto decadere l’intero cda implica la rinomina totale del Cda. Un rimescolamento di carte che azzera tutti consiglieri e impone a Elliott un ripensamento della sua strategia, visto che il fondo americano puntava alla parziale sostituzione di sei amministratori in quota Vivendi.

Se non cambieranno le cose, il 4 maggio Vivendi avrà l’opportunità di misurarsi con Elliott in un duello faccia a faccia, in campo libero, con il vantaggio di detenere una quota superiore, pari al 23,9%, che mal che vada consentirà di ottenere almeno cinque membri del board rinnovato. I francesi hanno più tempo per riorganizzarsi e cercare sponde fra i piccoli azionist, ma lo stesso vale per Elliott.

 

La vera battaglia sul futuro della rete

Ma la vera battaglia strategica si gioca sul futuro della rete. Amos Genish ha annunciato l’intenzione di separare la rete, con la creazione di una società ad hoc NetCo controllata al 100% da Tim per fornire servizi all’ingrosso in maniera neutra e indipendente. Gensih sta già lavorando sul progetto di societarizzazione e separazione legale della rete, per disinnescare le preoccupazioni del Governo italiano dovute all’influenza francese su un asset strategico per la sicurezza nazionale. Genish non esclude la Ipo, ma non subito. Nemmeno la vendita di Sparkle è esclusa.

Dal canto suo, secondo Elliott la societarizzazione con un controllo al 100% di Tim su NetCo non è sufficiente. La strategia del fondo americano, che ha ricevuto l’endorsement del ministro Calenda, va oltre e prevede la separazione e la quotazione della rete Tim, o in alternativa la sua vendita parziale, con il mantenimento di una quota minoritaria, per massimizzare il suo valore e ridurre il debito generando profitti. L’ingresso di nuovi azionisti aprirebbe le porte a un nuovo investitore pubblico, in vista della possibile fusione con Open Fiber caldeggiata dal Governo. Stesso progetto varrebbe anche per Sparkle, la società che gestisce i cavi sottomarini di Tim, che secondo il fondo Usa andrebbe valorizzata con una vendita intera o parziale.

Il fondo Usa vuole infine mettere fine al “conflitto d’interessi” (dei membri del board in quota Vivendi ndr) e ha citato nella sua lettera agli azionisti alcuni esempi di stuazioni in cui Vivendi avrebbe “esercitato il suo controllo senza alcuna considerazione degli interessi divergenti degli azionisti di minoranza”. Uno fra tutti, la joint venture Tim-Canal+ o l’attribuzione di un contratto pubblicitario da parte di Tim a Havas (guidata dal figlio di Vincent Bollorè).