il commento

Sondaggio sui doppiatori italiani, ma manca la valutazione d’impatto

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Il Ministro Franceschini riconosce l’esigenza di tutelare la qualità e promuove un tavolo di discussione. Ma perché il Mibact non ha mai promosso uno studio valutativo sulle centinaia di festival che sostiene ogni anno?

Questa mattina, con particolare interesse, abbiamo assistito alla conferenza stampa della 11ª edizione del “Gran Premio Internazionale del Doppiaggio”, iniziativa promossa dall’agenzia di comunicazione romana Ince Media srl di Filippo Cellini, tenutasi al Collegio Romano, sede del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed il Turismo.

In effetti, al di là della presentazione della kermesse, è stato proposto un primo “Rapporto sul Doppiaggio” in Italia: tematica stimolante in sé, e di particolare interesse per chi redige queste noterelle, dato che presiede l’istituto che sta per presentare la prima ricerca mai realizzata in Italia sull’industria del doppiaggio, sostenuta dalla Siae – Società Italiana Autori e Editori e dall’Aidac – Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi.

La ricerca IsICult (Istituto italiano per l’Industria Culturale) è intitolata “L’industria del doppiaggio in Italia. Economico e semiotico nel sistema cinematografico-audiovisivo italiano. Lo scenario attuale, le prospettive e l’ipotesi internazionalizzazione”, ed è in fase di revisione finale, per essere poi pubblicata in volume e presentata in un convegno di respiro internazionale.

L’industria del doppiaggio in Italia – un patrimonio di professionalità unico al mondo – coinvolge almeno 1.500 professionisti, e muove oltre un centinaio di milioni di euro l’anno, ma incredibilmente finora non è mai stata oggetto di adeguata attenzione, in termini di ricerca socio-economica: il caso in questione è sintomatico dei tanti deficit di conoscenza (veri e propri “buchi neri”) delle politiche culturali e delle economie mediali nel nostro Paese.

In verità, danari pubblici se ne spendono, e non pochi, anche per consulenze varie ed eventuali, ma rara è la volontà del “principe” di turno – ovvero del ministro, sottosegretario, direttore generale, assessore, etc. – di voler approfondire in modo serio ed accurato le conoscenze del settore che pure deve “governare”.

Spesso ci si accontenta di numerologie fantasiose, basate su metodologie fragili.

Altra criticità è la dispersione delle risorse pubbliche, con affidamenti policentrici e sovvenzioni spesso a pioggia.

La “ricerca” – in generale (soprattutto quella extra-accademica) – viene vissuta da chi governa il Paese come una sorta di… “accessorio”. Prevale, in quasi tutti i settori, la soggettività nasometrica, ed i consulenti vengono spesso considerati utili “portatori d’acqua” del decisore di turno.

La questione si inserisce in un discorso più ampio, ovvero i criteri e le modalità con le quali la “mano pubblica” concretizza il proprio intervento (non soltanto nel settore culturale), i processi selettivi sono quasi sempre dettati da prevalente soggettività, non si afferma l’esigenza di valutazioni di impatto… e quindi si “sovvenziona” allegramente e liberamente. Se non “a pioggia”, quasi.

Un festival, un convegno, un’iniziativa?!

Si concedono diecimila o centomila euro (e talvolta anche un milioncino e finanche due o tre) senza che qualcuno si prenda la briga di valutare – sia “ex ante” sia “ex post” – se quell’iniziativa ha “un senso”, nell’economia complessiva (numismatica e semantica) del settore nel quale viene organizzata. Certamente le sovvenzioni servono a finanziare le varie “macchine-festival”, ovvero la sopravvivenza degli apparati organizzativo-burocratici delle stesse.

Festa del Cinema di Roma?! Mercato Internazionale dell’Audiovisivo?! Videocittà?!

Sono soltanto tre esempi, tra i tanti.

Potremmo citare decine e decine di iniziative, commendevoli in sé, rispetto alle quali nessuno (nemmeno gli organizzatori!) sa se incidono realmente nel tessuto nel quale intendono intervenire: spesso vengono proposti pseudo-consuntivi con due numeri in croce (che so, la quantità di giornalisti accreditati), nell’ardito tentativo di “dimostrare” un successo indimostrabile…

L’Italia dei 1.000 festival… Una socio-economia sconosciuta

Mai, o quasi mai, una analisi valutativa delle effettive ricadute di queste iniziative, anche soltanto – ed è solo uno degli strumenti di misura – a livello di rassegna stampa e complessiva ricaduta mediale. È l’Italia dei 1.000 festival, che sembra lo specchio dei mitici mille campanili…

Il “Gran Premio Internazionale del Doppiaggio” non sfugge a questa regola: è senza dubbio una iniziativa valida (in sé, appunto) perché, per una serata, riunisce una parte significativa della comunità del doppiaggio italiano, ma ci si domanda se vale quei 100mila euro l’anno che nel corso del tempo il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (Mibact) gli accorda. Forse ne vale di meno. Forse ne vale di più. Chissà.

Però, il “Gran Premio” romano perché beneficia di sovvenzioni ben più consistenti di una iniziativa come il ligure “Voci nell’Ombra”, il qualificato Festival Internazionale del Doppiaggio, diretto da Tiziana Voarino, giunto alla XX edizione nel 2019, sostenuto dalla Siae, ma soltanto “patrocinato” dal Mibact?!

Sarà forse dovuto a che il Gran Premio è “Roma-centrico”, e l’altro “decentrato” rispetto alla Capitale?! Misteri della fenomenologia festivaliera italica.

Qualcuno si è mai sognato di “misurare” l’efficacia di un’iniziativa o dell’altra?! No. “Valutazioni di impatto”: assenti. “Bilanci sociali”: quasi mai prodotti dagli organizzatori.

Si potrebbero fare tanti esempi eclatanti. Ad Ischia, per esempio, convivono due iniziative, una super-sovvenzionata, ed un’altra sostenuta con poche risorse: l’Ischia Global Film & Music Fest diretto da Pascal Vicedomini (varie centinaia di migliaia di euro), e l’Ischia Film Festival diretto Enny Mazzella e Michelangelo Messina (poche decine di migliaia di euro). Il primo è una gran kermesse con parata di star americane, il secondo è un unico concorso internazionale dedicato alle “location” cinematografiche. Quale dei due apporta benefici reali al settore cinematografico ed audiovisivo nazionale?! Chi può dirlo? Qualcuno ha mai pensato di comparare le due iniziative, valutando le concrete ricadute dell’una o dell’altra nel settore cinematografico audiovisivo? No.

Il Mibact non ha mai promosso uno studio valutativo sulle centinaia e centinaia di festival che sostiene ogni anno, tra cinema e teatro e musica e danza: perché?! Senza dimenticare che la Penisola pullula di centinaia di altre kermesse che sono finanziate da Regioni e Comuni, senza l’intervento del Mibact…

Quest’anno, forse anche per dare maggiore “sostanza” all’iniziativa “spettacolare” (un “premio” resta comunque un premio, con la sua funzione anzitutto “coreografica”), Ince Media ha ritenuto di avviare una iniziativa esplorativa, ovvero un questionario, la cui metodologia non è stata rivelata (il dossier di sintesi del sondaggio non reca nessun apparato metodologico: come e quando è stato somministrato?!), al quale hanno risposto poco più di 100 professionisti, ovvero meno di un decimo o ventesimo di quelli che ruotano intorno all’attività. Insomma, non ci si può esprimere sulla qualità del sondaggio, che non si pone certo come “rappresentativo”.

Qualche stimolo interessante è comunque emerso.

Decrescente la qualità del doppiaggio italiano

Il dossier proposto questa mattina evidenzia come l’impatto dell’era digitale e delle moderne forme di distribuzione dell’audiovisivo costituiscono senza dubbio una sfida per il mondo del doppiaggio italiano: la presenza sul mercato di varie piattaforme per la fruizione di contenuti, le richieste crescenti di adattamenti in tempi stringenti, unite alla contrazione delle risorse di budget stanziate… stanno contribuendo a creare un “gap” fra domanda e offerta.

Dai risultati del questionario – realizzato in collaborazione con l’Università Unint di Roma – emerge che l’aspetto più problematico dell’attuale panorama sarebbe rappresentato dai prodotti audiovisivi di massa della grande distribuzione: il risultato evidenziato è un appiattimento della qualità e un conseguente indebolimento del valore percepito da parte degli spettatori.  

Secondo i promotori dell’iniziativa, una soluzione potrebbe essere trovata nella costruzione di un percorso che porti all’individuazione di una “certificazione di qualità”, che metta al sicuro il patrimonio del doppiaggio italiano per dargli il valore che merita riuscendo a colmare il gap esistente. Si è ipotizzato una sorta di “bollino di qualità”, a tutela dei professionisti, ma anche dello spettatore. “Un più alto livello delle lavorazioni non aiuterebbe solo gli operatori del settore ma potrebbe garantire una migliore fruizione anche agli utenti finali”, ha commentato Roberto Di Giovan Paolo, coordinatore del questionario. Belle intenzioni, e condivisibili, ma concretamente?! Servono interventi della “mano pubblica”: norme e regole. Uno dei decani del doppiaggio italiano, Rodolfo Bianchi, ha lamentato questa mattina che il “direttore di doppiaggio” non sia ancora riconosciuto per legge, né da Siae né da Nuovo Imaie, nonostante il suo ruolo sia oggettivamente assimilabile a quello del “direttore d’orchestra”…

Si ricordi che il settore è caratterizzato da una “sindacalizzazione” anomala, dato il carattere ibrido di queste professionalità, che oscillano tra il tecnico e l’artistico: più che la triade classica (Cgil, Uil, Cisl), sono attive tre associazioni: l’Aidac (Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi); l’Anad ovvero, l’Associazione Nazionale Attori Doppiatori; l’Apiad (Associazione Italiana per Assistenti al doppiaggio)…

Interessi professionali in parte convergenti e talvolta divergenti, come abbiamo avuto occasione di ben descrivere su queste colonne: vedi “I doppiatori italiani in stato di agitazione a causa di Netflix e Amazon”, su “Key4biz” del 29 gennaio 2019.

E va osservato che questa “divisione” associativa determina purtroppo una qual certa complessiva debolezza nel rappresentare le esigenze del settore di fronte alle istituzioni ed ai “policy maker”.

L’iniziativa di questa mattina ne è la riprova: sono stati presentati i risultati di un questionario che conferma che il settore è in qualche modo in crisi, certamente in crisi “di qualità”.

Disruption crescente e debolezza sindacale

L’economia complessiva del settore è influenzata dall’entrata in scena di nuovi colossi come Netflix, i quali impongono – grazie alla “disruption” digitale – le proprie regole, risultato di logiche multinazionali improntate ai paradigmi della globalizzazione.

Saltano – anche in questo caso – le “intermediazioni”, ovvero – nel caso in ispecie – i sindacati e le associazioni professionali.

A fronte di un’economia in crisi, il singolo professionista si vede spesso costretto ad accettare regole imposte dalle novelle “major”, che fanno il bello e cattivo tempo, autocraticamente e senza trasparenza: dettano legge… in assenza di leggi adeguate a proteggere la parte debole, qual è quasi sempre “il lavoratore” (per quanto “creativo”).

E lo Stato resta a guardare…

Questa mattina, abbiamo peraltro assistito un po’ increduli ad un soggetto privato – qual è la spettabile Ince Media – che ha chiesto al Ministro di attivarsi per evitare la deriva qualitativa del settore. Nessun esponente dei sindacati (nemmeno di quelli datoriali, che pure un qualche ruolo dovrebbero avere in Anica ed Apt), nessun rappresentante delle associazioni (le tre succitate): a cosa sono dovute queste inspiegabili assenze?!

Il Ministro Dario Franceschini si è mostrato sensibile alla materia: ha riconosciuto che non si deve essere esperti del settore, per osservare un decadimento della qualità del doppiaggio italiano, soprattutto nella fiction seriale e comunque quella non di “alta gamma”.

A fronte della richiesta di Filippo Cellini (“proponiamo che venga istituito un tavolo”), il Ministro ha sostenuto che i “tavoli” sono spesso occasioni di confronto, ma poco concrete. Il titolare del Mibact vuole capire cosa si può fare a legislazione vigente, ovvero se si può intervenire con qualche decreto ministeriale o se è necessario ragionare su un intervento normativo.

Va dato atto della buona volontà del Ministro, così come va osservato che tutta la questione “doppiaggio” è purtroppo stata ignorata, completamente ignorata, durante la gestazione della legge di riforma del settore cinematografico ed audiovisivo, che reca nella propria denominazione corrente giustappunto “legge Franceschini” (la n. 220 del 2016). Quel deficit di attenzione di qualche anno fa resta incomprensibile (una “filiera” importante dell’industria cinematografica ed audiovisiva è stata… rimossa), ed è apprezzabile che il Ministro abbia finalmente deciso di affrontare la questione. Ci si augura con il necessario dataset cognitivo. Il “tavolo” verrà coordinato dal Portavoce del Ministro, Luca Giovanni Lioni. E si spera che il lavoro si sviluppi a porte aperte, con una consultazione libera e plurale.

Il Ministro ha anche segnalato il rischio di una eccessiva proliferazione di “scuole di doppiaggio” che non sono caratterizzate da standard qualitativi adeguati, ed ha sostenuto che un ruolo di “validatore” potrebbe essere svolto dal Centro Sperimentale di Cinematografia.

Giovedì 21 novembre, il “Gran Premio” celebra la sua XI edizione, nella cornice dell’Auditorium Parco della Musica, con una serata che verrà co-presentata dal famoso Pino Insegno e dalla conduttrice di “Rai Italia” Monica Marangoni.

La manifestazione ogni anno vede coinvolti il “gotha” del mondo del doppiaggio, le maggiori società di distribuzione italiane e rappresentanti istituzionali legati al mondo della cultura e dello spettacolo. Durante la serata, vengono premiati i migliori doppiatori, gli adattatori dei dialoghi, i direttori di doppiaggio e i tecnici di sala, oltre ai migliori doppiaggi di film e serie tv usciti nel corso dell’ultimo anno. In 10 anni di attività, gli organizzatori dichiarano di aver ospitato “più di 130 personalità da tutto il mondo e consegnato 150 riconoscimenti alla presenza di oltre 10.000 spettatori”. La serata non viene purtroppo trasmessa in televisione, e ci si domanda se è Rai poco interessata, o se è Ince Media a non aver promosso una simile “disseminazione” mediale della kermesse.

Tutto bene – come suol dirsi – quel che va nella direzione giusta. Ed il “Gran Premio” va certamente nella direzione giusta, anche se forse si dovrebbe ragionare su una qualche correzione di rotta, anche rispetto al ruolo di altri “player” del settore. Una strategia unitaria ed un progetto organico di rigenerazione e rilancio del doppiaggio in Italia (anche rispetto alle potenzialità internazionali) sarebbero benefici per il settore tutto.

Clicca qui, per i risultati del sondaggio sul mondo del doppiaggio italiano, presentato da Ince Media al Mibact, in occasione della conferenza stampa per la XI edizione del “Gran Premio Internazionale del Doppaggio”, il 12 novembre 2019.