Lo studio

Smog, 51 mila morti l’anno in Europa. Città italiane le più pericolose

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Nuova ricerca pubblicata su The Lancet mette in guardia: “Le nostre amministrazioni non stanno facendo niente per risolvere il problema e non esiste una soglia minima di inquinamento sotto la quale la nostra vita è al sicuro”. Città padane tra le più pericolose in Europa per la salute dei cittadini.

Ogni anno in città si contano più di 50 mila morti premature in Europa, dovute all’alta concentrazione di agenti inquinanti nell’aria che respiriamo. Polveri sottili (PM) e diossido di azoto (NO2) sono tra quelli che più minacciano la nostra salute (ma ci sono anche anidride solforosa – SO2 e ozono-O3).

Morti d’inquinamento in città

In un nuovo paper scientifico, pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet, condotto su un campione di 1.000 città europee, si stima che misure più coraggiose di riduzione dello smog potrebbero evitare ogni anno 51.213 morti premature.

Se inoltre si rendessero ancora più stringenti i limiti previsti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), si potrebbero evitare il doppio delle morti premature attualmente registrate.

Il limite standard previsto è la soglia di 50 μg/m3 e serve a valutare l’esposizione acuta a breve termine.

Ad essa fanno riferimento sia il valore limite di legge nazionale ed europeo (massimo numero di 35 superamenti annui del limite giornaliero) che il valore di riferimento proposto ms (non superare più di tre volte in un anno), fatto proprio anche dalle Nazioni Unite (Agenda 2030) e dall’Unione europea (Strategia “Aria pulita” per l’Europa”) come obiettivo cui tendere entro il 2030.

Il tragico record italiano

Secondo lo studio, sono le città del Nord Italia ad aver registrato i valori più alti di mortalità per NO2. Nello specifico le città padane.

Brescia è al primo posto, seguita da Bergamo al secondo, da Vicenza al quarto, da Saronno all’ottavo.

Tra le grandi città, Torino è al terzo posto e Milano al quinto, per decessi prematuri legati a PM e NO2.

Uno scenario inquietante, questo delle città italiane, che è confermato anche dai risultati dell’indagine condotta dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snap – Ispra), secondo cui: “i dati del PM10 registrati nel 2020, relativi a complessive 530 stazioni di monitoraggio, hanno evidenziato che il valore limite giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 35 volte in un anno) è stato superato in 155 stazioni (29,2%), in larga prevalenza (131 stazioni su 530) nel bacino padano (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia)”.

Per quanto riguarda invece il valore di riferimento Oms giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 3 volte in un anno), è stato superato nel 2020 in 400 stazioni (75,5%). In questo caso i superamenti interessano tutte le regioni italiane, con la sola eccezione della provincia autonoma di Bolzano.

La stessa Corte di Giustizia europea ha richiamato il nostro Paese, ricordando che dal 2008 al 2017 l’Italia avrebbe superato, in maniera sistematica e continuata, nelle zone interessate, i valori limiti giornalieri e annuali applicabili alle concentrazioni di particelle PM10.

Troppe città non stanno facendo niente

Mark J Nieuwenhuijsen, ricercatore del Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal) e coautore dello studio, ha affermato che queste nuove stime relative all’ambiente urbano: “hanno inequivocabilmente evidenziato il grave impatto dell’inquinamento atmosferico sulla salute di chi abita in città“.

Lo studio ha dimostrato che troppe città non stanno ancora facendo abbastanza per affrontare l’inquinamento atmosferico, e lo sforamento dei limiti previsti dalle linee guida dell’OMS sta portando a un numero di morti evitabili crescenti“, ha dichiarato lo studioso.

Non esiste soglia di esposizione sicura al di sotto della quale l’inquinamento atmosferico è innocuo e la politica sanitaria di ogni Governo locale dovrebbe riflettere questo“, ha concluso.

Stando ai risultati pubblicati da Lancet: in tutte le città prese in esame, è risultata esposta a livelli di PM e NO2 superiori ai limiti stabiliti dall’Oms rispettivamente l’84% e il 9% della popolazione residente.