L'APPROFONDIMENTO

Smart factory, servono 90 miliardi l’anno nell’Ue per la quarta rivoluzione industriale

di |

Le fabbriche cambiano volto, sempre più smart e automatizzate, grazie all’internet delle cose, alle soluzioni cloud e Machine-to-Machine (M2M), alla sensoristica digitale applicata alla cyberfisica. Una possibile leva per tornare a crescere in Europa, ma per Roland Berger servono 90 miliardi l’anno nei prossimi 15 anni.

Una nuova ‘rivoluzione industriale’ (la quarta) attende le economie considerate mature, quelle un tempo definite ‘occidentali’: l’industry 4.0. Grazie ai progetti smart city, all’integrazione di informatica e automazione,  all’internet delle cose e all’applicazione dell’ICT in diversi campi economici e manifatturieri, si può ormai cominciare a parlare di smart factory.

Ci vorrebbero per la sola Europa circa 90 miliardi l’anno, per i prossimi 15 anni, si legge in un Rapporto di Roland Berger dello scorso anno, per un totale di 1,3 trilioni di euro. Negli ultimi anni, causa (o conseguenza) la crisi economica e finanziaria, l’industria europea ha perso competitività a favore dei mercati emergenti (dove nel frattempo una grossa fetta della nostra industria è stata delocalizzata).

Le industrie europee, in 20 anni, hanno perso il 10% del mercato mondiale a vantaggio di altri concorrenti, come Russia, Cina, Corea del Sud, Sud America e Africa, che nello stesso periodo hanno accumulato una crescita superiore al 40%.

Il tema dell’industry 4.0, sostenuto con forza nell’Ue dal network di imprese tedesche Smart Factory e dalla strategia high-tech della Repubblica Federale di Germania  (a cui hanno aderito aziende del calibro di Deutsche Telekom, SAP e Siemens), è stato riproposto con forza a partire dal 2011, in occasione dell’Hanover Fair.

Al World Economic Forum di Davos di quest’anno, la cancelliera Angela Merkel ha annunciato nuovi massicci investimenti nell’industria 4.0 (che attualmente si aggirano attorno ai 200 milioni di euro) : “Dobbiamo sostenere la crescita dell’economia a partire dall’utilizzo delle nuove tecnologie applicate al mondo della manifattura e della produzione industriale, in quella che noi chiamiamo industry 4.0”.

Gli obiettivi di questo nuovo paradigma tecnologico ed economico sono molteplici: raggiungere l’efficienza energetica, ridurre l’impatto ambientale (che ha un costo), ottimizzare le risorse disponibili (a partire da quelle del territorio), rendere più veloci e flessibili i processi produttivi, ridurre i costi, aumentare la produttività e la competitività, introdurre l’innovazione tecnologica negli impianti.

Soluzioni ad alto contenuto tecnologico che dovranno convergere in una strategia industriale orientata alla fabbrica intelligente (smart factory), quindi dotata di sistemi orientati alla cyberfisica, di infrastrutture wireless, di tecnologie IoT e M2M, di piattaforme per il cloud computing e la Human Machine Interface, di stampanti 3D, di robots, di sensoristica digitale e molto altro.

Un panorama non così fantascientifico, in verità, perché le tecnologia sono già a portata di mano, che se da un lato attrae inevitabilmente imprenditori ed investitori, dall’altro spaventa il mondo del lavoro, già vulnerabile di suo in questi anni. L’Industry 4.0, infatti, tenderà ad utilizzare sempre di più sistemi di produzione tipici della cyberfisica, con l’impiego di sensori altamente sofisticati in grado di fornire istruzioni di lavorazione alle apparecchiature di produzione automatizzata.

Gli uomini, in pratica, avranno un ruolo estremamente marginale in questa fabbrica 4.0, dove tutto funzionerà in maniera automatizzata, con gravi ricadute sull’occupazione (a meno che non vengano lanciate nuove politiche in tal senso).

Un salto tecnologico piuttosto semplice per l’Europa, di per sé pronta per la smart factory, ma che necessità di una politica più coraggiosa e allo steso tempo attenta alle esigenze sociali e del mondo del lavoro, con una capacità di visione più ampia e una volontà generale (anche da parte delle imprese) di mettere a fattore comune esperienze, risorse e best practice.