l'intervista

Sanremo, la riscossa della Tv? Alberto Contri (IULM): ‘Solo un fuoco di paglia’

di Raffaele Barberio |

Se il Servizio Pubblico si scrollasse di dosso l’idea che internet serve soprattutto per promuovere i programmi Tv, e si decidesse a studiare una adeguata integrazione tra i mezzi, vedremmo nuova vita non solo per la Tv, ma per l’offerta crossmediale nel suo complesso, dice Alberto Contri.

Sanremo sarà sempre Sanremo, ma questa volta Il Festival della canzone italiana aveva dato, a caldo, l’idea di aver spiazzato tutti.

Ha iniziato Aldo Grasso: “Ho sbagliato tutto, la noia può fare ascolti”, seguito da Giancarlo Leone: “Un Festival che parla a tutto il paese, non a quella frazione che sta su Twitter”.

A noi è venuto il dubbio che ci sia qualcosa che non torna, così abbiamo chiesto una analisi un po’ più approfondita ad Alberto Contri, pioniere della crossmedialità, docente di Comunicazione Sociale alla Iulm di Milano, già consigliere della Rai dal 98 al 2002 con la delega ai nuovi media.

 

Key4biz. Allora la tv non è morta o sta morendo, come si afferma da più parti?

Alberto Contri. Chi studia seriamente i mass media sa benissimo che nella storia non è mai avvenuto che un mezzo ne soppiantasse di colpo un altro. Semmai abbiamo assistito a lente dissolvenze, a progressive ibridazioni che sono sempre andate di pari passo con il contesto sociale e tecnologico. Purtroppo si leggono spesso affermazioni affrettate, e la cosa curiosa è che oggi, in occasione di Sanremo, persino editorialisti di vaglia si divertono a improvvisarsi massmediologi. In un solo secolo abbiamo visto la nascita di mezzi come la radio, la tv, il web. Ciascuno a suo modo ha comportato grandi modificazioni del comportamento del pubblico, intervenendo sulla creazione del pensiero e sulla crescita (o decrescita) culturale della popolazione. Ma la rivoluzione più recente, il web, non è costituita da un mezzo, bensì da un ambiente, in cui si sono sviluppati e si sviluppano continuamente nuove modalità capaci di mettere in relazione le persone. Che non è poi una aspirazione tanto nuova, essendo ai vertici della scala dei bisogni di Maslow, codificata negli anni cinquanta dal grande psicologo americano.

 

 

Key4biz. E come si trova la tv in questo contesto?

Alberto Contri. Ricordo che proprio negli anni Cinquanta la tv era il principale mezzo di socializzazione: pochi avevano il televisore in casa, tutti si andava al bar per vedere Lascia o Raddoppia, al cinema si interrompeva il film per vedere il programma su grande schermo. Oggi la fruizione della tv è completamente cambiata, tranne che per gli adulti e anziani. E’ noto che le classi giovanili guardano ancora la tv, ma “a spizzichi e bocconi”, si potrebbe dire, con una fruizione differita dei programmi consentita dallo sviluppo della tecnologia informatica.

 

 

Key4biz. Ci ricordiamo un suo famoso aforisma: Peak time is my time…

Alberto Contri. Pensate che fu coniato e diffuso durante un seminario con 600 manager della comunicazione ad Assago ben venti anni fa! Significava che al di là dei pochi eventi da vedere e godere in diretta (la finale di una partita mondiale, Sanremo, la Formula Uno, altri eventi sportivi o drammatici) per gli utenti più giovani sarebbe arrivato ben presto il tempo di farsi il proprio palinsesto grazie alle opportunità del web. E così è avvenuto. Soltanto il testardo presidio delle rendite di posizione ha fatto sì che la tv nostrana continuasse a replicare gli stessi palinsesti da oltre 10-15 anni, contando sui numeri costituiti dalla crescente massa di pensionati incollati alla tv per passare il tempo.

 

 

Key4biz. Lei è stato anche il pioniere del web nella Rai, anche come AD di Rainet dal 2003 al 2008.

Alberto Contri. E’ stata una esperienza entusiasmante e frustrante ad un tempo. Alla fine del mandato quadriennale da consigliere, dopo un anno riuscii a farmi nominare AD della piccola società partecipata, ma solo perché non c’erano né potere, né appalti, né vallette da gestire, e nessuno aveva la minima idea di cosa si trattasse veramente. Tradendo l’impostazione iniziale, il web della Rai aveva finito per assomigliare ad una scipita insalata russa, in cui ogni programma o testata si faceva il suo sitarello web, dipendendo inoltre da appalti esterni e tecnologie a volte molto differenti. Dopo un rapido giro di benchmark a BBC e France Television Interactive, proposi di fare di Rainet (sulla base della loro esperienza) un hub di competenze editoriali ed informatiche che si mettesse al servizio di reti e testate. Ricordo che nel 2003 i direttori dei TG e dei programmi non volevano mettere l’indirizzo web sullo schermo perché sostenevano che facesse confusione e gli sporcasse il logo. Ciononostante, pur in assenza di delibere almeno di indirizzo, in poco tempo tutti accorsero a farsi fare il sito e l’interattività da noi, perché si vedevano subito i risultati. Appena tornato dall’America per dirigere il TG1, Gianni Riotta mi chiamò per rifare da zero il sito dell’ammiraglia dell’informazione Rai. Tra i più veloci c’erano Michele Santoro e Milena Gabanelli: con Report condividevamo a metà tempo anche l’ottimo regista Claudio Del Signore. Nel 2008 fui costretto a lasciare pur all’apice del successo per motivi che non mi sono parsi affatto tecnici: il posto era diventato troppo appetibile. In cinque anni i due portali Rai.it e Rai.tv avevano fatto oltre il 500% di click in più, e c’erano già 7 canali di web tv con 30 milioni di video caricati dai programmi e dalle Teche.

 

 

Key4biz. Perché aveva soprannominato Rainet, oggi inopinatamente chiusa, “il sottomarino tutto rosa”?

Alberto Contri. Perché la nostra situazione ricordava molto da vicino quella del sottomarino del film di Blake Edwards con Cary Grant e Tony Curtis, i cui marinai dovevano andare a rubare i pezzi di ricambio per tenere a galla la vecchia carretta. Ricordo le liti con la Direzione Risorse Umane per avere computer più veloci, o un sistema di raffreddamento adeguato per i server nei sotterranei (una cantina, in realtà) di Via Teulada: ci dettero un piccolo pinguino De Longhi, ma con un una bella farfalla sul guscio! Per tornare al tema Sanremo, ricordo quando ci mettemmo in testa di mandare sul web i videoclip delle esibizioni degli artisti in gara: la Direzione Produzione ci chiese 6 mesi di tempo per una ricerca di fattibilità. Allora, senza dirlo a nessuno, costruimmo in casa un accrocco informatico che prendeva il segnale da un normale televisore e alla fine dell’esecuzione la canzone era già in rete per essere votata.

 

 

Key4biz. Ecco, torniamo a Sanremo. Cosa c’è che non torna nelle dichiarazioni di Grasso e Leone?

Alberto Contri. Leone ha tutto il diritto di sbandierare i più alti ascolti degli ultimi 10 anni, ci mancherebbe. Così come Grasso, insieme a praticamente tutta la critica, hanno diritto a parlare di contenuti modesti. Ma sbagliano entrambi a non considerare il vero contesto: Carlo Conti poteva innanzitutto contare sullo zoccolo duro di pubblico formato da pensionati e casalinghe, e – vista la crisi, come hanno scritto alcuni – anche da giovani precari rimasti in casa a guardare la tv, non potendo fare altro. La verità è che trattandosi di un evento cui partecipavamo anche molti cantanti e personaggi usciti dai talent, le classi giovanili sono accorse a guardare il Festival per divertirsi a commentare – quasi sempre in maniera salace e feroce – su Facebook e altri social media. E’certamente per questo che in occasione di Sanremo il pubblico risulta ringiovanito anche di 6-7 anni, che è un risultato clamoroso. Ma di qui a parlare di gradimento, ce ne corre…La riprova l’ha fornita il prof. Edoardo Fleischner dell’Università Statale di Milano, che nella sua imperdibile rubrica su Radio Radicale, ha fatto un rapido calcolo: se Arisa da sola raccoglie 4 milioni di fan tramite le sue 3 pagine su Facebook,  figuriamoci cosa succede se ci aggiungiamo i fan di tutti gli altri, e, aggiungo io, se ci aggiungiamo pure la grande attività che le case discografiche hanno imparato a fare sui social network. Io stesso, condividendo l’amicizia con un supporter di Caccamo (che ha vinto meritatamente la categoria delle giovani proposte), sono stato subissato di inviti a votarlo. La sintesi di tutto questo è che i social media, così snobbati da Leone, sono stati in realtà il booster che ha fatto la differenza, portando una grande quantità di pubblico giovane più che a guardare, a giocare con l’evento nelle più diverse forme.

 

 

Key4biz. Vista l’esperienza di Sanremo, cosa prevede allora per la tv?

Alberto Contri. Come ho già detto nulla muore e tutto si trasforma. Guardiamo cosa succede nel mondo: tv pay come HBO e altre stanno producendo serie televisive che sono in realtà grande cinema trasmesso in tv. Poi ti arriva Netflix e nasce addirittura il fenomeno del “binge view”, la gente che in un week end si vede anche 10 puntate di fila. Perché va bene vedere i film anche sul cellulare, ma vuoi mettere goderti il Trono di Spade o Homeland sullo schermo da 50 pollici con relativo surround? (Non per essere tedioso, ma anche questa previsione l’avevo fatta molti e molti anni fa a Carlo Massarini in una intervista a Mediamente). Non ci vuole la sfera di cristallo, basta osservare quali sono i driver che promuovono i cambiamenti, e soprattutto non essere schiavi delle rendite di posizione. Per stare in casa nostra, non ci dice nulla il successo dei programmi di Discovery Channel, che piacciono ai giovani pur con temi che neanche ti immagineresti, tipo “Come trovare il giusto abito da sposa” o “Ventiquattro ore al pronto soccorso”? Evidentemente hanno trovato il linguaggio giusto per parlare ai giovani in tv. Mi viene quindi da chiedere che audience avrebbe potuto fare Il Festival di Sanremo – ad esempio – con testi un po’ meno modesti…L’ultima cosa da dire è che se il Servizio Pubblico, e non solo, si scrollasse di dosso l’idea che internet serve soprattutto per promuovere i programmi televisivi, e si decidesse a studiare una adeguata integrazione tra i mezzi, come il contesto richiede, vedremmo nuova vita non solo per la tv, ma per l’offerta crossmediale nel suo complesso. Certo, ci vuole un po’ di visione competente, non basta parlare solo di conti (con la c minuscola). E forse ci vorrebbe anche una maggiore sensibilità da parte delle istituzioni e della politica, che sembrano avere una immagine della tv e del contesto mediale piuttosto vecchiotta.

Ma se ce l’hanno alcuni di quelli che la fanno…che vogliamo pretendere?