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Rai, nuovi palinsesti ma vecchia tivù

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Presentati i palinsesti Rai della stagione 2020-2021: la conservazione prevale sulla innovazione. Inclusione e diversità molto invocate, ma manca la voglia di rischiare veramente.

Come sanno gli addetti ai lavori (produttori, investitori pubblicitari, autori, artisti, giornalisti specializzati, e tutto “il mondo” professionale e artistico che ruota intorno a Viale Mazzini), la “presentazione dei palinsesti” (della stagione autunno-inverno) è un appuntamento annuale imperdibile, per chi cerca di capire la Rai che sarà: questa mattina l’iniziativa – che tradizionalmente è una kermesse ben strutturata e ricca, con centinaia di partecipanti ed ospiti – si è tenuta in versione “ridotta”, a causa delle conseguenze della pandemia, con una curiosa “divisione” logistico-spaziale tra l’alta dirigenza ed i giornalisti. I primi, una ventina, accolti a via Asiago (nello studio in cui è stato lanciato “Viva Raiplay!” di Beppe Fiorello), ed i giornalisti, anche loro una ventina, a viale Mazzini (Salone degli Arazzi). Quasi quasi a non voler consentire un contatto “diretto” tra i primi ed i secondi, approfittando di una qualche limitazione imposta dalle regole di prevenzione sanitaria (che pure avrebbe consentito anche soluzioni diverse).

La diretta – ad esclusiva circolazione interna – è stata condotta dalla conduttrice del Tg1 Laura Chimenti, che si è confermata nella sua professionalità, per quanto molto moderata, eccessivamente rituale, elegante ma ingessata (ci sarebbe piaciuta di più una conduzione eterodossa à la Geppi Cucciari).

Come è stata organizzata la kermesse? Seguendo una scaletta che ha un po’ mischiato “i generi”, e “le reti” e “le fasce”, si sono avvicendati i manager apicali di Viale Mazzini, da Luca Milano, Direttore di Rai Ragazzi, a Stefano Coletta, Direttore di Rai1, passando per Duilio Giammaria, Direttore della neo struttura Rai Documentari.

Prima dei brevi promo (montati con ritmi troppo veloci – che nemmeno consentivano di leggere i dati essenziali, come il titolo delle opere e dei programmi presentati – accompagnati da musiche non italiane – perché, di grazia? non c’è sufficiente repertorio italiano?!), e poi, per genere/rete/fascia, il direttore competente.

Tutto molto rituale, tutto molto autoreferenziale, ma d’altronde questo rito così viene interpretato da sempre: una sorta di “vetrina” nella quale un qual certo autocompiacimento finisce per essere inevitabile.

Assolutamente rituali anche gli interventi di apertura del Presidente Marcello Foa e dell’Amministratore Delegato Fabrizio Salini.

Stefano Coletta (Rai1) superstar: domina la scena e propone la sua idea di “servizio pubblico”

Tra gli interventi, merita essere citato quella del Direttore di Rai1 Stefano Coletta, senza dubbio uno dei dirigenti Rai di maggiore cultura (umanistica): classe 1965, entrato in Rai nel 1991 come redattore e conduttore di programmi radiofonici, poi autore di programmi, nel 2018 Responsabile del Nucleo Produttivo di Programmi di Servizio Sociale, nel 2017 diviene Direttore di Rai 3, e nel gennaio 2020 viene nominato Direttore di Rai 1.

Una sfida impegnativa quella della “rete ammiraglia”, per un professionista che ha caratterizzato il proprio percorso proprio per la sensibilità al sociale, alle differenze, alla pluralità socio-culturale che caratterizza la parte migliore del nostro Paese.

Stefano Coletta ha fatto un discorso – molto lungo, troppo (e se ne è scusato) – quasi più da Presidente che da Direttore di rete, esponendo una interessante sua teoria del “servizio pubblico” televisivo, sostenendo che si deve coniugare – soprattutto sulla rete regina della Rai – la spettacolarità e l’impegno, cercando di scardinare alcune paratie e schemi. Un esempio concreto – di cui si è fatto vanto – è la produzione di una variante, tutta italiana ed originale, del format “The Voice” intitolato “The Voice Over”: il programma non è mai stato adattato a questa fascia di età, e sarà Antonella Clerici ad andare “in cerca del talento tardivo”.

Coletta si è poi fatto vanto anche di una serata speciale dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne in occasione della omonima giornata internazionale (il 25 novembre), condotta da “tre grandi donne”, ovvero Maria De Filippi (“prestata per una sera” da Mediaset), Sabrina Ferilli e Fiorella Mannoia. Ha concluso: “sto disegnando una Rai 1 valoriale, che veicoli messaggi potenti”. Altra piccola (grande?!) innovazione, la emersa volontà di accentuare lo sfruttamento delle risorse interne e la “mission” informativa della Rai, affidando il “daytime” di Rai1 a giornalisti professionisti, interni all’azienda.

Molta conservazione e poca innovazione

Per il resto, una impressione complessiva di molta conservazione e poca innovazione.

Il neo Direttore della neonata struttura Direzione Documentari, il giornalista autore e conduttore Duilio Giammaria ha annunciato alcune iniziative, ma si è ben compreso che deve interagire con i direttori di rete, e si ha ragione di temere che la sua struttura non sia ancora dotata del budget necessario per allineare la Rai alle migliori esperienze dei “public media service” d’Europa.

Il neo Direttore di Rai 3 Franco Di Mare ha annunciato la messa in onda, il venerdì, dal 16 ottobre in prima serata del nuovo programma “Titolo Quinto”, dedicato al rapporto tra Governo ovvero Stato centrale e Regioni. Anche Di Mare ha posto enfasi sulla utilizzazione delle risorse interne, e Salvo Sottile ha commentato l’annuncio dei nuovi conduttori di “Mi Manda Rai3”, gli interni Lidia Galeazzo e Federico Ruffo: “mi fa sorridere… io ho fatto ‘Mi Manda Rai3’ per cinque anni, a sentire Franco Di Mare sembra che chi non era interno non lo potesse fare. Abbiamo vinto un sacco di battaglie, aiutato un sacco di gente… Io non credo che esistano giornalisti di serie A e di serie B, ci sono giornalisti del servizio pubblico che sono bravi e giornalisti che non sono interni alla Rai che sono altrettanto bravi”.

Il Direttore di Rai Radio, Roberto Sergio, ha annunciato il “passaggio” di Radio2 (definita la “factory creativa della leggerezza”) in… video: “con Radio 2 Visual, stiamo in realtà annunciando la nascita di un nuovo canale video. Per la prima volta, Rai offre sul mercato un canale di flusso dedicato all’intrattenimento. Una sorta di Comedy Central di qualità, che ruota intorno a due poli: la musica e il talk. Quest’ultimo aspetto, in particolare, varia fra i diversi registri dell’attualità, della gag, del divertimento. Sempre e comunque all’insegna della leggerezza e del divertimento intelligente”.

Qualche informazione meno rituale è emersa dalle risposte alle domande dei giornalisti. Per esempio, rispetto alla scabrosa vicenda dello strapotere degli “agenti”, l’Ad Fabrizio Salini ha sostenuto che “abbiamo approvato linee guida un mese fa in Cda, sono operative, partiranno già dalla prossima stagione ci sarà un modello operativo per applicarle”. Ce lo auguriamo. Significativa la risposta sul cosiddetto “extra-gettito”: “stiamo cercando di portare in Rai tutte le risorse che fanno parte del canone, compreso l’extragettito: stiamo dialogando con le istituzioni per questo”, ha sostenuto, anche se abbiamo certezza che sarà arduo intaccare quella parte del canone che va ad alimentare – sulla base di quale logica non è dato sapere – il “fondo per pluralismo”, che sostiene assistenzialmente le emittenti televisive e radiofoniche locali.

Si ricordi che l’evanescente contratto di servizio tra Mise e Rai prevede il lancio di due canali, uno in lingua inglese destinato a proiettare l’immagine del nostro Paese nel mondo, un altro dedicato all’informazione istituzionale, e che entrambi stanno restando sulla carta, sostanzialmente per deficit di risorse.

In argomento (risorse), a fronte della previsione di un “rosso” di oltre 65 milioni di euro, Salini ha dichiarato “quest’anno era prevista la presenza di due grandi eventi, Europei e Olimpiadi, che avrebbero inciso in maniera profonda nei bilanci. Sono stati posticipati al 2021, quindi nel 2021 avremo l’effetto sui costi di questi due eventi. Per il 2020 possiamo confermare il bilancio previsionale, anzi forse sarà anche migliore delle previsioni”.

Nelle stesse ore della presentazione dei palinsesti Rai, le agenzie stampa diffondevano i dati elaborati dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni attraverso il proprio Osservatorio sulle Comunicazioni: rispetto a marzo 2019, la Rai continua a detenere la leadership in termini di audience con il 36 % e una crescita di + 0,1 punti percentuali; il secondo operatore, Mediaset, con 4,5 milioni di telespettatori nel giorno medio, registra una contrazione (- 0,6 punti percentuali) raggiungendo una share del 32 %.

Nello stesso periodo, Discovery e La7 del Gruppo Cairo registrano performance positive con incrementi delle quote di ascolto rispettivamente dello 0,6 % e 0,2 %. In diminuzione, invece, gli ascolti registrati da Comcast/Sky, che risultano in contrazione di 0,8 punti percentuali.

Analizzando l’evoluzione delle audience delle edizioni serali dei principali programmi di informazione (i telegiornali), nel giorno medio, Tg1 e Tg5 si confermano i più seguiti (complessivamente con circa 13,6 milioni di ascoltatori e una crescita, rispettivamente, di + 2,2 e + 2,5 punti percentuali). Al terzo posto, si colloca l’edizione serale della testata a carattere locale di Rai 3 (TgR) con una share, pari al 16,8 %, in crescita di + 4,7 punti percentuali.

Insomma, la Rai continua ad essere vincente, almeno in termini di ascolto complessivo, ma per quanto riuscirà?!

Anzaldi (Italia Viva): “palinsesti Rai: sprechi, privilegi, propaganda”

Sui “nuovi” palinsesti Rai, nessuna presa di posizione di esponenti politici, se non il sempre polemico esponente di Italia Viva, Michele Anzaldi, che spara a pallettoni: “i nuovi palinsesti Rai? confermati sprechi, privilegi, propaganda. Ignorata e totalmente disattesa la Risoluzione contro i conflitti di interessi di agenti e conduttori, approvata dalla Commissione di Vigilanza ben 3 anni fa e la cui applicazione è stata sollecitata anche da una Delibera Agcom. Smentiti gli annunci di Salini, il regolamento portato in Cda si conferma una presa in giro, con la grave deroga a discrezione dell’azienda, che può decidere addirittura se applicare o meno un’indicazione del Parlamento. A 3 settimane da quel grave affronto, la Commissione di Vigilanza non è neanche riuscita a riunirsi: a che serve allora? Meglio chiuderla e risparmiare i soldi dei cittadini”.

Ed ancora: “intanto, nei palinsesti trionfano le società di produzione private che si spartiscono le trasmissioni e le fasce orarie più seguite, perdura lo strapotere di pochi agenti, c’è l’ennesima grave infornata di giornalisti e conduttori esterni, mentre non c’è nessuna vera valorizzazione degli interni, a dispetto di quanto era stato annunciato. Nessuna svolta all’informazione e al rispetto del pluralismo, dopo la sanzione Agcom. Pagano gli italiani”. Una lettura troppo critica?! Forse, ma sicuramente alcune delle tendenze denunciate da Anzaldi sono purtroppo oggettive.

L’Ufficio Stampa della Rai, diretto da Claudia Mazzola (presto neo Presidente della Fondazione Musica per Roma), ha curato un tomo di oltre 160 pagine, con un layout grafico non entusiasmante, che senza dubbio mette in mostra la ricchezza complessiva dell’offerta di Viale Mazzini: gran quantità, indiscutibilmente, e finanche discreta varietà (da “Ballando con le stelle” a “Report”, per capirci), ma quel che non emerge dal corposo volume in quadricromia è la “vision” complessiva (che sembra non esserci) e soprattutto che spesso le trasmissioni che incarnano in modo netto la tanto auspicata vocazione verso “il sociale” (far crescere l’inclusione, rispettare le diversità, stimolare il pluralismo) sono relegate ai margini del palinsesto. In orari sepolcrali talvolta.

Le belle iniziative innovative ci sono, ma sono rare e sono sommerse dalla conservatività

Un caso emblematico è “O anche no”, di e con Paola Severini Melograni, giunto alla terza edizione, dedicato alle problematiche dei diversamente abili: viene trasmesso la domenica alle 9:15 del mattino! Ciò basti.

E che dire di due fiction che affrontano tematiche assai “sociali”, come le annunciate “Mental”, serie in 8 episodi da 25 minuti, scritta da Laura Grimaldi e Piero Seghetti, con il coordinamento editoriale di Filippo Gentili (produzione Stand by Me), dedicata alle storie di quattro ragazzi “disturbati” in un ospedale psichiatrico. Bella idea, ma va in onda su RaiPlay, e peraltro si tratta dell’adattamento italiano del format finlandese “Sekasin”.

Altresì dicasi per “Nudes”, scritta da Emanuela Canonico, Valerio D’Annunzio, Matteo Menduni, Giulio Fabroni (produzione Bim Produzioni), che affronta il problema del rapporto tra nudità e web, ai limiti del sempre latente rischio di pornografia e di “revenge porn”. Bella idea, ma anche questa va in onda su RaiPlay, e peraltro, anche in questo caso, si tratta dell’adattamento italiano del format norvegese “Nudes”.

Apprezzabile la produzione, questa sì tutta italiana, di “Mare fuori”, scritta da Maurizio Careddu, Cristiana Farina, Giuseppe Fiore, Luca Monesi, Paolo Piccirillo (produzione Picomedia), 6 puntate su Rai2, dedicate alle storie di alcuni ragazzi ospitati in un Istituto di Pena Minorile di Napoli…

Apprezzabile l’attività di un giornalista certamente sensibile ai problemi del sociale, qual è Domenico Iannaccone, che conduce dal 16 novembre “Che ci faccio qui”, su Rai 3: una “esplorazione di territori fisici e interiori alla ricerca di un nuovo umanesimo”. A che ora, in palinsesto?! Alle 23:15!

Insomma, c’è sicuramente “tanta roba” nell’offerta della Rai, ma ci sembra che il profilo identitario della televisione pubblica italiana resti ancora molto incerto e confuso. Così come la spinta all’innovazione, dei contenuti e dei linguaggi, ci appare ancora molto limitata, assai modesta.

Prevale conservatività e moderazione e timidezza, allorquando la Rai, soprattutto in questa fase storica di immersione collettiva nella realtà digitale e dei “social network”, in questa fase di rottura dei paradigmi tradizionali (tecnologici, sociali, economici… e quindi culturali), dovrebbe mostrare vocazione robusta (dotata di risorse adeguate) all’innovazione, alla sperimentazione, alla trasgressione, alla rottura degli schemi linguistici e culturali tradizionali. Tutto questo, non c’è, o, se c’è (un poco) non emerge.

Basti pensare quel che Rai non è riuscita a fare, e continua a non fare, rispetto alla alfabetizzazione digitale del Paese (intesa in termini socio-culturali, prima che tecnologici), rispetto alla quale potrebbe avere un ruolo trainante.

Rai, nuovi palinsesti, ma vecchia tivù.

La presentazione dei palinsesti Rai stagione 2020/2021 (scarica il PDF)