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Rai, certificazione ‘ISO’ delle notizie per arginare le fake news

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La Segretaria Generale del “Prix Italia” Karina Laterza ha dichiarato: “Il tema delle fake news preoccupa tutti, e per questo si sta cercando di elaborare un sistema Iso di certificazione per le notizie”.

Ieri mattina, in una surreale coreografia ambientata nei Mercati di Traiano (i Fori Imperiali ed il Vittoriano alle spalle), abbiamo assistito ad una rappresentazione che, nei suoi dettagli, rivela la complessiva deriva della Rai e del sistema culturale italico: il Presidente della Rai Marcello Foa, la Sindaca di Roma Virginia Raggi, il Vice Presidente della Regione Lazio Daniele Leodori hanno presentato la 71ª edizione del “Prix Italia”, concorso internazionale per programmi televisivi, radio, web (cui aderiscono 65 “broadcaster” pubblici e privati, con 37 Paesi partecipanti per 273 programmi in gara). Si è trattato della cerimonia di apertura dello storico Prix, quest’anno dall’altisonante titolo “Celebrating Cultural Diversity in a Global Media World”, in programma fino a sabato prossimo 28 settembre.

Hanno partecipato all’iniziativa un centinaio di persone, tra congressisti, giornalisti, osservatori, ospiti: a parte un gruppo di studenti, si notava l’età media dei partecipanti, tendente ai sessanta anni, e forse già questo aspetto “sociologico” è emblematico, ovvero sintomatico di qualcosa che “non va” nell’economia simbolica del sistema culturale italiano. Quasi una conferma di quella gerontocrazia che continua a dominare molti settori del nostro Paese (in argomento, si attende un’edizione aggiornata del saggio di Sandro Catani, pubblicato nel 2014 per i tipi di Garzanti, “Gerontocrazia. Il sistema economico che paralizza l’Italia”).

Quel che ci ha provocato una sensazione di grande sconforto è stata l’assoluta ritualità degli interventi: fatte salve alcune considerazioni di una qualche vivacità intellettuale da parte della Direttrice del “Prix”, Karina Laterza, abbiamo ascoltato interventi senza un guizzo di intelligenza critica.

Marcello Foa, Presidente Rai: “La sfida è far diventare la Rai un punto di riferimento solido e apprezzato da tutti e che la gente dica “è vero perché lo ha detto la Rai”. Quando questo diventerà un luogo comune avremo raggiunto la nostra missione”. Questa missione non verrà raggiunta – temiamo – durante il mandato presidenziale di Foa, che appare peraltro assai barcollante. Virginia Raggi, Sindaca di Roma: “Siamo onorati di poter essere di nuovo il palcoscenico di questa manifestazione. Roma partecipa anche con altri luoghi, Palazzo delle esposizioni e casa del cinema. Noi ci mettiamo l’abito più bello per una manifestazione così prestigiosa e internazionale. A Roma vengono girati moltissimi telefilm e soprattutto in passato è stata, con Cinecittà, la città del cinema. Noi aspiriamo a far tornare Roma un crocevia importante di questo tipo di produzione. Riteniamo che abbia tutti i requisiti e siamo qui apposta…”. Verrebbe da commentare: l’abito sarà anche bello, ma “sotto il vestito”… niente, o quasi (belle intenzioni e retorica spinta a parte).

Il Vice Presidente della Regione Lazio Daniele Leodori, ha approfittato dell’occasione soltanto per decantare – in un intervento eccessivamente lungo – le bellezze promosse dalla Giunta Zingaretti, a partire dal rigenerato Castello di Santa Severa.

La Segretaria Generale del “Prix Italia” Tarsilla Guarino più nota come Karina Laterza (giornalista Rai, dapprima al Tg1 e poi a Rai News, in carica alla guida del Prix dal 2017, nominata dalla allora Presidente Rai Monica Maggioni) ha sostenuto: “il tema delle fake news preoccupa tutti, e per questo si sta cercando di elaborare un sistema Iso di certificazione per le notizie”. Ci sembra una idea interessante ma più provocatoria che fattibile, quella della costruzione di un “marchio di qualità” internazionale per l’informazione, sul modello di quello creato dall’Organizzazione internazionale per la normazione (“Iso” = “International Organization for Standardization”). “La specifica di questo sistema – ha spiegato Laterza – è che un gruppo molto ampio di lavoro con giornali, broadcaster ed agenzie di Paesi europei ed extraeuropei, come Agcom e Ebu, sta cercando di capire se è possibile, come avviene per i sistemi Iso per laboratori e industrie, identificare dei protocolli, che vanno rispettati perché si possa essere certificati anti-fake. Questo gruppo sta lavorando sulla identificazione di possibili protocolli per certificare il processo di produzione delle news e non le singole news. Poi ci sono una serie di progetti di moltissimi programmi tv che lavorano sulla identificazione delle fake news soprattutto dal punto di vista audiovisivo. Occorre tenere presente che esistono sistemi computerizzati in grado di rilevare i movimenti facciali per far dire a una persona cose che non ha mai detto. Questo è agghiacciante, ma va tenuto presente…”. Le preoccupazioni diKarina Laterza sono condivisibili, ma ci sembra che l’Italia possa vantare il record (negativo) di Paese europeo, come ritardo di intervento normativo-regolamentativo in materia. Si ricordi che la “giurisdizione” dell’Agcom non le consente di intervenire in modo efficace nel caos del web, ovvero laddove è la fucina primaria delle notizie-bufala: eppure, non ci sembra che la questione abbia suscitato la minima attenzione di chi ha redatto il novello “programma di governo” (non più etichettato come “del cambiamento”).

Sintomatico della debolezza di questa kermesse, che pure in passato ha registrato edizioni prestigiose (in termini di analisi culturale mediologica e di sviluppo relazionale internazionale), un piccolo dettaglio: sono stati presentati il promo della kermesse ed alcuni video realizzati da studenti universitari (nell’economia del progetto “YLab” ovvero “Young Laboratory”). C’erano, ai piedi dei relatori, due monitor televisivi, ma a beneficio soltanto del Presidente Rai e suoi compagni di intervento: nessun monitor a favore della platea (gli astanti giravano la testa sperando che un qualche schermo fosse presente in qualche luogo). Insomma, una Rai… senza schermi televisivi! Un errore organizzativo-logistico degno di una emittente televisiva locale, non di un “public broadcaster” di respiro nazionale come la Rai!

Passando dal “micro” al “macro”, la nostra ultima sortita sulle colonne di “Key4biz” risale a fine luglio (vedi “Abolizione canone Rai, rebus nel M5S. Paxia accelera, Airola frena (e si dimette), Di Maio rimanda a settembre”, su “Key4biz” del 29 luglio 2019).

Da allora, è accaduto molto (a livello “macro”), ed una qualche annotazione sintetica riepilogativa appare necessaria: un Governo si è dimesso, un nuovo Esecutivo si è insediato, sebbene guidato dallo stesso Presidente del Consiglio, anche se di Rai si parla ancora assai poco ed in modo confuso assai, e la nuova maggioranza non sembra avere esattamente le idee chiare in materia. Al Collegio Romano, si è re-insediato quel Dario Franceschini, che pure si era fatto vanto di essere stato il più longevo titolare del dicastero dei beni culturali nella storia d’Italia, e, non appena insediatosi, ha ribadito la sua tesi rispetto al Mibac “più importante ministero economico d’Italia” (scatenando immediatamente le critiche di Tomaso Montanari, che ri-denuncia il rischio di deriva economicista e degenerazione mercatista dei beni culturali italici)… Nel mentre, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto con la nuova controversa organizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo alias Mibact (tornato in ambito “Mibac”, dopo il trasferimento all’Agricoltura che era stato voluto dalla componente leghista del governo giallo-verde), come da accelerazione “last minute” dell’ex Ministro Alberto Bonisoli… Nel mentre, il Governo ha deciso di prorogare di due mesi la vita del decaduto Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, senza che nessuno sembra però voglia promuovere – come dovrebbe avvenire in un Paese democratico e moderno – una pubblica “call” per le candidature… Trasparenza auspicata: tanta. Trasparenza praticata: zero.

E che dire della perdurante confusione sullo scabroso tema della lotta al gioco d’azzardo e dell’annunciato “stop totale” alla pubblicità ed agli sponsor?! Nei 29 punti programmatici del Governo “Conte II”, la questione – che pure sembrava essere un “cavallo di battaglia” ideologico del M5S – è completamente assente, nonostante le recenti aspre polemiche tra il “Capo politico” del Movimento Luigi Di Maio ed il Presidente Agcom “pro tempore” Angelo Marcello Cardani… Misteriose “rimozioni”, mentre AssoLogico (l’associazione dei concessionari: Lega Operatori di Gioco su Canale Online) acquista pagine intere sui quotidiani, per perorare la propria causa (contrastare il divieto di pubblicità e sponsorizzazioni), con una “lettera aperta” indirizzata il 16 settembre al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte. Si ricordi che il gioco legale (sic) con vincita in danaro ha mosso nel 2018 oltre 18 miliardi di euro…

Queste iniziative rappresentano in modo efficace quella che potremmo definire “deriva inerziale” del governo della “res publica” culturale (e quindi mediale) del nostro Paese: nessuno sforzo di analisi critica di scenario, nessuna azione coraggiosa di innovazione… ma soltanto “gestione dell’esistente”, in una “ordinaria amministrazione” che evidenzia la vischiosità conservatrice dell’intero sistema, nella miglior tradizione gattopardesca à la Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

In effetti, anche nelle dichiarazioni programmatiche del nuovo Governo (così come nel documento che il Movimento 5 Stelle ha sottoposto al vaglio della piattaforma Rousseau), l’attenzione verso la cultura, i media, il servizio pubblico radiotelevisivo, il digitale, l’intelligence culturale… non ha assunto alcuna priorità, e nessuna novella sensibilità è emersa. Basti estrapolare dal testo dell’accordo giallo-rosso: “L’Italia ha bisogno di una seria legge sul conflitto d’interessi, con una contestuale riforma del sistema radiotelevisivo improntata alla tutela dell’indipendenza e del pluralismo”.

A Cologno Monzese, molti hanno vissuto un brivido di paura; a Viale Mazzini, molti hanno sorriso. Entrambe le dichiarazioni di intenti risultano oggettivamente evanescenti.

Il Capo Politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio nei 10 punti elencati per dar vita al nuovo Governo, il 22 agosto precisava “una riforma della Rai ispirata al modello Bbc”, ma il riferimento alla madre di tutti i “psb” del mondo è saltato nel documento dell’alleanza governativa: chissà perché…

Nel deserto delle idee, riemerge sempre l’evocazione del “modello BBC”, ma ci sembra ben poca cosa rispetto alla complessità delle prospettive in atto. Qualcuno si è preso la briga di analizzare in modo serio, a livello comparativo internazionale, cosa significa ormai essere oggi “public service media”? Non ci risulta. La Rai – nonostante la recente istituzione di un Ufficio Studi affidato all’ex Direttore del Tg1 Andrea Montanari – tace. Ed il “Prix Italia”, in argomento, non tocca foglia.

Ed è preoccupante che, rispetto a questioni di politica culturale-mediale ovvero di “politica tout-court”, il dibattito non registri stimoli significativi: una settimana fa è stata pubblicata a piena pagina una sorta di “lettera aperta” di Davide Casaleggio (nella veste di Presidente della piattaforma Rosseau), intitolata “I 7 paradossi della democrazia. A sbagliare non è mai chi vota”, indirizzata al “Corriere della Sera” (vedi l’edizione di martedì 17 settembre). Nell’articolo – piaccia o non piaccia – c’è una visione (anzi una “vision”) della democrazia digitale che verrà (forse): in altri tempi, un simile intervento avrebbe provocato un dibattito vivace, polifonico, dialettico… Ed invece, ricaduta mediale tendente a zero, dibattito politico assente: unica eccezione significativa l’articolo del costituzionalista Francesco Pallante, “Quando Rosseau smentisce Casaleggio”, su “il Manifesto” del 18 settembre. Eppure si tratta del futuro della democrazia.

Non sulla mirabolante “democrazia digitale”, ma sul complessivo “deficit cognitivo” attuale, merita essere segnalato l’intervento di Domenico De Masi su “il Fatto” di sabato scorso 21 settembre, in un articolo intitolato “Gli intellettuali ora aiutino Pd e M5S”. Spiega il sociologo partenopeo (simpatizzante del M5S ed a suo tempo in forse per un incarico ministeriale): “il vero punto debole del secondo Governo Conte consiste nella confusa fragilità del suo impianto ideologico. La minaccia maggiore sta proprio in quell’assenza di ideologia di cui essi si vantano”. Sottoscriviamo l’allarme: esiste nel Movimento 5 Stelle un evidente deficit tecnico-cognitivo (e l’assenza di una minima struttura di partito), a fronte di un’esperienza storica di governo del Pd (e della sua arrugginita ma sopravvivente macchina-partito). Il rischio di una vampirizzazione cultural-politica del Movimento da parte del Partito Democratico è assai concreto, così come il rischio di un azzeramento – o comunque annacquamento – della sua vocazione (teorica, ma ribadita) di innovazione radicale, con buona pace del “sogno” di Beppe Grillo.

Rispetto alla Rai, si assiste all’ennesimo teatrino della politica, che dichiara retoricamente l’esigenza di una televisione pubblica indipendente dai partiti, e poi si diletta a promuovere o criticare nomine dell’alta dirigenza di Viale Mazzini che sono il risultato soprattutto delle alchimie partitiche: il caso di Teresa De Santis, nominata Direttrice di Rai 1 con il precedente esecutivo, ed il taglio della sua testa richiesto da esponenti della nuova maggioranza è veramente sintomatico. Il tanto decantato “piano industriale” (formalmente non è ancora stato benedetto né dalla Commissione di Vigilanza né dal Ministero dello Sviluppo Economico – Mise) sembra essere congelato, e con esso tutte le decisioni strategiche correlate.

E nulla si sa più della “esplosiva” ma ancora misteriosa proposta di legge annunciata dalla deputata Laura Paxia e dal senatore Gianluigi Paragone per l’abolizione del canone Rai (in argomento, vedi “Key4biz” del 26 luglio 2019, “La proposta di legge del M5S per l’abolizione del canone Rai resta misteriosa, ma… viene rimandata a settembre”): è sufficiente segnalare che alla data odierna (23 settembre), il testo dell’Atto Camera n. 1983 (intitolato “Abolizione del canone di abbonamento alle radioaudizioni e alla televisione e della relativa tassa di concessione governativa, nonché modifica dell’articolo 38 del testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, in materia di limiti di affollamento pubblicitario nelle trasmissioni radiotelevisive”) non è ancora disponibile dopo oltre due mesi dall’annuncio. La scheda sul sito web della Camera recita “presentata il 15 luglio”, e precisa a chiare lettere “testo non ancora disponibile”. Anche questo “dettaglio” è indicativo e rivelatore del perdurante vuoto di idee.