Appalti

PMI & Appalti pubblici, serve una politica industriale per ICT e PA (1a Parte)

di Massimo di Virgilio, Founder Admiral |

Abbiamo bisogno di segnali più decisi. Siamo preoccupati che se non si riuscirà a delineare una “politica industriale” degna di questo nome, con particolare riguardo al rapporto tra ICT e PA, difficilmente si potrà pensare di rimettere effettivamente in moto la macchina.

Dopo il convegno organizzato a Roma il 13 giugno 2014, il CDTI torna a fare il punto sulla partecipazione delle PMI agli appalti pubblici, ripartendo dalla richiesta, di:

  • Una migliore tutela di tutti gli attori in campo,
  • Un forte sostegno alla crescita dell’occupazione,
  • Un rapido recepimento legislativo della AS 251[1],
  • Un deciso incentivo all’innovazione,

rivolta alle Pubbliche Amministrazioni, alle Società a maggioranza pubblica e alla Politica; in aggiunta, si esprimeva anche l’auspicio di modificare l’impostazione delle gare pubbliche e a invito, riservandone il 25% alle PMI, come avviene dal 1954 negli U.S.A., o in via subordinata, almeno di arrivare congiuntamente a definire “una nuova politica della domanda, con la quale le PA si potessero impegnare a:

  • Pubblicare le pre-informazioni con un anticipo congruo per impedire discriminazioni (√)[2],
  • Segmentare gli appalti (√)[3],
  • Permettere la consegna dei documenti dopo l’aggiudicazione (√)[4], richieste già dichiarate di assoluta utilità da Consip (vds documento citato), mentre le restanti istanze di:
  • Concentrare gli appalti per il 90% sui progetti e/o servizi a valore aggiunto,
  • Contenere entro il 10% le gare di body rental, bloccando le tariffe/g/persona ad un minimo di 250€,
  • Equilibrare il numero delle stazioni appaltanti:
    • riducendole al massimo per le gare “standard”,
    • non condizionandone invece il numero per le gare di “progetto”,
  • Fissare l’oscillazione massima delle basi d’asta,
  • Innalzare il rango del sub-appaltatore, con partecipazione diretta ai progetti e con pagamento al prezzo di aggiudicazione,
  • Oggettivare la metrica di aggiudicazione,
  • Ridurre drasticamente i tempi di pagamento,
  • Sorteggiare i valutatori interni o esterni,  non sono ancora riuscite a trovare altrettanta accoglienza.

In questa nuova occasione è doveroso ri-fare il punto per capire quali e quante siano state le evoluzioni dello scenario registratesi nell’anno appena passato, partendo da un’analisi della situazione italiana. La globalizzazione, la nascita dell’Euro e la rivoluzione ICT sono fatti epocali che non solo hanno già segnato profondamente la fine del secolo scorso e l’avvio del nuovo, ma stanno continuando ad imprimere alla storia dello sviluppo economico e sociale del mondo una svolta addirittura superiore a quella prodotta dalle rivoluzioni industriali che dal ‘700 in poi hanno caratterizzato lo sviluppo mondiale. Purtroppo per noi, l’Italia sta avvertendo dei contraccolpi profondamente negativi che rischiano di farla decadere dal ruolo che si era guadagnata con tantissima intelligenza anche a costo di grandi sacrifici. Da venti anni la produttività del lavoro nel nostro Paese ha smesso di crescere. Siamo specializzati in settori relativamente “low-tech”, che sono più esposti alla concorrenza cinese, mentre nel mondo “hi-tech” abbiamo accettato di svolgere lavori “low-profile”; in media, le imprese italiane sono molto più piccole di quelle dei principali concorrenti e sappiamo che le aziende più piccole tendono a essere meno produttive[5]. Inoltre, siamo in ritardo rispetto ad altre nazioni sviluppate, su molte questioni istituzionali come la protezione regolamentare del lavoro, abbiamo un alto livello di corruzione, una situazione legislativa sotto la media UE, e un capitale umano e un livello di alfabetizzazione degli adulti che l’OCSE posiziona sotto la media.

Abbiamo una spesa pubblica enorme, l’innovazione tecnologica è in ritardo, le infrastrutture sono inadeguate, i servizi offerti al cittadino e alle imprese sono al di sotto delle necessità, molte aziende sono in crisi, il numero dei fallimenti è molto elevato, le sofferenze bancarie hanno raggiunto livelli record, l’occupazione, in generale, è in crisi, quella giovanile è in una condizione addirittura peggiore; si spendono cifre molto rilevanti per la formazione dei laureati, ma poi li si “condanna” a fare lavori mortificanti a condizioni misere. Per rilanciare la riflessione su questi temi torniamo ad organizzare il secondo convegno del CDTI, ponendo nuovamente l’accento sul rapporto tra gli Appalti e le PMI, perché l’enorme quantità di soldi investiti nell’acquisto di beni e servizi, rappresenta uno dei più grandi volani di cui possa disporre un Paese per creare un grande motore di cambiamento. Al momento invece questa ingente mole di denaro continua a svolgere una limitata funzione di traino per le PMI, poiché le tiene ai margini, pur rappresentando esse la realtà industriale del Paese a maggior densità per forza imprenditoriale e lavorativa. Un gravissimo problema, acuito dalla progressiva concentrazione di qualche miliardo di euro in pochissime gare, che provoca uno spostamento massiccio di risorse, peggiorando ulteriormente il trend rispetto al passato.  Tutto ciò in una palese contraddizione sia con le raccomandazioni UE sia con le dichiarazioni contenute nel già citato documento Consip[6]. Il perseguimento del massimo ribasso, in ossequio alle vigenti disposizioni governative fissate dalla “spending review” (sic!?), unito al restringimento del numero delle gare, anche per aumentare i benefici organizzativi ed operativi che la riduzione del numero degli appalti produce, ovviamente solo per la stazione appaltante, genera al contrario un combinato disposto micidiale per le PMI, marginalizzate inesorabilmente in posizioni di retroguardia, condannate al sub appalto permanente. Una contrapposizione nefasta, tra richieste appassionate per la sopravvivenza e il rilancio, da parte delle PMI, e legittima adozione di procedure inappuntabili e rispettose delle norme, da parte della PA, che produce effetti devastanti per le imprese e controproducenti per l’economia del Paese.

Un circuito vizioso che conduce a riflettere sul ruolo che giocano le norme (come CDTI abbiamo elaborato un “Position Paper”, con l’intento di fornire un riepilogo della situazione in essere e offrire a tutti gli stakeholder una raccolta strutturata ed articolata su questo tema complesso). La domanda che ci facciamo è se siamo intellettualmente convinti che esse da sole possano realmente bastare. D’altronde, se la soluzione risiedesse soltanto nella modifica del quadro normativo, dovremmo dichiararci già assolutamente soddisfatti per l’esistenza di tante norme, anche molto chiare e specifiche.  Già ad esempio gli artt. 2 e 41 del Codice degli Appalti Pubblici (D.LGS. n° 163/2006), sarebbero sufficienti a decretare “…il rispetto dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione……”. In aggiunta lo S.B.A. europeo, cui l’UE è arrivata nel 2008 (sic!), e sopra tutto la  Direttiva n°24 del 26 febbraio 2014 che parla di “…appalti a supporto di strategie di crescita inclusiva, facilitando la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici…”, aggiungendo che “…il ricorso al dialogo competitivo e con negoziazione…,”, “….la suddivisione in lotti, rendendola anche obbligatoria…”, “…requisiti economici di partecipazione mai superiori al doppio dell’appalto…”, “…l’auspicio che le PMI abbiano successo, perché portano occupazione…”, sembrerebbero soddisfare praticamente tutte le migliori aspettative. Ma purtroppo, con grande franchezza, sulla base delle esperienze sin qui maturate, non credo si possa essere “sereni” ed ottimisti. Ciò non ostante, pur continuandomi a professare un fautore dello S.B.A. statunitense, ma anche ragionevolmente convinto che, non esistendo né potendo mai esistere soluzioni normative magicamente risolutive di tutti i diversi problemi, sia opportuno esprimere l’auspicio che si possa realizzare una combinazione delle componente normativa con l’azione complementare della PA, per segnare realmente ed efficacemente una svolta. La nostra “speranza” è che le Amministrazioni nel frattempo vogliano responsabilmente farsi carico di cambiare le cose, impegnandosi sin dall’impostazione degli appalti a integrare l’approccio attuale, introducendo miglioramenti, sperabilmente con il recepimento delle istanze da noi già presentate l’anno scorso e ribadite precedentemente.

Undici richieste precise. Le PMI non aspirano a concessioni tattiche né a cortesie; non si permettono neanche lontanamente di pensare che si debba togliere al mercato la sua funzione di selezione concorrenziale, ma esprimono con fermezza la richiesta di un sistema regolatorio moderno con norme chiare, semplici e non discriminatorie.

In un Paese, in cui il PIL non cresce, con la disoccupazione che è a livelli che hanno superato soglie pericolose per un’economia avanzata, con le aziende che versano nello stato che abbiamo detto, c’è una grande attesa che l’azione politica operi rapidamente e incisivamente per sostenere il rilancio. Non possiamo chiederlo a nessun’altro. A questo proposito cito il Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta che, in un intervento del marzo scorso, ha detto: “il sistema finanziario non può risolvere problemi di natura reale, quali la bassa competitività e gli insufficienti livelli di produttività. Ma ha un ruolo indiretto nel facilitare i processi di trasformazione, di crescita del sistema produttivo“, sottolineando che il vigore della ripresa dipenderà in ampia misura dal “buon funzionamento del mercato del credito e dalla disponibilità di un adeguato volume di finanziamenti all’economia reale“, pur aggiungendo che le piccole e medie imprese restano ancora penalizzate nell’accesso al credito. Di “un appello all’azione” ha parlato Mario Draghi il 25 maggio u.s., ribadendo il suo richiamo ai Governi dell’eurozona a fare le riforme strutturali per favorire la ripresa che si sta avviando sotto l’impulso della politica monetaria.

Per queste ragioni la richiesta alla “Politica” si fa sempre più forte. Abbiamo bisogno di segnali più decisi, in una parola siamo preoccupati che se non si riuscirà a delineare una “politica industriale” degna di questo nome, con particolare riguardo al rapporto tra ICT e PA, difficilmente si potrà pensare di rimettere effettivamente in moto la macchina. Servono misure coordinate, a vari livelli, su diversi piani, organiche e strutturate, avendo tutte le iniziative estemporanee, susseguitesi fino ad ora, mostrato oggettivi limiti.

(1a Parte)

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[1] Autorità Garante della Concorrenza e Mercato (7 febbraio 2003)

[2] D.Casalino (Quaderni Consip 2015)

[3] Ibidem (D.Casalino)

[4] Ibidem (D.Casalino)

[5] Van Ark e Monnikhof, 1996

[6] Ibidem (D.Casalino)