Non solo software, il futuro è ‘machine to machine’

di di Paolo Colli Franzone (NetSquare - Osservatorio Netics) |

Italia


Paolo Colli Franzone

#PAdigitale è una rubrica settimanale a cura di Paolo Colli Franzone promossa da Key4biz e NetSquare – Osservatorio Netics.  Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

 

La settimana appena conclusa potrà essere archiviata come una delle peggiori degli ultimi tre anni, sotto il profilo dell’avanzamento rispetto agli obiettivi dell’Agenda Digitale.

Al netto degli eventuali (auspicatissimi) emendamenti in sede di conversione in legge, abbiamo visto nascere la Web Tax, gli incentivi fiscali per i libri cartacei con la “dimenticanza” della revisione dell’aliquota IVA per gli ebook, qualche “bombetta” piazzata qua e là tanto per rendere le internettiane cose un pochino più complicate.

In un suo Tweet, il Presidente di Confindustria Digitale Stefano Parisi si è chiesto “ma è questa, l’Agenda Digitale?”, seguito a ruota da una valanga di post su tutti i social network e da commenti più che caustici di blogger e giornalisti a prescindere da logiche di schieramento politico.

Sino all’ottimo post di Luca De Biase, che arriva a proporre una sensatissima “valutazione di impatto digitale” da rendere obbligatoria per ogni provvedimento legislativo adottato.

A ben vedere, nulla di quanto legiferato in questi ultimi giorni ha la sia pur minima sembianza di coerenza rispetto a un Paese che continua a ripetersi ipersensibile ai temi dello sviluppo digitale.

 

Detto ciò, e augurandoci che in sede di conversione prevalga il buon senso e venga dato il massimo appoggio alla “lobby digitale parlamentare” (quella pattuglia di deputati e senatori, ancora forse troppo sparuta, che già in altre occasioni ha dimostrato di potersi far sentire), proviamo a cercare qualche buona notizia, tanto per rifarci la bocca.

 

La buona notizia, in effetti, c’è.

Apparentemente, potrebbe sembrare “off topic” rispetto al “tradizionale” mondo dell’ICT. Ma, a mio parere, non è così.

La notizia è l’abbassamento dei premi dell’assicurazione RC Auto in caso di installazione della “black box“. Montando la “scatola nera” sull’auto, rendendo quindi “trasparente” il proprio stile di guida e la propria attitudine al rispetto delle regole, ci si assicura uno sconto sul premio.

Un classico esempio di modello “win win”: ci guadagna l’assicurato, ci guadagna la compagnia di assicurazione.

 

Cosa c’entra tutto questo con l’ICT?

C’entra moltissimo, e fa parte delle cose che sarebbe utile venissero assimilate molto in fretta dalla nostra industria “informatica”: è il “machine to machine“, bellezza. E’ quel “qualcosa” che sempre di più prenderà il sopravvento sul caro vecchio mondo dell’ICT basato sul quadrumvirato “reti, hardware, software, servizi”.

Questo non significa, ovviamente, che manderemo in soffitta produttori e venditori di hardware, sviluppatori di software, “noleggiatori” di sistemisti e programmatori, eccetera. Anzi, tutt’altro: ce ne sarà sempre più bisogno.

Quella che, molto probabilmente, cambierà, è la catena del valore. Il “chi vende cosa a chi”.

 

L’imminente avvio della programmazione comunitaria 2014-2020 (a partire da “Horizon 2020”) genererà notevoli opportunità di crescita per il mercato “M2M“. Portandosi dietro altrettante opportunità per la filiera “tradizionale” dell’ICT.

Quello che probabilmente non è riuscito a innescarsi coi bandi “Smart Cities” 2013 del MIUR, potrebbe diventare possibile: la famosa “Internet delle cose”.

 

Anche il Cloud contribuirà a dare una spallata al paradigma tradizionale dell’ICT: quantità sempre maggiori di hardware saranno vendute a quantità sempre minori di clienti finali; termini come “licenza d’uso” diventeranno sempre più desueti.

Passare dal “vendere software” a “erogare servizi” non è banale.

Altrettanto non banale è il passare da progetti software di milioni di righe di codice a decine di migliaia di Apps con pochissimo codice per ciascuna di esse.

Eccetera.

 

La “black box” sull’auto non è che l’inizio: il mercato M2M ha potenzialità immense.

Partiamo da “quasi zero”: 50 milioni di Euro (stime Netics), meno di due milioni di connected devices, per quello che riguarda il M2M “industriale” (escludendo, quindi, moduli SIM “domestici” quali ad esempio quelli montati in impianti antifurto e/o altre soluzioni di domotica).

 

Partiamo, però, avendo “in casa” il secondo vendor mondiale di tecnologie trasmissive M2M (Tèlit) e una buona dozzina di aziende ben posizionate anche a livello internazionale su segmenti del mercato “Smart Cities” ad alto potenziale di crescita (smart illumination, infomobility, smart health).

 

Una buona fetta di IT vendor “tradizionali” (a partire da IBM, Microsoft e SAP, ma anche le italiane AlmavivA ed Engineering e praticamente tutti gli operatori di Mobile TLC) “hanno in pancia” offerte di soluzioni “smart” basate sul M2M.

La domanda, a partire dalle Utilities e dai Comuni, sembra finalmente capire il valore dell’offerta anche se è ancora in cerca di soluzioni capaci di autofinanziarsi o comunque di essere comprata “as a service”.

 

Gli analisti più ottimisti ipotizzando un raddoppio del mercato ogni 3 anni, con una progressione geometrica destinata a durare qualche decennio sino ad arrivare ai mitici 50 miliardi di connected devices (a livello mondiale) promessici da Gartner entro il 2050.

 

Sarebbe sufficiente pensare ai server, al software, ai servizi che dovranno “stare dietro” a questi 50 miliardi di devices per avere chiaro in mente un futuro non così lontano e non così teorico da far passare in secondo piano le magagne digitali correlate al presente.

Come sempre, il problema è: quanto deve ancora durare, questo presente?

Speriamo poco, lo speriamo davvero.

Buon lavoro, lobby digitale!