Il caso

Mediaset Vs Yahoo: la Direttiva sull’eCommerce va rinnovata. Necessario superare la distinzione tra Isp e broadcaster

di Paolo Marzano, Partner dello Studio Legance Avvocati Associati |

La sentenza della Corte d’appello di Milano nel caso RTI (Mediaset) contro Yahoo! riapre il dibattito su ruolo dei provider online di contenuti. E’ necessario cambiare la Direttiva eCommerce perché si è trasformata nella più grande eccezione ai diritti d’autore.

Negli anni passati, la giurisprudenza italiana era riuscita ad operare un’importante distinzione: quella tra providers attivi e providers passivi, evitando cosi che proliferassero certi business model che permettessero ai providers di avvantaggiarsi (arricchirsi) delle violazioni dei diritti d’autore commesse dagli utenti online.

La Direttiva eCommerce prevede un sistema di eccezioni alla responsabilità, di natura condizionata (a certe condizioni); essenzialmente, i providers non sono responsabili, a condizione che siano indifferenti, estranei alle informazioni caricate dai loro utenti; emblematica è in questo senso l’ultima parte del Considerando (42): l’attività del provider è esentata se è “di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla le informazione trasmesse o memorizzate”.

Attività dunque automatiche e passive, volte semplicemente a facilitare la circolazione delle informazioni sulla rete Internet, ponendo i providers al riparo dagli effetti di un prevedibile (la Direttiva è del lontano anno 2000) tra utenti e titolari di diritti di proprietà intellettuale: sempre che le loro attività fossero estranee, indifferenti, diremmo, a quanto veniva messo in circolazione dagli utenti.

Dinanzi a certe figure di servizi online, tuttavia, l’estraneità, l’indifferenza, è apparsa ed ancora oggi spesso appare francamente inesistente.

Molte delle piattaforme ogni disponibili online hanno impostato i loro business models non certo sull’indifferenza, sull’estraneità, alle informazioni; al contrario, i dati sono oggi accortamente organizzati perché possano essere rapidamente rintracciati, perché ad essi si affianchino altre informazioni di interesse dell’utente, perché si possa commentare e condividere.

Il provider è insomma lì pronto a ‘imboccare’, si direbbe, l’utente, con ogni genere di assistenza e supporto.

Ben lontani dunque da quella estraneità, passività, indifferenza, presa inizialmente in considerazione dalla Direttiva eCommerce, i providers di oggi, anziché ‘fuori dal gioco’, sono nella comunicazione a distanza di musica e video i principali concorrenti delle industrie dei contenuti. Eppure, i ricavi su cui vivono (e molto bene) queste piattaforme sono gli stessi sui cui vivono (sempre meno bene) i broadcaster, in special modo le televisioni commerciali: i ricavi dalla vendita pubblicitaria.

Stesso prodotto (musica o filmati in genere), stessa attività (comunicazione a distanza di essi), stessa forma di ricavi (vendita di spazi pubblicitari)…… ma solo in un caso si è responsabili per ciò che si fa.

Incredibile davvero.

Il risultato? Un’assurdità.

La Direttiva eCommerce si è trasformata nella più grande eccezione ai diritti d’autore; altro che quelle, misere, previste dall’Articolo 5 della Direttiva 29/2001; altro che three step test (nessun conflitto con il normale sfruttamento dell’opera).

La speranza è che la Cassazione faccia giustizia a Roma e che a Bruxelles il legislatore comunitario constati che la Direttiva eCommerce dev’essere profondamente rinnovata.