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La tutela della scrittura a mano nell’era digitale

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Tutto facile nel web, tutto veloce, ma poco sedimentato nella pausa di riflessività che permette all’informazione di essere siglata nel passaggio dalle dita alla carta.

Uno degli effetti “rimbalzo” dello tsunami virtuale, come mi piace rappresentare l’avanzamento digitale sulle nostre vite, è stato quello di trasformare la nostra capacità di scrittura e di conseguenza di lettura generando un nuovo assioma della comunicazione in cui domina l’interpretazione soggettiva come pilastro di autenticità di un conoscere che svicola e sgomita nell’infinità delle diverse rappresentazioni/aspettative della realtà. 

Dalla carta al touch

Due facce della stessa medaglia, quella della scrittura e della lettura che camminavano all’unisono, e che nel momento in cui abbiamo lasciato sui nostri comodini carta e penna, dilettandoci e perdendoci nell’immediatezza del touch, stanno prendendo tangenziali distinte che di ritorno plasmano non soltanto la nostra capacità di scrivere ma anche quella di leggere e comunicare. Tutto facile nel web, tutto veloce, ma poco sedimentato nella pausa di riflessività che permette all’informazione di essere siglata nel passaggio dalle dita alla carta.

Dalle dita alla tastiera ci si immette non solo in un fare immediato, che toglie un po’ del magico dalle mani, ma il pensiero si struttura su processi intuitivi che vengono indirizzati da link algoritmici che catturano e touch su touch allontano la strada della riflessione per intraprendere un percorso di rimbalzi nozionistici strutturati su percorsi iconici con la prevalenza della forma sul contenuto.

Con carta e penna in mano fermavo i pensieri, siglavo il fluire del mio processo di crescita sui diari, comunicavo ad un amico le novità dell’anno, prendevo appunti ed evidenziavo le cose più importanti da ricordare, forse in modo caotico e disordinato, ma sempre e comunque con il predominio di un Me agente e conduttore grafico della traccia/calligrafia di un’autenticità personale, a volte timida e goffa, altra prepotente e ribelle: la delega mnemonica era lasciata solo alla traccia sul foglio, che rimaneva indelebile se scrupolosamente conservata nei cassetti chiusi a chiave, o nei quaderni delle elementari che mamme coscienziose conservavano in cantina.

L’andamento lento

Più mi leggevano e più scrivevo, più leggevo, e più arricchivo il mio vocabolario/bagaglio personale e formativo di parole, di senso, di continuità, di coerenza e nel rispetto dello stesso, lo scorrere della penna sul foglio di carta e gli occhi sulle pagine del mio libro preferito seguivano quell’andamento lento che da sostanza e caratterizza e da il tempo della riflessione e dell’apprendimento.

Pensieri, che lentamente nello scorrere delle parole prendono forma nella pagina, che prende vita e si anima, grazie alla stretta di mano del pollice che abbraccia e sorregge la penna, e dà tono ad un fluire narrativo/comunicativo in cui si scrive, si cancella, si segnala, si mettono punti, si riflette, si prendono appunti e, nel coinvolgimento del corpo, la memoria rimane, il mio riconoscimento personale si consolida e la mia capacità di interpretazione della realtà si arricchisce di passepartout di comprensione e lettura da utilizzare nei momenti difficili della mia vita.

Nel momento in cui le nostre dita hanno iniziato ad essere fautrici della magia digitale trasmettendo il pensiero dal foglio bianco allo screen digitale alcuni di noi, attenti supervisori della tutela delle tradizioni salutari, hanno iniziato a percepire la trasformazione inesorabile della scrittura e a coglierne gli effetti sul pensiero e sulla comunicazione, mentre altre hanno prese dall’euforia dell’equazione intelligenza = digitale hanno dato poca importanza all’abbandono di vecchi, ormai obsoleti,  ma ben consolidati, strumenti di scrittura.

La velocità del digitale

Si sa, e le neuroscienze lo hanno ampiamente dimostrato, i circuiti cerebrali non conoscono scorciatoie e queste possono essere prese soltanto quando si è solcata bene, con ripetizione e pazienza connettiva la strada maestra.

Con la delega alla tastiera, che ha catturato la nostra attenzione come veicolo primario di immediatezza, ordine, essenzialità, il fluire narrativo si è camaleonticamente conformato all’immediatezza comunicativa, perdendo di vista pensieri e parole, che necessitano del tempo e di una elaborazione riflessiva, capacità di scelta, di attenzione e di memorizzazione.

I dati di ricerca (Muller, Oppenheimer, 2014) hanno dimostrato che il tempo lento della scrittura con carta e penna, in cui non si delega ma si prende in mano il pensiero dando sequenzialità agli appunti nell’ascolto diretto, risulti essere vincente nella capacità di memorizzazione rispetto alla delega passiva alla tastiera.

Tuttavia, al di là delle innumerevoli prove scientifiche rintracciabili in monografie specifiche (vi segnalo l’esaustivo libro di Susan Greenfield: Cambiamento Mentale. Come le tecnologie digitali stanno lasciando un’impronta sui nostri cervelli, Fioriti, 2016), mi preme evidenziare come l’abbandono della motricità fine del gesto della scrittura, sia esso stesso veicolo dello stravolgimento della comunicazione in cui si perdono parole e si acquisiscono immagini e un tempo deteriorato nella sua qualità affettiva.

Un nuovo metodo di scrittura

Nell’onda net abbiamo acquisito un nuovo metodo di scrittura, veloce ed immediato, che per stare nel passo della velocità digitale, forse, nel momento in cui viene fatto in modo automatico e poco riflessivo ha portato le scatole digitali, ad aprirsi su altri scenari. 

Nel web le regole che valgono nella vita reale sono artefatte e vengono modificate e se il punto di partenza è lo stesso, le ramificazioni e le strade/scorciatoie digitali si aprono su paesaggi nuovi mai osservati fino ad ora, che possono essere toccati con mano soltanto nel boomerang googliano sugli effetti del tour mediatico rispetto al punto di partenza.

Se il punto di partenza è lo stesso lo scrivere, per prendere appunti, per riflettere e/o per comunicare, l’arrivo digitale nella sua veste di ritorno dei risultati nella vita reale, sta mettendo in evidenza come la qualità affettiva delle nostre vite e il tempo ad essa dedicato si stia deteriorando in una ricerca interpretativa di immagini e condivisioni in cui adolescenti e non solo, stanno contribuendo ad orientare un processo di scrittura e conseguentemente di lettura nel suo corollario interpretativo, in cui predomina la forma nell’inseguimento di una ricerca, propria ed altrui, di un significato che appare inevitabilmente e di contorno sfumato.

Insegnare ai nostri figli il pensiero di carta e penna

Relazioni che non si interrompono nella continuità di un controllo ossessivo di immagini del profilo, in cui l’essere stato insieme dà il diritto di controllare nonché di delegare all’immagine una comunicazione intima tra me e te, ma anche, tenendo conto del processo di memorizzazione e apprendimento, delegare il pc a conservare in memoria o a ricercare per me nessi associativi che sono necessari e fondamentali nel processo di apprendimento.

Se manipolo, tocco con mano, assaporo, muovo, lancio, i miei circuiti cerebrali mapperanno una volta per tutte quell’oggetto, e quella lettera, nel momento in cui mi impegno a copiarla, trascriverla, in stampatello, in corsivo, sul mio quaderno, si fa essa stessa veicolo e strumento di forza rispetto alla mia capacità di fare che è alla base del mio avere valore e riconoscimento nel mondo, familiare in primis, sociale e soltanto dopo con gradualità, educazione, formazione e supervisione digitale.

Forse allora dovremmo tornare a scrivere e insegnare ai nostri figli a fermare il pensiero con carta e penna, a leggerci e a leggere prima di passare alla tastiera e alle parole/immagini di web, ricordandoci dell’espressione di Plinio il Vecchio: nulla dies sine linea!