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La tecnologia cyborg sarà il futuro delle persone? La storia del 62enne che cerca di sopravvivere alla SLA

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Peter Scott-Morgan è pronto a diventare il primo cyborg al mondo: "Voglio diventare l'organismo cibernetico umano più avanzato mai creato in 13,8 miliardi di anni". Ecco come sta sopravvivendo da 3 anni alla malattia del motoneurone.

Peter ScottMorgan, 62 anni, è pronto a diventare il primo cyborg al mondo. Lo fa per provare a sopravvivere alla malattia del motoneurone (MND), diagnosticatagli nel 2017, la stessa condizione che ha afflitto Stephen Hawking. Peter sta lavorando con i principali pionieri dell’intelligenza artificiale (IA) ed esperti di robotica per prolungare la sua vita. “Voglio diventare l’organismo cibernetico umano più avanzato mai creato in 13,8 miliardi di anni”, ha detto.

La sua missione sarà resa ora ancora più possibile grazie ad un avanzatissimo esoscheletro che lo sostiene in piedi ed attraverso le tecnologie più innovative.

Intel spera di fare in modo che il sistema vocale possa consentirgli di esprimersi in lingue diverse senza che sia necessario insegnargliele.

Quando la paralisi ha cominciato a progredire verso la gola, Scott-Morgan ha accettato di sottoporsi a una laringectomia per evitare che la saliva lo soffocasse scendendo nei polmoni. Nelle settimane precedenti l’intervento che gli avrebbe fatto perdere la voce, ha registrato 20.000 parole collaborando con Lama Nachman, direttrice dell’Anticipatory Computing di Intel Labs, la donna che ha contribuito a ricostruire il sistema vocale dell’astrofisico Stephen Hawking, affetto dalla stessa malattia. Invece di digitare singole lettere con lo sguardo, come faceva Hawking, il sistema di intelligenza artificiale fornisce risposte complete imparate da Scott-Morgan e diffuse con la sua stessa voce registrata. Forse non saranno sempre quelle giuste, ma sarà possibile correggerle anche per insegnare al sistema a ragionare come l’essere umano al quale deve dare voce. Per poter continuare a manifestare emozioni nonostante la paralisi del volto, l’uomo-robot ha fatto anche realizzare un Avatar di sé stesso, un viso digitale che può ridere, esprimere sorpresa e sottolineare ogni frase con una espressione adeguata.

Quello alla trachea non è stato l’unico intervento subito da Scott-Morgan. Il suo stomaco è stato sigillato per poter ricevere il cibo direttamente da un tubo, una pompa lo idrata e gli occhi hanno subito un intervento con il laser per favorire il monitoraggio oculare.

Peter è così diventato il soggetto di un documentario di Channel 4, “Peter: The Human Cyborg”, in onda la prossima settimana.

”Immaginalo come un esperimento scientifico”, dice durante il programma.

“Questo è il territorio dei cyborg, e io intendo essere una cavia umana per vedere fino a che punto possiamo trasformare la fantascienza in realtà, dichiara.

Peter ScottMorgan è stato il primo studente a laurearsi in robotica all’Imperial College di Londra. Ha scritto libri cercando di spiegare come la vita umana può essere allungata e migliorata dalla tecnologia, perché «esseri umani e robot camminano sullo stesso ramo evolutivo». Ha insegnato a Boston e Rotterdam, senza immaginare che gli studi ai quali dedicava tutto il suo tempo lo stavano preparando all’incontro con il proprio destino.

La tecnologia cyborg sarà il futuro?

Non è solo un’invenzione della letteratura e della cinematografia fantascientifica: la tecnologia cyborg potrebbe presto rappresentare il futuro della razza umana, in grado di fondersi con l’elettronica per monitorare la salute e unire in modo sicuro dispositivi tecnologici e tessuti umani. Questo è quanto emerge da uno studio, presentato durante l’incontro virtuale dell’American Chemical Society Fall 2020, condotto dagli esperti dell’Università del Delaware, che hanno trovato un modo per integrare i dispositivi all’interno dell’organismo in modo più efficiente dal punto di vista energetico. “Il collegamento dell’elettronica al tessuto umano”, ha spiegato David Martin, dell’Università del Delaware, “rappresenta una sfida enorme, perché i materiali utilizzati nella tecnologia, come l’oro o il silicio, possono inficiare il flusso di dati a causa delle cicatrici che provocano”.

Il team ha sviluppato nuovi rivestimenti per dispositivi “uomo-macchina” che contrastano tali difficoltà. 

“Stavamo cercando di interfacciare microelettrodi rigidi e inorganici con il cervello – afferma l’esperto – ma l’organo cerebrale è composto di materiale organico e vivo, per cui abbiamo dovuto cercare alternative. In un polimero coniugato noto come poli (3,4-etilendiossitiofene), o PEDOT, abbiamo trovato un esempio chimicamente stabile”.

Lo scienziato spiega che questi polimeri sono elettricamente e ionicamente attivi, o carichi, per cui possono migliorare le prestazioni degli impianti medici. 

“Il sistema – dichiara Martin – migliora la qualità del segnale e la durata della batteria. I polimeri PEDOT sono stati utilizzati spesso anche in tecnologie in grado di immagazzinare energia, come batterie. Aggiungendo un acido carbossilico abbiamo ottenuto la versatilità adatta a creare polimeri con una varietà di funzioni, basta modificare la composizione per un risultato differente e specifico”

Gli autori suggeriscono che gli esseri umani potrebbero non essere gli unici a ricevere impianti informatici: un lavoro non correlato ha portato ad esempio alla sperimentazione di locuste in grado di fiutare gli esplosivi.

Tra le applicazioni pratiche dello studio, il polimero sviluppato dal team dell’Università di Delaware potrebbe rivelarsi utile per stimolare la crescita dei vasi sanguigni dopo una lesione, o per rilevare le prime fasi di crescita di un tumore, mentre altri polimeri con neurotrasmettitori potrebbero rappresentare una metodologia innovativa per il trattamento di disturbi del cervello o del sistema nervoso

“Abbiamo già realizzato un polimero con dopamina – conclude l’esperto – destinato a terapie per la dipendenza. Questi materiali ibridi biologico-sintetici potrebbero un giorno essere utili per fondere l’intelligenza artificiale con il cervello umano. La capacità di polimerizzare in modo controllato un organismo vivente sarebbe affascinante”