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La spesa nel mobile gaming? Il 20% in più rispetto a PC e console

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Ecco i dati dal nuovo studio di App Annie che, in occasione dell’E3, il più importante appuntamento al mondo per la presentazione di novità videoludiche, ha fatto il punto aggiornato al 2018 del mobile gaming, ormai tendenza inarrestabile.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Siamo, in ultima analisi, più chiacchieroni che giocatori: è questo il primo dato che si ricava dal nuovo studio di App Annie che, in occasione dell’E3, il più importante appuntamento al mondo per la presentazione di novità videoludiche, ha fatto il punto aggiornato al 2018 del mobile gaming, ormai tendenza inarrestabile.

La percentuale di tempo trascorso sulle app di gioco è rimasta più o meno costante negli ultimi anni, intorno al 10%, mentre occupa il 50% del totale l’attenzione che siamo disposti a dare agli applicativi di comunicazione e social – messaggistica, Facebook, Twitter, WhatsApp, videochiamate, Instagram: insomma, tutto ciò per cui se dimentichiamo lo smartphone ci mettiamo le mani nei capelli, o quasi. Il gioco, invece, sembra essere nato soprattutto come riempitivo nei momenti di pausa, più che come attività a sé stante.

Un’analisi vera fino a un certo punto, considerando che negli ultimi due anni il tempo che trascorriamo sulle app è aumentato del 50%, e quindi anche le ore passate su Clash of Clans o Fortnite sono una volta e mezza quelle del 2016. Una cifra di tutto rispetto, anche se il punto forte dell’engagement per il mobile gaming, a dirla tutta, non è mai stato la quantità del tempo, ma la qualità. In altre parole, il fatturato generato da questo settore: che manco a dirlo è di gran lunga il più redditizio.

Da dove arrivano i soldi del gaming

Il business model delle applicazioni di comunicazione è completamente diverso da quello del gaming. Abbiamo la percezione che Facebook o Instagram siano del tutto gratuiti; in realtà, in cambio noi diamo i nostri dati (preziosissimi), magari senza pensarci il dovuto; e quando va bene dobbiamo sorbirci banner e ad in quantità. La pubblicità è un tratto comune ai videogiochi, ma qui c’è effettivamente la possibilità di allestire due diversi tier. per gli utenti: ormai quasi ogni gioco per smartphone o per tablet ha una modalità gratuita e una a pagamento, da sbloccare con un pagamento una tantum oppure, più spesso, da “foraggiare” con acquisti in-app che possono facilmente prendere la mano.

I meccanismi sono noti: o un numero limitato di vite (pagando se ne possono avere di più), o tempo da aspettare per alcune delle azioni del gioco (pagando si può annullare il timer), o effetti cosmetici, come nuovi costumi o colori dei nostri alter ego digitali, a disposizione soltanto per chi apre il portafoglio. Ed ecco che arriviamo al secondo dato evidenziato dallo studio di App Annie, quello che colpisce davvero: a fronte di un 10% del tempo e di un 33% delle installazioni (abbiamo molti giochi e ne sperimentiamo di diversi quasi ogni settimana), la spesa è il 74% di quella complessiva. Proprio così: tre quarti del denaro che si guadagna con le app arriva proprio dai giochi (e il 95% di questa cifra deriva dagli acquisti in-app).

Un trend che non accenna a fermarsi, tenendo conto che l’engagement aumenta ogni anno di circa il 10%: la crescita è da imputarsi, secondo gli analisti, all’allargamento della base dei giocatori (in arrivo soprattutto dai mercati meno maturi) e dal maggior tempo che, come si diceva più sopra, viene dedicato ai device elettronici in genere e ai giochi in particolare.

I videogiochi, una cosa da grandi

Sembra paradossale, ma è proprio ai giochi – simbolo universale di attività normalmente riservate ai più giovani – che si può imputare la capacità di abbattere le barriere generazionali. Lo studio infatti mostra come Internet mobile (di cui su SosTariffe.it si possono confrontare ogni giorno le tariffe più convenienti) sia riuscito ad allargare, e non di poco, la base di chi si dedica al gaming, e se in alcuni mercati come la Cina sono soprattutto i giovanissimi a rappresentare la fetta più interessata dall’intrattenimento videoludico (il 50% del tempo totale speso è imputabile a utenti tra i 16 e i 24 anni), in Corea del Sud l’87% delle ore giocate arriva da chi ha più di 25 anni, con percentuali non dissimili a quelle di Canada, India, Stati Uniti, Germania, Francia, Regno Unito e Brasile.

Per quanto riguarda i due principali contender lato software, Google Play per Android e App Store per iOS, la corona è condivisa: il negozio di programmi di Mountain View è di gran lunga il vincitore per quanto riguarda i download totali (nel 2018, il 72%), ma a fare più soldi è Apple, che mantiene ormai da cinque anni, quasi immutata, una percentuale del 64% in termini di quota della spesa mondiale.

Insomma, gli iPhone sono di meno, e il mercato è una volta e mezzo più grande sugli smartphone Android, ma i loro utenti comprano molto di più. Il che non stupisce più di tanto, considerando che il mondo Android comprende sia i più costosi tra i Samsung sia cellulari di fascia bassa da meno di cento euro, mentre gli iPhone si collocano tutti nel segmento più costoso del mercato, e sono quindi acquistati da utenti con maggiore capacità (o volontà) di spesa.

PC e console sempre più reliquie del passato

Considerando tutti gli indicatori, la crescita della spesa dei consumatori nei giochi cresce ogni anno di circa il 15%, ma questo dato è soltanto una media, considerando che le diverse categorie possono avere tassi di crescita radicalmente differenti. Ad esempio, i giochi di corse nel 2018 hanno fatto segnare un vero e proprio boom, con una crescita della spesa quasi otto volte superiore alla media del settore, seguiti dai giochi di avventura, i giochi musicali e i giochi da tavolo.

Ma per poter apprezzare davvero i ritmi di crescita del mobile gaming bisogna fare un confronto con la tradizione, ovvero PC e console. E qui non c’è possibilità d’equivoco: ormai la spesa per gli appassionati di videogiochi su smartphone è superiore del 20% a quella dei giochi per personal computer e PlayStation, Xbox et similia (senza contare la pirateria ma tenendo sempre conto che il costo medio di un gioco singolo per queste piattaforme si aggira intorno ai 60-70 euro, molto più basso del prezzo delle app). Anche qui, la parola chiave è capillarità: dove i controller o le elaborate cuffie per gamer non potranno mai arrivare, cioè tra gli adulti che hanno poco tempo o ancora qualche imbarazzo per ritagliarsi lunghe sessioni davanti allo schermo, la semplicità di un tap e di uno swipe fa miracoli.

Fonti:

Appannie.com