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La Rai pubblica il ‘Bilancio Sociale’ 2018 senza avvisare nessuno

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La Rai pubblica il bilancio sociale 2018 ma è assente il concetto di “coesione sociale”, non c'è un’innovazione del “contratto di servizio” 2018-2022. Ed i migranti non esistono.

La Rai ha pubblicato sul proprio sito web il “bilancio sociale”, edizione 2018, ma così in sordina che nessuno lo è venuto a sapere.

Gli occhi sempre vigili del curatore di questa eccentrica rubrica “ilprincipenudo” hanno già dedicato molta attenzione alle vicende travagliate del “bilancio sociale” della Radiotelevisione Italiana spa, perché si tratta di quello che dovrebbe essere lo strumento primario di rapporto dialettico del servizio pubblico con tutti i suoi “stakeholder”, cittadini pagatori del canone in primis. Così invece, purtroppo, non è.

E la sordina con cui Viale Mazzini ha toccato i tasti del bilancio sociale ne è una riprova: il documento in questione è effettivamente online da mercoledì 18 giugno, ma non è stato degnato nemmeno di uno straccio di comunicato stampa.

Eppure, l’Ufficio Stampa Rai, in occasione della sua approvazione formale da parte del Consiglio di Amministrazione del 9 maggio, aveva dedicato discreta attenzione – enfatica attenzione retorica – al documento.

Abbiamo già segnalato (vedi “Key4biz” del 10 maggio 2019, “Tempi di bilanci in Rai, approvato quello di esercizio e quello sociale. Quello che non torna”), come, giustappunto nel comunicato stampa relativo all’approvazione dei bilanci, ben 17 righe sono state dedicate al “bilancio sociale”, a fronte delle 37 del “bilancio di esercizio”.

A quanto è dato sapere, il bilancio sociale, nella versione 9 maggio 2019, è stato approvato all’unanimità dal Cda, ma alcuni consiglieri hanno richiesto degli approfondimenti, a partire dal consigliere eletto dai dipendenti, Riccardo Laganà (come ha segnalato lui stesso sulla propria pagina Facebook). Non pervenuti.

Abbiamo effettuato una lettura “comparata” della versione approvata il 9 maggio 2019 dal Cda e la versione pubblicata da Rai il 18 giugno: prima domanda: come mai un mese di tempo e più per rendere pubblico il documento? Immaginiamo che i vertici di Viale Mazzini abbiano deciso di attendere il perfezionamento formale dell’iter: l’Assemblea degli Azionisti ha approvato il bilancio di esercizio 2018 il 17 giugno 2019, bilancio che si è chiuso con una perdita di 33,9 milioni di euro. Da segnalare che anche questa notizia non è stata segnalata da chicchessia. Si ha ragione di ritenere che il bilancio sia stato approvato all’unanimità dai due unici soci: il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha il 99,6 delle quote, e la Siae – Società Italiana Autori Editori, che detiene lo 0,4 del capitale (per la precisione si tratta rispettivamente del 99,5583 % per il Mef e del 0,4417 % per la Siae).

Abbiamo analizzato il bilancio (la “bozza” del 9 maggio e quello benedetto dalla società di revisione il 29 maggio), e, fatto salvo qualche ritocchino estetico, sono perfettamente identici: una curiosità, nella bozza, tra le trasmissioni Rai che rispondono al tema/sfida “sconfiggere la fame”, non era inserito il programma di Rai 3 “Indovina chi viene a cena”, che invece appare nella versione definitiva. Questa è l’unica modifica apportata, nel passaggio da bozza a documento con imprimatur definitivo, ed era una delle richieste avanzate esplicitamente dal consigliere Riccardo Laganà nel suo post su Facebook del 19 maggio.

Come abbiamo segnalato, la Rai ha sentito l’esigenza di avvalersi di Boston Consulting Group – Bcg per la redazione del “piano industriale” 2019-2021, ha affidato a PricewaterhouseCoopers spa la revisione del “bilancio di esercizio”, ed a Deloitte e Touche spa il “bilancio sociale”.

Più esattamente, l’anno scorso (bilancio sociale 2017) Rai si era avvalsa, per la redazione del “bilancio sociale”, di Deloitte e Touche spa, e l’incarico è stato confermato per l’edizione 2018, mentre la revisione del bilancio sociale era stata affidata a PricewaterhouseCoopers spa (ovvero la stessa società che cura la revisione del bilancio di esercizio). Quest’anno (bilancio 2018) la “revisione” del bilancio sociale è stata invece affidata a Kpmg.

L’anno scorso la pubblicazione su web del “Bilancio Sociale” Rai (anno 2017) è avvenuta l’11 giugno 2018, nella fase di passaggio di consegne tra il Direttore Generale Mario Orfeo ed il successore Dg / Ad Fabrizio Salini, insediatosi il 27 luglio 2018, insieme al Presidente “in pectore” Marcello Foa (che ha assunto formalmente la carica di Presidente soltanto il 26 settembre 2018, dopo il controverso parere della Commissione Bicamerale di Vigilanza). Quel bilancio era firmato da Mario Orfeo e dalla allora Presidente Monica Maggioni, ma entrambi hanno evidentemente ritenuto di mantenerlo “low profile”. E tale è senza dubbio stato: ancora più carbonaro, se va a “Key4biz” il merito di aver segnalato la notizia, in anteprima ed in esclusiva (vedi “Key4biz” del 16 novembre 2018, “Bilancio Sociale Rai 2017, di male in peggio”).

Direzione Finanza

Per il bilancio sociale 2018, il progetto è stato curato dalla struttura Responsabilità Sociale – Direzione Comunicazione, Relazioni Esterne, Istituzionali e Internazionali della Rai, mentre nel 2019 il progetto è stato curato dalla struttura Bilancio Sociale della Direzione Finanza e Pianificazione (Chief Financial Officer). Perché questa decisione?

Abbiamo già segnalato come questa allocazione di competenze è sintomatica di un errore strategico e relazionale: il “bilancio sociale” di un soggetto come Rai non può e non deve essere affidato ai manager della “finanza”, allorquando esso è (deve essere) uno strumento di comunicazione, intesa nel senso proattivo e dialettico di rapporto con i telespettatori, con la società civile, con il terzo settore, con i portatori di interessi.

Va segnalato “en passant” che la cura dell’edizione 2018 del “Bilancio Sociale” Rai è stata affidata a Piero Gaffuri, dirigente apicale (della Direzione Finanza e Pianificazione, appunto) di piena fiducia dell’Amministratore Delegato, il quale – chiusa la vicenda del “bilancio sociale” – gli ha affidato, il 22 maggio scorso, l’ufficio forse più delicato (e strategico – verrebbe da aggiungere – di Viale Mazzini), ovvero proprio il… Transformation Office, che dovrebbe determinare il traghettamento del “piano industriale 2020-2022” dalla teoria alla pratica. Anzi, a quanto è dato sapere (e ciò sembra confermato anche dal profilo di Gaffuri su Linkedin), i due incarichi – direzione della struttura Bilancio Sociale e Sostenibilità e direzione del Transformation Office – convivono in parallelo.

Va segnalato che invece il “numero zero” del “Bilancio Sociale” Rai 2014 aveva vissuto una gestazione “altrove”: si legge nella “Nota metodologica” di quella edizione 2014 (pag. 11): “Il processo di redazione del Bilancio è stato affidato ad un gruppo di lavoro all’interno della Direzione Comunicazione e Relazioni Esterne, nella nuova Struttura Sostenibilità e Segretariato Sociale, che ha coinvolto le diverse Direzioni Aziendali nella raccolta delle informazioni e nella identificazione degli aspetti rilevanti da inserire all’interno del documento”.

Secondo logica e per rispetto del “Contratto di Servizio” vigente, il “Bilancio Sociale” Rai doveva restare in quell’ambito (Comunicazione / Relazioni Esterne / Responsabilità Sociale): si è assistito invece ad una sorta di incomprensibile deriva economicista.

Nessuna traccia di vita, invece, dal fronte del neo-istituito Ufficio Studi della Rai, a distanza di un mese e mezzo dalla nomina – anch’essa avvenuta il 22 maggio scorso – a Direttore di Andrea Montanari (già Direttore di Rai1 dal giugno 2017 al novembre 2018). Osservatori malevoli sostengono che si tratti ancora di una Direzione “fantasma”, non dotata di organico e risorse: una scatola vuota, insomma. Ci auguriamo che si tratti di una tipica malignità di chi osserva Viale Mazzini con eccesso di severità e finanche qualche pregiudizio. E vogliamo sperare che, per la prossima edizione del “Bilancio Sociale”, all’Ufficio Studi venga assegnato un ruolo centrale e determinante.

Una lettura critica del “bilancio sociale” Rai, integrando quanto siamo andati scrivendo, in passato, su queste solitarie (ma ben lette) colonne, conferma l’impressione fin qui maturata: si tratta di un documento autocelebrativo, con picchi di narcisismo.

Riteniamo che il “Bilancio Sociale” debba invece dar conto ai cittadini (“accountability”), non agli investitori, come nel caso del “documento di informazioni non finanziarie” (“dnf”): la confusione tra i due strumenti è un errore strategico ed al contempo culturale, e non rispetta la previsione del “Contratto di Servizio”.

La metodologia

I deficit del documento approvato dal Cda sono numerosi, metodologici e sostanziali, e basti rimarcare questi due:

– deficit metodologici: assenza di apparato che descriva le metodiche di misurazione della “coesione sociale”;

– deficit sostanziali: nessun cenno alle minoranze etniche, religiose, sessuali… non una parola sugli immigrati, niente sul pluralismo!

Un concetto delicato ed essenziale qual è la “coesione sociale” dovrebbe essere il risultato di un processo di definizione semantico-socioculturale che andrebbe costruito con l’accademia ed avvalendosi di esperti: il che non è avvenuto. E d’altronde, fino a ieri (cioè fino al 22 maggio 2019), la Rai non aveva al proprio interno nemmeno un Ufficio Studi: quindi…

Quesiti in ordine sparso:

– perché nel “Bilancio Sociale” Rai 2014 le “campagne raccolta fondi” sono elencate nella loro interezza, mentre nelle edizioni 2017 e 2018 questo elenco completo non c’è più, e vengono soltanto riportate una selezione delle stesse (viene precisato “a titolo esemplificativo”), nell’edizione 2017 e questo scompare del tutto nell’edizione 2018?! Si tratta peraltro di una tematica delicata (le campagne “di sensibilizzazione”, di “Rai per il Sociale” e campagne “istituzionali”…). E non è certo nemmeno spiegato con quale criterio viene scelta, di anno in anno, l’associazione “Alfa” piuttosto che la “Beta”. Anche una tabella comparativa diacronica sarebbe invece certamente utile;

– perché sono stati effettuati alcuni “salti” nelle metodiche?! Nel passaggio dalla “edizione 2017” alla “edizione 2018”, a causa di una difforme impostazione metodologica – non descritta adeguatamente –, diviene impossibile una analisi diacronica: basti osservare che i dati di cui a pag. 97 dell’edizione 2017, ovvero “Il posizionamento della Rai come Funzione Pubblica”, non sono reperibili nell’edizione 2018, vanificando le chance di una comparazione…

– è proprio necessario effettuare una esternalizzazione di queste attività di elaborazione del “Bilancio Sociale” e, poi, alle solite grandi “sorelle” oligopoliste revisione aziendale? Non dispone proprio Rai, nel novero dei propri dipendenti, di professionalità in grado di realizzare internamente questi “bilanci sociali”?! In effetti, se ha un senso – ed è imposto peraltro per legge – che il “bilancio di esercizio” sia sottoposto a revisione da parte di società iscritte nello specifico albo, questa previsione non esiste per quanto riguarda un “Bilancio Sociale”.

In sostanza, è stata messa in atto una operazione confusa: si confonde il senso del “Bilancio Sociale” – così come inteso dal “Contratto di Servizio” 2019-2021, con l’obbligo di legge introdotto dal Decreto Legislativo n. 254 del 2016, che ha imposto la diffusione delle “informazioni di carattere non finanziario” da parte di alcune imprese e gruppi di grandi dimensioni (nel caso in ispecie della Rai, nel suo status di “ente di interesse pubblico rilevante”, alias “eipr”) gli obiettivi sono soltanto parzialmente sovrapponibili, perché il primo (“Contratto di Servizio)” ha una funzione strategica di tipo sociale, il secondo (la legge sulla “dichiarazione non finanziaria”, ed il regolamento è emanato – non a caso – dalla Consob, non… dall’Agcom) ha una funzione di trasparenza soprattutto in termini economico-finanziari. Si ricordi peraltro che questo obbligo alla presentazione (alla Consob) della “dichiarazione non finanziaria” deriva semplicemente dall’essere Rai una società che ha emesso “titoli mobiliari in un mercato regolamentato” (italiano o della Ue), come è il caso della controllata Rai Way, che è una società quotata. Si consideri che Rai Way produce a sua volta una sua “dichiarazione non finanziaria”.

La Rai non è un’impresa commerciale qualsiasi

La Rai non è una “impresa commerciale” qualsiasi, e deve prevalere un approccio di “responsabilità sociale” sui pur importanti obblighi di rendicontazione economica.

Si ricordi che il concetto di “Bilancio Sociale” previsto dal “Contratto di Servizio” così recita (art. 25, comma 1, lettera l.): “Bilancio Sociale: la Rai è tenuta a presentare al Ministero, alla Commissione e all’Autorità, entro quattro mesi dalla conclusione dell’esercizio precedente, un Bilancio Sociale, che dia anche conto delle attività svolte in ambito socio-culturale, con particolare riguardo al rispetto del pluralismo informativo e politico, alla tutela dei minori e dei diritti delle minoranze, alla rappresentazione dell’immagine femminile e alla promozione della cultura nazionale. Il Bilancio Sociale dà altresì conto dei risultati di indagini demoscopiche sulla qualità dell’offerta proposta così come percepita dall’utenza e della corporate reputation della Rai”.

E questo è il riferimento alla “coesione sociale” prevista dal “Contratto di Servizio” (art. 25, comma 1, lett. o): “Coesione sociale: la Rai è tenuta a dotarsi di un sistema di analisi e monitoraggio della programmazione che sia in grado di misurare l’efficacia dell’offerta complessiva in relazione agli obiettivi di coesione sociale di cui all’art. 2, comma 3, lettera a), anche attraverso l’elaborazione di specifici dati di ascolto”.

La lettera a.) del succitato art. 2 comma 3, recita: “raggiungere i diversi pubblici attraverso una varietà della programmazione complessiva, con particolare attenzione alle offerte che favoriscano la coesione sociale”.

In sostanza, il “Bilancio Sociale” così come inteso dal “Contratto di Servizio” non è un “Bilancio Sociale” classico – nelle sue tre componenti (ambito economico, ambito ambientale, ambito sociale) – bensì deve porsi come strumento informativo-cognitivo atipico, da focalizzare specificamente sul ruolo sociale della Rai. Un “bilancio sociale” classico, così come la sua evoluzione “bilancio di sostenibilità” – nella sua accezione tradizionale – così come il “report integrato” e il “dnf” (l’acronimo che sta per “dichiarazione non finanziaria”), è ancora uno strumento informativo-cognitivo destinato soprattutto agli investitori, mentre il “Bilancio Sociale” della Rai deve rispondere alla cittadinanza tutta (ovvero in primis ai cittadini che pagano le tasse e quindi alimentano il canone): l’approccio strutturale del documento dovrebbe essere diverso “ab origine”, culturalmente (oltre che tecnicamente).

E (ancora) “incredibile ma vero”: nell’edizione 2017 del “Bilancio Sociale”, la parola “coesione” risulta citata 1 volta soltanto; è citata infatti “en passant” nell’articolo 1, comma 1, della Convenzione decennale – firmata il 27 luglio 2017 –, che identifica “il Servizio Pubblico radiofonico, televisivo e multimediale” come “l’attività di produzione e diffusione su tutte le piattaforme distributive di contenuti audiovisivi e multimediali diretti, anche attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie, a garantire un’informazione completa e imparziale, nonché a favorire l’istruzione, la crescita civile, la facoltà di giudizio e di critica, il progresso e la coesione sociale, promuovere la lingua italiana, la cultura, la creatività e l’educazione ambientale, salvaguardare l’identità nazionale e assicurare prestazioni di utilità sociale”…

Nell’edizione 2018 del “Bilancio Sociale” Rai, alla “coesione sociale” viene dedicata una qualche attenzione ma soltanto in 3 paginette su 154 dell’intero documento (pagg. 26-28): e ciò basti…

Non viene fornita una minima descrizione metodologica su come la “coesione sociale” sia stata interpretata e quindi misurata: viene fatto riferimento ad un generico “monitoraggio quantitativo” nell’economia del controverso (e costoso) “Qualitel”, e si legge di “un’analisi dei contenuti, condotta da ricercatori specializzati su un campione di programmi Rai. Tale monitoraggio, attraverso l’analisi di variabili determinanti come quelle del rispetto della dignità della persona e della capacità di promuovere inclusione/ diversità sociale, è in grado di misurare la capacità di Rai di contribuire alla creazione di coesione sociale”.

Premesso che forse la Rai deve “stimolare” e non “creare” “coesione sociale”, non viene specificato come quali siano le “variabili determinanti”, né come siano state misurate e pesate. Chi sono “i ricercatori specializzati” (anonimi) che hanno effettuato questa “analisi di contenuto”, e come è stata effettuata? Totale assenza di apparato di descrizione metodologica.

Tutto ciò premesso, la Rai si auto-assegna un bel 7,5 di voto (punteggio su scala 0-10), anche se le metodiche utilizzate sono del tutto misteriose.

E – in assenza di descrizione metodologica – non si può che prendere per buona la auto-valutazione secondo la quale il 99,7 % (!) delle 1.100 trasmissioni analizzate “sono rispettose della dignità della persona”. Di grazia, almeno l’elenco, a corpo grafico piccolo, dovrebbe essere proposto in allegato: quali sono e con quale criterio sono state scelte queste trasmissioni?!

Mancano all’appello: pluralismo, migranti e minoranze

In tutto il documento, è completamente assente la parola “pluralismo” (ovvero è citata in 3 passaggi, ma “en passant”, facendo riferimento alla previsione di legge ed al Codice Etico aziendale ed al “pluralismo” auspicato giustappunto dal “Contratto di Servizio” in relazione alle imprese di produzione indipendente…), e già questo deficit evidenzia che non si ha a che fare con un vero “Bilancio Sociale”, ma con un documento che propone un set discretamente confuso di dati, soprattutto ancorati agli obblighi delle “informazioni non finanziarie”, che sono funzionali ad una impresa commerciale qualsiasi, e non a Rai!

Conclusivamente, ma come si può avere il coraggio di presentare un “Bilancio Sociale” Rai nel quale ci si limita a dichiarare: “In tale quadro Rai da oltre 20 anni realizza – attraverso l’Osservatorio di Pavia – un puntuale monitoraggio della presenza dei soggetti politici nella propria offerta, al fine non solo di trasparenza nei confronti delle istituzioni. ma, anche e soprattutto, per disporre di uno strumento interno di verifica” (pag. 31), senza però fornire nessun dato uno in materia, né attualmente né diacronicamente?

Il pluralismo va peraltro inteso in varie declinazioni: informativo, politico, sociale, religioso, eccetera.

E basti pensare che la parola “islam” è citata en passant in 1 pagina soltanto del “Bilancio Sociale” 2018 (pag. 28, ove si legge “Godono poi di una certa visibilità l’Islam (9,6 %) – dove si concentra quasi un terzo delle identità religiose femminili – e l’Ebraismo (5,2 %)”);

“Last but not least”: nessuna attenzione al “terzo settore”, che è citato 2 (due!) volte soltanto nelle 154 pagine del documento, ma esclusivamente in riferimento a due trasmissioni che gli dedicano una qualche attenzione (i “Programmi dell’accesso” di Rai Parlamento, pag. 59; nelle rubriche di approfondimento di Rai Gr Parlamento, pag. 63): incredibile, ma vero!

Altresì dicasi per “volontariato”: citato “en passant” in 2 punti soltanto del documento, ed ovviamente senza fare alcun riferimento alle centinaia di migliaia di associazioni attive in materia in Italia!

La parola “minoranza” (“minoranze”), poi, è citata 8 volte, ma esclusivamente in relazione alle… “minoranze linguistiche” (pagg. 75-77).

Tutte le altre minoranze (religiose, etniche, di genere…) sono completamente ignorate.

Immigrazione

La parola “immigrazione” non è mai citata (sarà contento il Vice Presidente del Consiglio Matteo Salvini?) La parola “migranti” 1 volta (una soltanto), ma a proposito delle pubbliche “raccolte fondi” (pag. 73).

Rai ignora forse che ormai quasi 1 residente su 10 in Italia è un immigrato o migrante?

Questi quasi 6 milioni di persone non sono “stakeholder” del “servizio radiotelevisivo pubblico” nazionale?

E nemmeno un cenno invece agli altri almeno 5 milioni di cittadini: i nostri connazionali residenti all’estero: esistono? Non sono anche loro “stakeholder” della Rai, per quanto lontanamente? In verità, un grazioso cenno c’è, nel “Bilancio sociale” Rai, con una citazione una: la rubrica “Italiani nel mondo” nell’economia di “Uno Mattina”, ovvero la rubrica “nella quale vengono raccontate storie di italiani che per varie ragioni hanno lasciato il proprio Paese per andare all’estero in cerca di fortuna, mantenendo però un forte legame con l’Italia”. Per Viale Mazzini, ciò basta, evidentemente.

Completamente assente anche la parola “vertenze”, eppure è nota – anche alla Corte dei Conti – la quantità di cause lavoristiche, che, di anno in anno (747 giudizi pendenti a fine 2016…), appesantisce l’attività dell’Ufficio legale Rai (senza dimenticare la criticità del continuo affidamento a studi legali esterni)…

E, ancora, in argomento, nelle 154 pagine del documento non sono mai citati i “collaboratori” della Rai: un esercito fantasmico di migliaia di persone, in questo “Bilancio Sociale”. Ma non sono anche loro, in qualche modo, anche un po’, “stakeholder” della Rai??? In verità, sono citati (1 volta una), a pag. 10 del “Bilancio Sociale” (e nella figura a pag. 11), proprio nella “categoria di stakeholder”, ma poi dimenticati per sempre. Stakeholder virtuali e fantasmici.

Potremmo continuare per pagine e pagine, ma abbiamo coscienza che si tratterebbe di esercizio inutile: ci farebbe piacere che queste osservazioni critiche venissero lette – e magari fatte proprie – dalla Commissione Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi, e magari anche dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni che verrà (il mandato dell’attuale consiliatura scade l’11 luglio 2019). Temiamo però che la Vigilanza continuerà ad appassionarsi invece di nomine di dirigenti “in quota”, e l’Agcom sarà ancora una volta spartita – a sua volta – secondo le logiche vecchie e nuove della lottizzazione partitocratica.

In fondo, a nessuna delle due – Vigilanza e Agcom – interessa granché la “coesione sociale” così come dovrebbe stimolarla la Rai. E crediamo che nessuno – parlamentari e commissari – si prenda realmente la briga di anche soltanto sfogliare un “bilancio sociale” della Rai. Documenti inutili: bla-bla-bla. Il potere è certamente altrove, la realtà non è in quelle pagine. Anche il Paese è purtroppo però altrove.

Clicca qui, per leggere il “Bilancio Sociale del Gruppo Rai (2018)”, approvato dal Cda il 9 maggio 2019, e pubblicato su web il 18 giugno 2019

Clicca qui, per leggere il “Bilancio di esercizio Rai (2018)” (separato e consolidato), approvato dal Cda il 9 maggio 2019 e dall’Assemblea dei Soci il 17 giugno 2019, e pubblicato su web il 18 giugno 2019