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La dipendenza dagli smartphone, come rimediare?

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Lo smartphone, nasce come alleato relazionale per permettere a tutti di essere facilmente connessi, ma che nell’utilizzo improprio ha generato un’onda di rimbalzo che dalla connessione può portare all’isolamento, dall’uso all’abuso, dalla libertà alla “gabbia di vetro” .

Il monito di Papa Francesco alle nuove generazioni “quando si diventa schiavi del proprio telefonino si perde la libertà” ci colpisce profondamente come testimonianza corale di tanti adulti, genitori, insegnanti, che dal proprio contesto esperienziale, si sono trovati più volte a pronunciare: “metti via quel cellulare!”. Teste chine nella compulsione digitale di tanti adolescenti, che vittime di una mancata educazione digitale, hanno a volte drammaticamente testimoniato come lo smartphone non sia un giocattolo ma è un “mondo che viene consegnato in mano” ai ragazzi nell’intento ideativo di Steve Jobs (Isaacson, 2011) e per affrontarlo si ha bisogno di essere adeguatamente preparati.

Nella società liquida di Bauman (2000) le nuove generazioni hanno bisogno di essere fortemente ancorate ad un base sicura digitale (Volpi, 2017) che permetta loro di usufruire delle innumerevoli potenzialità di un mondo che cambia e muta velocemente e che rischia di travolgerli soprattutto se lo si carica di aspetti proiettivi, identitari, affettivi di cui è privo, se non nell’immissione algoritmica di pezzetti di sé che ognuno a modo proprio e con stile individuale ha inserito ed inserisce compulsivamente nell’oceano digitale.

La tecnologia ha contribuito a creare la società fluida di cui parla Bauman, e a ridisegnare le aree canoniche del vivere quotidiano, a partire da quella lavorativa, quella relazionale, quella cognitiva generando un cambiamento epocale che necessita dello sforzo collettivo di adulti consapevoli e responsabili per non farsi travolgere dalla dirompenza distruttiva di un utilizzo erroneo della stessa.

L’area relazionale ad oggi risulta essere uno dei versanti maggiormente implicati nel delicato confine tra lo sviluppo di nuove forme di comunicazione e nuove forme di disagio web mediate.

Lo smartphone, nasce infatti come alleato relazionale per permettere a tutti di essere facilmente connessi in un tempo che corre rapido nella rincorsa frenetica di miglioramenti esperienziali, produttivi, lavorativi, e che nell’utilizzo improprio ha generato un’onda di rimbalzo che dalla connessione può portare all’isolamento, dall’uso all’abuso, dalla libertà alla “gabbia di vetro” (Carr,  2014).

Paradossi dell’esplorazione digitale, in cui anche la connessione genera artefatti relazionali, che trasformano la nostra capacità di essere in relazione, di aver cura, di attendere, di comunicare, di ricordare, in un’osservazione costante e onnipresente dell’altro, che, proprio perché sa di essere osservato, lascia indizi, tracce di sé, spesso caricaturali, nella compensazione iconica di una voce spezzata che fa fatica a esprimersi e a farsi riconoscere. Si comunica meno e ci si mostra di più, dando spesso poco valore all’intimità, al rispetto, alla difesa di valori interni che fanno fatica ad essere sentiti e compresi.

Si preferisce delegare all’immagine, allo scatto che sigilla espressioni facciali spesso clonate dall’attivazione dei neuroni specchio che simulano l’altro nel rimbalzo epidemico della moda dei social, e fermando l’attimo si rischia di scolorire il flusso vitale degli aspetti essenziali della comunicazione fatta di emozioni, di ascolto, di empatia, di sforzo di comprensione. Componenti nucleari che dalla conoscenza, dall’incontro, dalla relazione, portano alla formazione del legame affettivo, vuoi che sia di amicizia o sentimentale, fino ad arrivare sulla base della ripetizione dell’esperienza ad interiorizzare l’altro nella nostra mappa mentale interna delle relazioni fondanti il sé. In quella che potrebbe essere la trasposizione digitale del “Piccolo Principe” di Antonie de Saint-Exupèry potremmo pensare che per arrivare alla vera connessione con l’altro, occorra partire dall’incontro e dalla conoscenza e soprattutto che solamente il nutrimento relazionale davvero condiviso, fatto di pazienza, di scambio, di rituali e non di controllo indiretto di impronte digitali, possa permettere di “addomesticare” la Volpe-contatto social, di riconoscerla, di sentirla  e di ricordarla internamente quando si osserva l’essenza simbolica del colore del grano. Le immagini allora si colorano di intensità affettiva che non disperde ma conserva il rapporto.

Connessione generata dalla validità interna del legame affettivo e non da una lista di contatti in cui vige il controllo sull’altro piuttosto che la cura. Percorso di resilienza digitale che si apprende nel primo social affettivo per eccellenza, la famiglia in cui l’essere in relazione con attenzione e cura porta allo sviluppo di quell’ancoraggio interno che rende forti e stabili nella fluidità del nostro tempo.

Bibliografia

Bauman Z.,( 2000), Liquid Modernity, tr.it. Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2002

Carr N.G. (2014), The Glass Cage: automation and us, W. W. Norton & Company,  Tr. it., La gabbia di vetro (2015).

Isaacson W., (2011), Steve Jobs, Mondadori Editore.

Volpi, B. (2017), Genitori Digitali, Il Mulino.