l'analisi

La digital trasformation in Italia? Dopo l’emergenza basta chiacchiere da Gattopardo

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Prima dell’emergenza Coronavirus scrivevo che il successo dei progetti di digitalizzazione di imprese, professionisti e Pa sta nella conoscenza, nel giusto approccio e nella concretezza. Post emergenza occorre però agire. E in un modo nuovo.

La rubrica “Digital & Law” è curata da D&L Net e offre una lettura delle materie dell’innovazione digitale da una prospettiva che sia in grado di offrire piena padronanza degli strumenti e dei diritti digitali, anche ai non addetti ai lavori. Per consultare tutti gli articoli clicca qui.

Il successo della trasformazione digitale di aziende e studi professionali è garantito solo quando la Direzione o il Management riescono a trasformare la resistenza culturale in educazione digitale, attraverso la condivisione di un progetto di cambiamento,  di organizzazione e processi, con nuovi obiettivi di rendimento.

Ritengo che sia facile acquistare hardware, software, servizi e strumenti digitali, piattaforme per il telelavoro o per lo smart working (…) naturalmente solo se c’è la disponibilità finanziaria per farlo.

Non mi stancherò  mai di ripetere che il Governo avrebbe dovuto (e dovrebbe in futuro) finanziare molto di più e dare crediti d’imposta a tutti i progetti di digitalizzazione – non solo ad Impresa 4.0- soprattutto se gli investimenti degli operatori economici e delle PA (non solo le imprese o gli under 46 anni, ma anche tutti gli studi professionali e gli autonomi senza limiti di età) sono obbligati per legge a rispondere a determinati adempimenti, come ad esempio è stato per la fatturazione elettronica o per NSO, per tanti altri obblighi messi in campo da Agenzia delle Entrate, da Agenzia delle Dogane, dal Registro imprese, ecc.

La vera sfida per le organizzazioni sta poi nello sfruttare questi investimenti con una metodologia e riuscire a generare nel tempo davvero efficienza ed efficacia per la propria organizzazione.

Se ci riflettiamo siamo tutti portati ad avere una naturale resistenza culturale nei riguardi di attività che magari non sono personali e non ci entusiasmano e appassionano; spesso in ambito lavorativo il pensiero di dover cambiare provoca paure per un maggior effort, cioè per la necessità di doversi sforzare per comprendere nuovi ambiti, quindi siamo portati in maniera naturale a tener lontano i processi innovativi, a meno che non se ne percepisca davvero il beneficio o non vi sia un’emergenza come quella in corso o l’obbligo imposto da parte del Legislatore.

Se non fosse per l’emergenza Coronavirus che ci sta costringendo a superare queste paure, a superare per forza di cose questa resistenza culturale, le mie parole sembrerebbero le solite chiacchiere da “Gattopardo tipico italico”.

Invece è proprio in questa fase di emergenza – e soprattutto dopo –  che il sistema Paese è chiamato ad agire in modo nuovo nei riguardi del digitale, come dimostra il caso del data breach dell’INPS e tanti casi di realtà imprenditoriali o studi professionali che ancora oggi fanno fatica a mettere in piedi processi di telelavoro, ben lontani dallo smart working che è tutt’altro.

I punti di forza che dovrebbero traghettare un progetto di digitalizzazione versi i benefici attesi, a mio avviso, sono essenzialmente tre:

  1. cambiare mentalità formando e coinvolgendo l’organizzazione sulla trasformazione digitale e gli strumenti e processi da adottare, sia in caso di grandi aziende che in caso di PMI o studi professionali. Stesso approccio vale per le pubbliche amministrazioni;
  2. dare concretezza al progetto e comunione d’intenti attraverso una governance continua: costituire un team con multi competenze o nelle realtà più piccole affidare obiettivi condivisi a persone, eseguire un’analisi per capire le proprie esigenze e programmare sempre le attività di reingegnerizzazione del processo;
  3. puntare su priorità ben chiare: 1) automatizzazione 2) semplificazioni di processo 3) maggiore collaborazione tra gli attori coinvolti 4) obiettivi nuovi dell’organizzazione.

Ricordiamoci che non tutti i servizi e progetti di digitalizzazione generano un miglioramento rispetto alla gestione analogica tradizionale, anzi spesso è il contrario: capita che ci sia un peggioramento o una maggiore burocrazia digitale per la percezione degli utilizzatori.

 Solo perché acquistiamo servizi, software, soluzioni che utilizzano una terminologia magica quali “blockchain” “intelligenza artificiale” “conservazione digitale” “firme elettroniche” “digitalizzazione” “dematerializzazione” “identità digitali” “gestione documentale digitale” non è affatto garantito il raggiungimento delle quattro priorità indicate.

A mio avviso il “goal” del progetto sta tutto nell’approccio dimostrato dall’organizzazione, grande o piccola che sia, e dipende direttamente dalla capacità del vertice decisionale di coinvolgere tutti i soggetti protagonisti del processo, in primis i fruitori: bisogna raggiungere la cosiddetta awareness del fattore umano. Per la mia esperienza, più i fruitori partecipano alla fase iniziale dell’analisi e più le quattro priorità si potranno raggiungere nel medio-lungo termine.

Ormai la digitalizzazione è fondamentale per la trasformazione della produzione, del marketing, della commercializzazione, delle relazioni, dell’organizzazione, dei servizi erogati, ma anche per il valore probatorio e giuridico di dati e documenti, sempre più “nativi digitali”, senza dimenticare l’identificazione agile di persone fisiche e giuridiche.

In breve: non bisogna farsi “portare a spasso” , ma  è necessario iniziare a comprendere, riflettere, valutare le proprie esigenze e i propri obiettivi, cercare finanziamenti appropriati, prima di agire e adottare le soluzioni.  E se la maggioranza di noi non ne voleva sapere nulla prima, con l’emergenza Coronavirus tutti ne percepiscono il bisogno e quindi ritengo che la digitalizzazione sia diventata prioritaria. La digitalizzazione è divenuta da molto tempo “strategica” e quindi necessità di un approccio basato su: conoscenza, analisi qualitativa, governance e programmazione.

Spero che questo articolo venga letto, condiviso e arrivi ai vertici aziendali, ai titolari di studi professionali, ai funzionari delle pubbliche amministrazioni in Italia perché è in loro che deve scattare “la molla” mentale e sono loro a dover dare l’impulso ossia il giusto commitment per coinvolgere i fruitori dei processi nella fase di analisi per la trasformazione digitale, soprattutto quando passerà questa fase emergenziale.

L’ascolto e la formazione dei fruitori serve a definire meglio l’esigenza dell’organizzazione, innalzare le conoscenze e quindi le competenze della propria organizzazione, serve a fare le giuste valutazioni. Iniziamo da qui: il fattore umano dell’organizzazione deve essere formato ed entrare nel cambiamento digitale dei processi, all’inizio e durante tutto il progetto. Coinvolgiamolo ed ascoltiamolo anche in questa fase di emergenza.

La resistenza culturale alla trasformazione digitale può essere gestita solo in questo modo, definendo il progetto con azioni coordinate e condivise con i vari dipartimenti, a partire dal forte commitment dei vertici, altrimenti rimarranno sempre e solo “chiacchiere da Gattopardo”.

La sfida non è facile…iniziamo dal costruire processi che sappiano essere competitivi anche grazie al digitale, senza però dimenticare la creatività, l’emotività e l’intelligenza tipica italiana, ma soprattutto snelliamo la burocrazia (anch’essa tipica italica!).

Articolo di Fabrizio Lupone, Esperto in Digitalizzazione e Fatturazione Elettronica, componente del network professionale D&L NET