La riforma

ilprincipenudo. Nuova Rai o vecchia Rai? Manca il disegno strategico, anche nel rapporto con Google

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Toccare soltanto la delicata materia Rai, senza affrontare il senso complessivo dell’intervento pubblico nelle varie industrie culturali nazionali, significa intervenire con modalità miopi e schizofreniche

Mentre redigiamo queste noterelle (pomeriggio del venerdì 27 marzo) le agenzie di stampa confermano che la questione Rai è stata inserita, in extremis, nell’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri odierno, nonostante le incertezze della mattinata.

Secondo alcuni, oggi il Cdm si limiterà ad approvare delle “linee-guida”, piuttosto che l’intero disegno di legge. Forse avvierà soltanto una discussione interna al Consiglio, e finirà per rimandare una volta ancora il delicato dossier. Propendiamo in verità per una fumata bianca, pur dai modesti risultati, piuttosto che per un ennesima fumata nera, che certo non contribuirebbe all’immagine del Matteo Renziproblem solver”.

#ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz.
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Come sempre avviene in casi come questo, soltanto pochi intimi del Giglio Magico renziano conoscono la vera verità ovvero il reale stato di avanzamento delle bozze sottoposte a faticosa mediazione, sia rispetto alla minoranza interna del Pd sia rispetto alle opposizioni, Forza Italia in primis.

Prevediamo che si addiverrà, oggi o comunque tra qualche giorno, ad una soluzione “minimal” di questo tipo: consiglio di amministrazione di 7 membri, nominato prevalentemente dal Parlamento, con un amministratore delegato nominato d’intesa tra cda ed azionista (Ministero del Tesoro e Società Italiana Autori Editori, la quale continua a mantenere – si ricordi – una quota dello 0,44 delle azioni di Rai spa, ed il senso attuale di questo retaggio storico della Siae è peraltro tutto da spiegare).

Formalmente, così come avviene per il Direttore Generale, l’Amministratore Delegato verrebbe designato dal Tesoro e poi nominato, a maggioranza, dal Consiglio di Amministrazione. Di fatto, l’Ad verrebbe nominato dal Governo. Dei 7 componenti il cda, 4 verrebbero nominati dal Parlamento (2 dal Senato, 2 dalla Camera), 2 dal Tesoro, ed 1 dai lavoratori. L’altra novità sarebbe giustappunto rappresentata dall’essere uno dei sette consiglieri nominato in rappresentanza dei dipendenti aziendali.

In estrema sintesi, si tratterebbe di una schema “4 a 3”.

Di fatto, nel novello Cda così disegnato, la maggioranza sarebbe composta dai 2 membri designati dal Governo, ai quali si aggiungono i 2 votati dalle Camere. Gli altri 2 eletti dal Parlamento sarebbero quindi espressione delle opposizioni (prevedendosi una votazione a maggioranza semplice, e con preferenza unica da parte di ogni singola Camera). Il rappresentante dei lavoratori Rai viene convenzionalmente ascritto all’opposizione. Quindi: maggioranza 4, opposizione 3.

Che bella innovativa geometria, che geniale rivoluzionaria alchimia!

Avevamo già previsto (temuto), su queste colonne, che la montagna avrebbe partorito il topolino, esattamente un mese fa (vedi “Rai: pressing di Palazzo Chigi sulla tv. Facile controllo, ma qual è la vision?”, su “Key4biz” del 27 febbraio 2015).

Topolino partorito in segrete stanze, con procedure anni-luce lontane da quella consultazione popolare (sic) più volte annunciata e poi svanita. Decisionismo autocratico del Governo, altro che decisioni “partecipate”!

Questa “nuova Rai” che incerta s’annuncia ricorda tanto la “vecchia Rai”, cioè quella attuale.

Questa pseudo-riforma non risolve seriamente la questione di un servizio pubblico radiotelevisivo, che deve essere sottratto dal controllo diretto o indiretto del Governo e dei partiti.

Si tratta di un simpatico maquillage strumentale, di una mini-riforma che rafforza semplicemente il potere dell’Esecutivo, con buona pace della “liberazione dai partiti” tante volte proclamata.

Un fine analista come Roberto Faenza, nel suo pamphlet appena edito, “FiniRai. I retroscena della riforma e il futuro della televisione” (autopubblicato grazie alla piattaforma Miolibro), ritiene l’iniziativa di Renzi addirittura una “controriforma”, soprattutto perché non fa nulla per superare la logica del duopolio. Faenza, una volta ancora, guarda al modello Bbc.

Peraltro, la minoranza non-renziana ha presentato in Senato, mercoledì 25, a mo’ di provocazione, un disegno di legge che – guardando in parte al modello di “public service broadcaster” tedesco – propone invece un “sistema duale”, ovvero un Consiglio di Sorveglianza ed un Consiglio di Gestione, che vadano a superare l’attuale Consiglio di Amministrazione (nominato in base alla legge Gasparri). Il ddl vede Federico Fornaro come primo firmatario, cui si aggiungono le firme dei parlamentari Martini, Gotor, Chiti, D’Adda, Gatti, Guerra, Lai, Lo Moro, Manassero, Migliavacca, Pegorer.

Il Consiglio di Sorveglianza sarebbe formato da 11 membri: 3 più 3 eletti dalle Camere, 2 dai lavoratori, di cui 1 giornalista, 2 dal Governo ed 1 Presidente scelto dai Presidenti di Palazzo Madama e Montecitorio.

Il Consiglio di Gestione sarebbe formato da 1 Amministratore Delegato e da 2 Consiglieri, che verrebbero nominati dal Consiglio di Gestione. I renziani (in particolare Michele Anzaldi, Segretario della Commissione di Vigilanza) insorgono ed accusano i dissidenti di essere a caccia di visibilità.

Incredibilmente, ad oggi, 27 marzo, il testo del ddl “Modifiche all’articolo 20 della legge n. 112 del 2004, in materia di governance della Rai”, ovvero l’Atto Senato n. 1841, non risulta disponibile sul sito del Senato, ma i lettori di “Key4biz” lo possono qui leggere.

Il Sottosegretario Antonello Giacomelli pare propendesse anche lui per il “sistema duale”, ma la sua ipotesi è stata bocciata.

Peraltro, più volte gli intendimenti del Sottosegretario sono stati contraddetti platealmente dalle decisioni del “dominus” Renzi: basti pensare alla vicenda del canone.

L’iniziativa dei dissidenti Pd si affianca alle proposte di riforma presentate dal Movimento 5 Stelle e da Sel (che hanno fatto propria l’elaborazione promossa dalla piattaforma MoveOn) ovvero dall’altro dissidente Giuseppe Civati (Pd) insieme a Nicola Fratoianni (Sel), dal senatore socialista Buemi, e dalla Lega.

Un analista serio degli “interna corporis” della politica italiana non può prevedere un iter facile alla proposta di Renzi, quale che sia.

Una sorta di gioco promosso dal duo Gasparri/Matteoli determina che l’iter della riforma debba partire dal Senato, dato che è stato incardinato in VIII Commissione (Lavori Pubblici) il testo di riforma del socialista Buemi, rendendo, come da regolamenti parlamentari, Palazzo Madama la sede d’avvio della discussione.

Buemi ha chiesto l’abbinamento anche delle altre proposte depositate in Senato sul tema, ma ovviamente il Pd frena, e sostiene che l’iter dovrebbe invece essere sospeso in attesa della presentazione del ddl preannunciato dal Governo, o quantomeno di acquisire prima notizie precise sulle intenzioni dell’Esecutivo…

Quale che sia il testo finalmente partorito, l’obiettivo dell’iniziativa renziana è comunque inequivocabile: riuscire a far approvare entro luglio questa mini-riforma, in modo da ricorrere soltanto ad una breve proroga del Cda in decadenza.

Altro che “fuori i partiti dalla Rai”!

Fuori i partiti, dentro il Governo!!!

Nel mentre, alcuni pensatoi si ingegnano (saggiamente? ingenuamente? inutilmente?) a studiare, comparare, elaborare, come è il caso dell’associazione InfocivicaGruppo di Amalfi, che per il 17 aprile organizza in Senato un convegno intitolato “Obiettivo 2016: le nuove responsabilità del servizio pubblico nel sistema delle comunicazioni”.

Il Segretario Generale Bruno Somalvico sottoporrà all’attenzione dei partecipanti (previsti, tra i relatori, il Presidente dei Senatori del Pd, Luigi Zanda; in attesa di conferma il Capo Gruppo al Senato di Forza Italia Paolo Romani, ed il Presidente della Commissione di Vigilanza Rai Roberto Fico) un documento, intitolato “Per una responsabilità pubblica nelle comunicazioni dell’era digitale”.

Si tratta di segnali che vanno nella direzione giusta, perché la questione fondamentale che Governo e Parlamento sembrano ignorare è che, nel nuovo assetto della società digitale, una riforma della Rai che sia isolata dal contesto di riferimento (lo scenario delle industrie culturali nell’epoca del digitale) è un errore marchiano: va avviata una riflessione profonda sul senso complessivo della “mano pubblica” nel sistema mediale e culturale tout-court (dall’editoria ai beni culturali, dal cinema ai new media, passando per l’agenda digitale e le tlc).

Toccare la delicata materia Rai soltanto, senza affrontare il senso complessivo dell’intervento pubblico nelle varie industrie culturali nazionali significa intervenire con modalità miopi e schizofreniche.

È sempre più necessaria una riforma complessiva della politica culturale italiana, che è frammentata in piccoli interventi, retaggio di politiche settoriali mal curate (leggi, leggine, leggi-ponte, leggi-tampone, eccetera) ed influenzate dalla lobby di turno, che hanno prodotto infinite asimmetrie, sperequazioni, contraddizioni.

Dimostrazione ennesima di queste contraddizioni è stata la presentazione dell’accordo tra Rai Cinema e Google Italia, avvenuta in pompa magna mercoledì a Viale Mazzini: un accordo che consente a Google di offrire, non in esclusiva, poco meno di duecento titoli di opere cinematografiche “theatrical” attraverso lo “store online” del motore di ricerca (Google Play, servizio “on demand”).

Questa piccola iniziativa è forse inserita nel contesto di un ragionamento strategico, nel rapporto possibile tra Rai ed il colosso di Mountain View?

Assolutamente no.

Ancora una volta, un tassello, allorquando il puzzle cresce per conto suo, soprattutto grazie alla potenza di soggetti come Google, che riescono a sedurre molti interlocutori spesso dando loro due noccioline.

Stessa dinamica, dal respiro corto, abbiamo registrato nei rapporti tra Ministero dei Beni e le Attività Culturali e il Turismo e Google Italia, e, ancora tra lo stesso Mibact e la Rai.

Le potenzialità sinergiche tra Rai e Mibact della Cultura sarebbero enormi (sia per viale Mazzini sia per l’intero sistema culturale italiano, turismo culturale incluso), ma non esiste una minima strategia di medio-lungo periodo. Come abbiamo già scritto su “Key4biz”: mondi non comunicanti, compartimenti stagni, monadi isolate.

Nel mentre, il Presidente della Commissione Vigilanza Rai, Roberto Fico, ieri giovedì 26 marzo comunicava (via Facebook): “Molte cose potrebbero cambiare nella tv pubblica, se finalmente venisse firmato il nuovo contratto di servizio. Eppure il Sottosegretario Giacomelli sembra dimenticarlo come è accaduto oggi in Commissione Trasporti. L’immobilismo del Governo su questo fronte è inspiegabile. Senza aspettare la riforma, potremmo già da domani riavvicinare il servizio pubblico alle esigenze dei cittadini: stop agli spot del gioco d’azzardo, stop alla pubblicità nei canali dedicati ai bambini in età prescolare, ottanta per cento della programmazione sottotitolata, film in seconda serata trasmessi in lingua originale. Il contratto, approvato dalla Vigilanza il 7 maggio 2014, giace da quasi un anno nei cassetti del Ministero dello Sviluppo Economico, e per questo abbiamo lanciato la campagna #firmeRAI. Chiediamo tutti al Mise e alla Rai di tener conto del parere della Vigilanza e di sottoscrivere il contratto il prima possibile”.

Fico ha perfettamente ragione: in un Paese civile, sarebbe impossibile che il Governo e la Rai ignorino la volontà del Parlamento.

Il “Contratto di servizio” è stato effettivamente approvato dalla Vigilanza il 7 maggio 2014, e siamo al 27 marzo 2015: sono trascorsi quasi 11 mesi!

Ingiustificabile.

Intollerabile.

Indecente.

Ma a fronte di cotanto disprezzo da parte di Rai e Mise, il Presidente della Commissione Vigilanza ritiene di dover restare col fondoschiena incollato sulla propria poltroncina, data la evidente inutilità – a questo punto – della sua funzione di “vigilanza”???

Su queste ed altre colonne (il mensile “Millecanali”), abbiamo suggerito a Fico un’azione protestataria coerente con i suoi intendimenti: in perfetto stile “old-radicale”, incatenarsi davanti ai cancelli di Viale Mazzini, ovvero semplicemente dimettersi.

Questa coerenza ci piacerebbe osservare in coloro che teorizzano una nuova politica, nell’eterna Italia del Gattopardo, a fronte del decisionismo incerto ed effimero del Governo.