L'analisi

ilprincipenudo. Cultura e media, sempre in attesa di sviluppo ‘equo e sostenibile’

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Nel settore dei media e della cultura, gli strumenti di conoscenza sono inadeguati, nonostante esistano soggetti istituzionali con risorse notevoli

Strane dinamiche nel sistema mediale italiano: questa mattina, a Montecitorio, nella Sala dedicata ad Aldo Moro, discreta aspettativa, e discreta delusione, per la presentazione del primo volumetto della collana di riflessione mediologica, “I Quaderni di Crtv”, promossa da Confindustria Radio Televisioni (Crtv appunto), “Apocalittici e integrati 50 anni dopo. Dove va la televisione”, curato dal mediologo Giampiero Gamaleri (Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione Università Telematica Uninettuno e docente nell’ateneo Opus Dei) ed edito per i tipi della Rubbettino.

#ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz.
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Titolo ambizioso, riflessioni non particolarmente approfondite, con una serie di interventi di taglio più giornalistico che saggistico. Ci si attendeva di più e di meglio dall’associazione, costituita nell’ottobre del 2013, che rappresenta gran parte dell’industria del broadcasting italiano, Mediaset, Rai e Sky Italia in primis (Crtv vanta di rappresentare il 90% del mercato, con 26mila addetti e 9 miliardi di ricavi), ma si tratta comunque di un librino di un qualche interesse. Curiosamente, un flop l’audience: poche decine di partecipanti in sala, assenza dei politici pur annunciati (dalla Presidente della Camera Laura Boldrini al Vice Presidente del Senato Maurizio Gasparri al Sottosegretario al Mise Antonello Giacomelli), assenza di alcuni importanti protagonisti del settore pur annunciati (tra cui Gina Nieri, Consigliere di Amministrazione Mediaset), Tarak Ben Ammar, Presidente Prima Tv, Maurizo Costa, Presidente Fieg). Dibattito discretamente interessante, ma non esattamente innovativo e non proprio scoppiettante: sono intervenuti Marco Follini (Presidente Apt), Alessandro Araimo (Coo Discovery Italia), Francesco Dini (Vice Presidente Elemedia-Gruppo Espresso), Stefano Selli (Direttore Relazioni Istituzionali Mediaset), Maurizio Giunco (Presidente Associazione Tv Locali, aderente a Crtv), Ruben Razzante (uno dei contributori al volumetto). Ha moderato Emilio Carelli, che è anche Vice Presidente di Confindustria Radio Televisioni.

Strana iniziativa, perché sembra quasi in qualche modo sorgere sulle ceneri dell’eccellente esperienza, che Rai avviò molti anni fa: per decenni, la televisione pubblica ha promosso una stimolante collana, la “Vqpt”, acronimo di “Verifica Qualitativa Programmi Trasmessi”, avviata nel lontano 1976, che ha rappresentato il maggiore laboratorio di riflessione mediologica in Italia. Le ricerche realizzate fino al 1984, elaborate in forma dattiloscritta su carta formato A4, avevano avuto una circolazione limitata, essenzialmente i componenti della Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai, le accademie universitarie e gli esperti del settore.

Nel 1984, la Rai definì un accordo con la Nuova Eri, che consentì la pubblicazione delle ricerche e la loro diffusione al grande pubblico. Nacque così la collana “Rai Vpt” (Verifica Programmi Trasmessi), che divenne, a partire dal 1988, “Rai Vqpt” (Verifica Qualitativa Programmi Trasmessi). Negli anni Novanta, la responsabilità della collana passò dalla Segreteria del Consiglio di Amministrazione alla Direzione Analisi, Studi e Ricerche di Mercato. Nel 1999, la collana confluì all’interno della struttura “Studi e Ricerche di Mercato”, della Direzione Marketing Strategico, Offerta e Palinsesti. Dopo altri passaggi, nel 2004 fu inclusa nell’Ufficio Studi della Direzione Marketing… Fino al 2007, erano stati pubblicati circa 200 titoli. La collana è stata rigenerata nel 2004, con un’impostazione sempre più “marketing oriented”, ed è stata denominata “Zone – Collana di studi e ricerche sui media”. Dopo l’ultimo volume (il 15°), pubblicato nel 2010, la collana è stata incomprensibilmente chiusa, per misteriose ragioni correlate con le assurde alchimie politico-dirigenziali di Viale Mazzini.

A sua volta, a Cologno è stata ideata alla fine degli anni Novanta una eccellente rivista, “Link – Idee per la Televisione”, realizzata per anni dalla Direzione Marketing diretta da Marco Manuele Paolini, e, da qualche mese, da Federico di Chio: nata nel 1998, nell’ambito delle attività di ricerca e sviluppo del marketing Rti, “Link” è in libreria dal 2002 e su tablet (iOs e Android) e Kindle dal 2012. Direttore editoriale è attualmente di Chio, direttore Fabio Guarnaccia. La rivista si è caratterizzata anche per una veste grafica molto raffinata e spesso sperimentale.

“Link. Television Culture” è un progetto editoriale dedicato alla televisione e ai media, che ha inteso allargare lo sguardo dal piccolo schermo all’intero campo della comunicazione. Ambizione di “Link” è raccontare i meccanismi che governano l’industria televisiva al di là dei luoghi comuni, contribuire al dibattito sui media con riflessioni di esperti e professionisti, italiani e stranieri, ricercare una sintesi tra addetti ai lavori, mondo culturale e accademico e il pubblico sempre più numeroso di studenti e appassionati di tv. L’ultimo numero è stato pubblicato proprio in questi giorni: “Comedy”, monografia dedicata a “cosa resta della comicità televisiva?”, partendo dall’osservazione che la generazione di comici che ci ha fatto ridere negli anni ‘90 e nel primo decennio del 2000 è scomparsa.

“Link” di Mediaset resta l’unica rivista italiana di riflessione mediologica alta, a fronte della scomparsa della “Vqpt-Zone” della Rai.

Ciò premesso, è assente da cinque anni, dal panorama della riflessione saggistica italiana, quello che per decenni è stato un prezioso strumento conoscenza: crediamo che la collana editoriale promossa da Confindustria Radio Televisioni non abbia “ab origine” l’ambizione di coprire quel qualificato spazio culturale della Rai ( si ricordi però che il Presidente di Confindustria Radio Televisioni, Rodolfo De Laurentiis, è anche Consigliere di Amministrazione di Viale Mazzini…), ma da quel che si definisce Crtv Lab (quindi un laboratorio di ricerca) ci si aspetta – sia consentito – una riflessione più approfondita, transdisciplinare e multidimensionale, un approccio critico e non conservatore.Attendiamo quindi i prossimi volumi.

Accantoniamo questa iniziativa, e dedichiamo attenzione ad un evento senza dubbio più stimolante, in termini scientifico-accademici, ma anche politico-istituzionali.

Lunaria, evoluzione del concetto di “benessere”

Uno studioso attento all’evoluzione della ricerca sociale (oltre che mediale) non poteva non partecipare ad un’iniziativa come quella promossa da un’appassionata associazione della società civile qual è Lunaria, un seminario dedicato allo studio dello stato dell’arte dell’evoluzione del concetto di “benessere”.

Dieci relatori, tre sessioni di lavoro, una tavola rotonda conclusiva. Sono questi i numeri del workshop “Il benessere, possibilmente. Iniziative, strumenti e sfide della società civile per migliorare la qualità della vita delle persone e dei territori”, organizzato nell’ambito delle iniziative del progetto europeo Web-Cosi (acronimo di “Web Communities for Statistics for Social Innovation”), a cui Lunaria partecipa insieme all’Istat (capofila del progetto), l’Ocse e la britannica i-genius.  Avviato nel  gennaio 2014, Web-Cosi è finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del VII Programma Quadro su sostenibilità e innovazione sociale, e mira a coinvolgere le comunità nel dibattito pubblico sul benessere e l’innovazione. Il finanziamento della Commissione è complessivamente nell’ordine di 589mila euro per il biennio 2014-2015.

Il seminario si è tenuto ieri martedì 21 aprile presso gli spazi della ex (o no?!) Provincia di Roma, denominati “Porta Futuro” a Testaccio, che ospitano anche il Centro per l’Impiego di Roma.

Nella sessione mattutina, il tema “benessere” è stato declinato nella sua multidimensionalità, con un’attenzione particolare alla sostenibilità sociale e ambientale, ed all’utilizzo di indicatori statistici che possano supplire ai limiti strutturali del Prodotto Interno Lordo nella formulazione di decisioni politiche informate, lungimiranti, attente ai reali bisogni della cittadinanza. Nella sessione pomeridiana, sono stati al centro della discussione i temi della partecipazione civica, e dell’impatto delle nuove tecnologie nella promozione del benessere e della qualità della vita nelle comunità locali e nei territori.

Apprezzabili, per chiarezza e sintesi, gli interventi di Kate Scrivens, in rappresentanza dell’Ocse, ricercatrice del progetto Web-Cosi, “Il benessere. Cos’è, come si conta, come si racconta”, e di Chiara Assunta Ricci, ricercatrice di Lunaria e quindi di Web-Cosi, “Il ruolo della società civile nella misurazione del benessere a livello nazionale e locale: l’esperienza italiana”. La videoregistrazione del seminario è fruibile sul sito web di Web-Cosi

Il dibattito sulla necessità di superare la strumentazione economicista del Pil come indicatore del benessere nazionale risale in Italia ai primi anni Novanta del secolo scorso, con l’avvio dei primi esperimenti di valutazione multidimensionale: antesignano è stato nel 1988 l’indice sulla qualità della vita nelle Province italiane promosso dal quotidiano industriale “Il Sole 24 Ore”; nel 2006, esce la prima edizione di “Sbilanciamoci!”, progetto di “contro-Finanziaria” cui partecipano attualmente oltre 50 associazioni che formano il network, dossier che propone una sorta di governo alternativo della socio-economia italiana, a risorse costanti (ovvero come si potrebbe meglio utilizzare la spesa pubblica, al livello attuale, indirizzandola però verso tematiche di sviluppo giustappunto equo e sostenibile)…

Nel 2013, recependo anche la spinta di alcune associazioni (tra cui Sbilanciamoci!, appunto), l’Istat ha pubblicato, in collaborazione con il Cnel, la prima edizione del rapporto “Bes” acronimo che sta per “benessere equo e sostenibile” (si veda il sito www.misuredelbenessere.it), progetto di misurazione e valutazione del “progresso della società” basato su 12 indicatori: Salute, Istruzione e formazione, Lavoro e conciliazione tempi di vita, Benessere economico, Relazioni sociali, Politica e istituzioni, Sicurezza, Benessere soggettivo, Paesaggio e patrimonio culturale, Ambiente, Ricerca e innovazione, Qualità dei servizi… A livello internazionale, si vantano esperienze ultra ventennali ed uno dei laboratori più evoluti è rappresentato dall’Ocse, che pubblica una rapporto comparativo internazionale sul “well-being”, costruendo un “Better Life Index”.

Dal nostro punto di vista, va lamentato come generalmente questi rapporti non dedichino particolare attenzione alla componente culturale-mediale dell’esistenza quotidiana: spesso vengono utilizzati indicatori sul livello di istruzione e più in generale sul sistema di educazione, ma non è invece frequente la presenza di indicatori sulla cultura ed i media, sia a livello di fruizione (consumo di beni ed attività culturali), sia a livello di produzione ed offerta (creatività e imprenditoria culturale).

In ogni caso in Italia, al di là del cappello istituzionale che l’Istat ha posto (forse anche nel tentativo di liberarsi da un’immagine esclusivamente… statistica!), il dibattito politico e la effettiva utilizzazione di questi indicatori alternativi/integrativi rispetto alla visione monodimensionale dell’economia (l’approccio economicista, appunto) appare assolutamente arretrato: il problema va contestualizzato nel complessivo deficit cognitivo del “policy making” in Italia, che attraversa tutti i settori del governo della “res publica”. Negli specifici settori della cultura e dei media, in particolare lo stato delle conoscenze è al contempo deprimente e inquietante.

Nel settore dei media e della cultura, gli strumenti di conoscenza sono infatti limitati, modesti, arretrati, nonostante esistano soggetti istituzionali che dispongono delle risorse per potersi attrezzare adeguatamente: dall’Agcom alla Siae al Ministero dei Beni e Attività culturali e del Turismo. Sembra che a nessuno di loro interessi dotarsi della giusta ‘cassetta degli attrezzi’.

Abbiamo denunciato tante volte, anche su queste colonne, lo stato di arretratezza del dataset italiano sulla fruizione culturale e mediale, così come la pochezza delle analisi di mercato, delle ricerche settoriali, delle indagini di scenari…

Teorizzare in Italia uno sviluppo “equo e sostenibile” anche della cultura e dei media è veramente un sogno.

Abbiamo denunciato, anche su queste colonne, come la Rai, ormai da molti anni, non sia più dotata di un Servizio Studi, e come la quasi totalità della sua capacità di osservazione dello scenario nel quale opera sia limitata alle ricerche di marketing (peraltro prevalentemente tattico, sulla programmazione, e non strategico). Questa impostazione determina inevitabilmente una (auto)limitazione del concetto stesso di “servizio pubblico”, che non può (non deve) essere soltanto “market-oriented”. Non a caso, invece, a Viale Mazzini è proprio la Direzione Marketing, il committente ormai quasi esclusivo di ogni attività di ricerca (essendo divenuto una scatola vuota l’Ufficio Studi).

Un paio di anni fa, il nostro istituto, in partnership con la Labmedia di Alessandra Alessandri, ha realizzato alcune ricerche comparative internazionali sul concetto di “qualità” nel servizio pubblico radio-televisivo: le ricerche sono state presentate anche al Consiglio di Amministrazione di Viale Mazzini (che sembra averle apprezzate, in particolare la Presidente Anna Maria Tarantola e la Consigliera Benedetta Tobagi), ma abbiamo ragione di ritenere che siano poi rimaste chiuse nei cassetti dei potenziali decisori o che stiano ammuffendo negli archivi del settimo piano.

Il ritardo della Rai

Dalle ricerche internazionali, emergeva inequivocabile il ritardo della Rai rispetto alla strumentazione di cui sono dotate le più evolute televisioni pubbliche europee, in termini di analisi non solo quantitativa dell’offerta (Rai continua a essere suddita dell’Auditel), ma anche di studio della domanda attuale e latente e di percezione della qualità (Rai continua a buttare centinaia di migliaia di euro all’anno per uno strumento inutile, il cosiddetto “mini-Qualitel”, di nessuna concreta utilità), di monitoraggio delle varie forme di pluralismo che il servizio pubblico dovrebbe rispettare (ed anche qui si rinnovano i dubbi, sull’effettiva utilità delle rilevazioni affidate all’Osservatorio di Pavia), di meccanismi di feedback con il telespettatore (nonché – e non è dettaglio marginale – teleabbonato), di redazione di un bilancio sociale (che renda conto agli “stakeholder”)…

Una situazione semplicemente disastrosa e deprimente, con un gruppo mediale arroccato nella propria auto-referenzialità, prono nei confronti del mercato pubblicitario, e lontano anni-luce dalla effettiva realtà sociale del Paese (basti pensare soltanto all’eutanasia del Segretariato Sociale Rai).

Allorquando, qualche mese fa abbiamo ascoltato una dichiarazione della Presidente Anna Maria Tarantola che annunciava un “bilancio sociale” Rai in gestazione, abbiamo sperato che il seme delle iniziative di ricerca di un paio di anni prima potesse finalmente germogliare… “A partire dall’anno 2014, la Rai sarà la prima azienda radiotelevisiva italiana a redigere un bilancio sociale”, dichiarava la Presidente, intervenendo al convegno “Media e disabilità” organizzato il 16 ottobre 2014 dall’Agcom. “L’obiettivo – spiegava – sarà dare conto del proprio operato sui temi della sostenibilità, ma anche per rafforzare nel pubblico la percezione di trasparenza e correttezza gestionale, minimizzare il rischio reputazionale e tutelare l’immagine aziendale”.

E proprio ieri, 21 aprile 2015, in occasione di un dibattito sulla televisione pubblica promosso dall’Istituto Luigi Sturzo, il Sottosegretario Antonello Giacomelli dichiarava: “A noi interessa non solo la dimensione azienda della Rai, ma anche il suo bilancio sociale”. Attendiamo quindi di leggere il primo inedito “bilancio sociale” di Viale Mazzini.

Attendiamo, con quel poco di fiducia residua che ci resta.

Tornando alle tematiche più generali del “benessere”, va segnalato che il Fondatore (nel 1992) e Presidente (fino al 2010) di Lunaria, Giulio Marcon, parlamentare di Sinistra e Libertà, qualche settimana fa ha presentato una proposta di legge, classificata con Atto Camera C 2897, “Disposizioni per l’utilizzazione degli indicatori di benessere nelle politiche pubbliche”, alla quale hanno aderito oltre 50 deputati (di differenti schieramenti), finalizzata a introdurre l’obbligo, per le Pubbliche Amministrazioni, di utilizzare gli strumenti più evoluti dell’analisi socio-economica (il modello di riferimento è inevitabilmente il “Bes” del’Istat), affinché si possa superare la visione monodimensionale quantitativo-economicista delle politiche pubbliche. L’iter del provvedimento è iniziato. A proposito del “Documento di Economia e Finanza” del 2015 (che pure presenta, su centinaia di pagine, un qualche primo cenno all’esperienza del “Bes” Istat), Mancon ha evidenziato come si tratti di “un documento senza qualità, senza prospettive, senza una strategia di politica economica capace di far uscire il paese dalla crisi. È un documento ingiustificatamente ottimistico, a tratti trionfalistico, poco prudenziale, senza scelte di natura realmente espansiva, di sostegno alla domanda e ai redditi”.

Lo scetticismo rispetto all’effettiva utilizzazione dei novelli indicatori da parte dei nostri “governanti” resta quindi enorme, dato che inquietante è l’ignoranza con la quale vengono amministrate le politiche economiche e sociali del nostro Paese, finora sulla base degli indicatori quantitativi soltanto (appunto).

Anche se questo obbligo di utilizzazione di indicatori diversi e multidimensionali del “benessere” e della “qualità” della vita divenisse effettivamente legge dello Stato (come Mancon auspica), sapranno i nostri circa 1.000 parlamentari leggere queste strumentazioni innovative, e farne buon uso per il benessere del nostro Paese?!

Data la diffusa ignoranza con cui viene (mal) governato il nostro Paese, si nutrono profondi dubbi.