L'evento

ilprincipenudo. Convegno Pd ‘Una grande Rai’. Campo Dall’Orto non ‘risponde’ al Partito

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Sembra evidente l’esistenza di un cortocircuito in Rai: il Dg Campo Dall’Orto non “risponde” al partito che gli ha affidato il timone. Orsini: ‘Incredibile che la Rai non abbia un ufficio studi’

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Un’occasione di incontro certamente stimolante, ma per alcuni aspetti sconcertante, quella di ieri a Roma, promossa dal gruppo senatoriale del Partito Democratico, a partire dal titolo: “Una grande Rai” (inevitabile l’eco del titolo, ormai abusato, del film di Sorrentino).

Il conio dell’ambizioso titolo è stato rivendicato da Francesco Verducci (Vicepresidente della Commissione bicamerale per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi, nonché Capogruppo Pd in Commissione), e da Luigi Zanda (Capogruppo dei senatori del Pd), per riaffermare l’esigenza di un servizio pubblico radiotelevisivo forte e centrale nella società italiana.

Prima di entrare nel dettaglio del resoconto, è opportuno segnalare l’evidente schizofrenia tra le tesi di Antonio Campo Dall’Orto (“conducator” di Viale Mazzini) e le tesi del partito che lo ha voluto alla guida della Rai (ovvero del partito che sostiene le scelte del proprio Segretario, nonché Presidente del Consiglio): il primo va tetragono per la sua via, applicando alla Rai le regole del… “marketing”; il secondo evoca una visione… “sociale” della Rai, che il primo sembra però sostanzialmente ignorare.

È evidente l’esistenza di un cortocircuito: il Dg/Ad della Rai non “risponde” al partito, e ciò – in un sistema ideale – sarebbe cosa buona e giusta, anche per la democrazia. Ma l’Italia non è certamente un Paese ideale. I maligni potrebbero sostenere che Campo Dall’Orto risponde esclusivamente agli input di Matteo Renzi (e quindi poco gli importa delle varie anime del Partito Democratico), ma i più informati sostengono che egli opera ormai in splendida libertà totalmente autocratica, ed il convegno di ieri doveva essere proprio un segnale cortese per ricondurlo a più ragionevoli pretese… Quale che sia la vera verità, l’occasione di dibattito di ieri ha evidenziato l’esistenza di non poche contraddizioni interne.

Francesco Verducci, in un intervento ben colto (si ricordi che è anche professore di Sociologia dei Fenomeni Politici e Comunicazione Politica all’Università di Macerata), ha proposto una lettura alta del ruolo della Rai, come “costruttore di identità” e “sismografo culturale” del Paese, lamentando come negli ultimi anni Viale Mazzini si sia lasciata andare ad una deriva di “omologazione”, che ha snaturato la sua funzione. Ha evocato l’epopea di una Rai “vettore sociale del cambiamento”. Pur apprezzando la riforma della “governance” ed il tentativo di rimettere Rai in sintonia con i “millennials”, ha lamentato che il genere “informazione” sta arretrando rispetto all’“intrattenimento”, ed ha sostenuto che è necessario dare un segnale di maggiore discontinuità rispetto al passato, superando la dinamica bellicosa per i più alti indici di ascolto. Verducci si è molto soffermato sulla necessità di apprezzare i lavoratori interni, atipici e precari inclusi. Ha sostenuto l’esigenza di una “profonda riforma dell’informazione”, dichiarandosi favorevole ad “una grande newsroom” (progetto che è stato accantonato nel “new deal” ultimo di Viale Mazzini). Nel suo intervento, sono emersi concetti alti come “sociale” e “pluralismo”, e concetti operativi come la necessità di un “grande concorso” (addirittura europeo, non solo nazionale!) per acquisire rinnovate energie professionali…

Antonio Campo Dall’Orto ha sostanzialmente ignorato le argomentazioni socio-politiche di Verducci (e ciò basterebbe…), proponendo un bilancio dei suoi primi dieci mesi alla guida della Rai, in nome della santissima “innovazione”. Da uomo di marketing e comunicazione, il Dg è partito enfatizzando la significatività dell’evoluzione del “pay-off” della comunicazione Rai, da “di tutto, di più” a “per te e per tutti”, enfatizzando la centralità del “te”, ovvero “le persone al centro”.

Ha spiegato “ho detto ai miei, appena insediato, dobbiamo recuperare in 10 mesi un ritardo di 10 anni”, ricordando che alcune delle innovazioni che sta cercando di introdurre in Rai… lui le ha già sperimentate, dieci anni fa appunto, quando era alla guida di Mtv Italia.

Ha sostenuto che la Rai deve passare dal ruolo di “editore e produttore” a quello di “generatore di contenuti”, in sintonia con quel che sta avvenendo in tutto il mondo. Ha ricordato che ha governato una multinazionale dell’immaginario come Mtv a livello planetario, tra il 2008 ed il 2013, ovvero un gruppo che comunica… in oltre 100 Paesi ed in 27 lingue: Campo Dall’Orto ha proposto una teoria della globalizzazione positiva, e c’è quasi parso, in alcuni momenti, veramente al servizio del neocapitalismo digitale, come se questo modello di sviluppo (socio-economico-culturale) fosse l’unico possibile (il che, di grazia, non è!).

Fiction e sport sono gli elementi principali su cui lavoriamo per cercare di recuperare i ‘millennials’. Tre mesi fa, abbiamo incontrato i produttori di fiction, ed abbiamo fatto presente che non esiste solo Rai1, ma anche Rai2, Rai3, Rai4, e anche che dobbiamo aumentare in maniera drammatica la parte di prodotto che va anche all’estero”. E già si sta facendo: “ne è un esempio la nuova serie ‘I Medici’” (prodotta dalla Lux Vide fondata da Ettore Bernabei, insieme a Big Light Productions e Wild Bunch). Ha ricordato l’accordo con Netflix per “Suburra” (prodotto dalla Cattleya di Riccardo Tozzi), le perduranti capacità di vendita internazionali di “Montalbano” (prodotto dalla Palomar di Carlo Degli Esposti), ma anche del nuovo “Non uccidere” (che ha avuto risultati di audience modesti in Italia, ma pare abbia registrato buon “appeal” sui “market” internazionali; prodotto dalla Fremantle Media Italia, di cui di Lorenzo Mieli è amministratore delegato; en passant, il suo socio Mario Gianani, già alla guida della Wildside poi acquisita nell’agosto 2015 da Fremantlecon, è sposato con la Ministro Marianna Madia).

Il Dg Rai s’è espresso criticamente rispetto a chi nostalgicamente evoca il Maestro Alberto Manzi (e la sua mitica trasmissione “Non è mai troppo tardi”), perché, secondo lui, differente e pervasiva deve essere la attuale nuova funzione di “alfabetizzazione” del servizio pubblico. Ha concluso Campo Dall’Orto: “abbiamo la possibilità di essere il grande raccontatore del nostro Paese. Un ruolo che diventerà sempre più grande. La tv pubblica, infatti, è un elemento aggregatore del Paese. Cosa che i social media fanno fatica a fare”.

Subito dopo, l’intervento di Angelo Marcello Cardani, Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che ha ricordato come “le authority debbano fare del proprio meglio nel regolare”, ma che è il legislatore a dover decidere quali sono le leggi che debbono “governare” il sistema. In Italia, si tende ad “applicare cerotti, per tamponare le perdite d’acqua, invece di cambiare le tubature”: poche parole, a buon intenditore. Ha poi sostenuto, ricordando la propria esperienza come dirigente della Commissione Europea (nonché di esperto di “aiuti di Stato”): “sarebbe molto bello riuscire ad avere un concetto, non solo intellettuale anche delineato, su una carta comune un concetto di servizio pubblico europeo dove vengano messe insieme alcune idee condivise. Ci fosse una spinta in questa direzione, penso sarebbe una spinta ottima”.

Temiamo che al Presidente dell’Agcom sfuggano le corpose elaborazioni in tal senso, prodotte da anni ed anche recentemente dall’associazione dei “public service broadcaster”, l’Ebu-Uer, European Broadcasting Union. Cardani (che ha rimarcato la propria “non romanità”) ha anche sostenuto che questa del Pd sarebbe stata un’occasione di dibattito eccezionale, allorquando “l’ambiente romano” si caratterizzerebbe invece per iniziative autoreferenziali e di modesto spessore intellettuale. Ci viene naturale commentare (da orgogliosi “romani” e frequentatori anche dei bassifondi): forse il Presidente dell’Agcom… non frequenta “i salotti” giusti, perché in verità, anche nella Capitale, e spesso fuori dalle mura delle istituzioni e dei partiti, esistono occasioni di dibattito serio, approfondito, appassionato sulla Rai e sulle politiche mediali.

Il Sottosegretario al Mise con delega per le Comunicazioni Antonello Giacomelli si è domandato: “che cos’è oggi il servizio pubblico e quale missione deve avere? Io rispondo con una definizione che a me piace: sono un toscano, ed ho una venerazione laica per Don Milani. Lui diceva che, possedendo la parola, si ha lo strumento per essere più pienamente cittadini. Noi, che siamo come i ragazzi di Don Milani e che siamo sommersi di informazione, dobbiamo avere la possibilità di avere una scala di valori. Io penso che il servizio pubblico debba essere una possibilità per ogni cittadino di avere lo strumento per essere più consapevole. A me piacerebbe che questa fosse la missione della Rai”. Giacomelli s’è fatto vanto delle “12mila risposte” (il dato comunicato ad inizio luglio parlava in verità di 10mila…) pervenute dai cittadini nell’ambito della consultazione “cambieRai”, i cui risultati l’Istat sta elaborando, e che verranno presto messi a disposizione nell’economia della stesura della novella “convenzione” ventennale tra Rai e Stato. Quando ha sostenuto che la Rai dovrebbe proporre “linguaggi ed analisi che incontrino ed interpretino le inquietudini sociali”, s’è registrato un applauso a scena aperta (l’unico della kermesse). Giacomelli ha citato l’ipotesi di “bollino blu” per connotare i programmi effettivamente di “servizio pubblico” della Rai, ed ha sostenuto “parliamone…”.

È stato poi il turno di… “un padre della Patria”: come definire diversamente il Senatore Sergio Zavoli, dall’alto dei suoi 93 anni e di un’assoluta lucidità teorico-politica?! Il discorso s’è elevato assai: Zavoli non è entrato nella mischia (Renzi non è nemmeno stato mai citato), ma ha evocato un’idea nobile della Rai (“la nazione che parla alla nazione”), ovvero di un servizio pubblico, che sappia “capire” ed “interpretare”, superando l’omologazione imperante e lo “spettacolo della banalizzazione della vita (e della morte, finanche)”. Con varie citazioni (per tutte, Benedetto Croce, “tu sei ciò che sai”, e Luigi Einaudi, “primum informare deinde comunicare”), l’ex Presidente della Rai (1980-1986) ha consentito un salto di qualità del dibattito, andando oltre le piccole vicende della politica contingente. La Rai dovrebbe proporre una “nuova educazione della cittadinanza”. Un approccio umanistico veramente di gran livello, che ci ha ricordato anche sortite di Papa Francesco (clicca qui, per leggere la relazione di Zavoli, sulle colonne del sito web de “Il Sole 24 Ore”).

La Presidente della Rai Monica Maggioni, intervenuta come prima relatrice della seconda sessione del dibattito (e con metà sala ormai vuota, e ciò la dice lunga sulla debolezza del Pd nell’attrarre… “pubblico”), si è concentrata – come usa fare – sulla centralità della funzione dell’informazione nel servizio pubblico, evidenziando l’esigenza di un “approccio razionale”, che eviti di “ridurre tutto a paura e slogan”, soffermandosi in particolare sull’esigenza di un racconto equilibrato del fenomeno migratorio.

Il Vice Direttore del “Corriere della Sera” Antonio Polito (già alla guida de “il Riformista”) ha evidenziato come sia errata l’eguaglianza “servizio pubblico = di Stato”. Non tutto quel che è pubblico è statale (vedi alla voce “scuola”), e quindi si dovrebbe sviluppare un ragionamento evoluto, moderno, aperto su chi può e deve fare “servizio pubblico” nel sistema radiotelevisivo. Ha segnalato come la Rai venga vissuta da molti cittadini come “un pezzo dell’establishment da abbattere”, così come i giornalisti tutti sono visti per lo più come servi della “casta”, ovvero di “un sistema di proprietà della politica”.

Il Direttore di “Avvenire”, quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, Marco Taquinio, ha anch’egli proposto una lettura alta, in sintonia con l’approccio umanistico di Zavoli: “tutti noi giornalisti siamo chiamati a fare servizio pubblico”, con una logica di “libertà responsabileè la consapevolezza a cambiare il mondo”. La Rai dovrebbe cercare di “dare senso al caos”, o comunque “dare senso” almeno alla nostra quotidianità, stimolando un “sentimento pubblico e civile”, contribuendo alla costruzione di “fonti informative riconosciute ed indipendenti”. Tarquinio ha ricordato come negli ultimi 5 anni, sia stato costretto alla chiusura ben il 47% delle testate giornalistiche. Assistiamo passivamente alla drammatica riduzione delle fonti di informazione qualificate e quindi del pluralismo. Il Direttore di “Avvenire” ha criticato quella predominante “narrazione del mondo che esclude la parte buona” che pure c’è nella quotidianità dell’umanità. Il problema dell’“agenda setting” dei telegiornali della Rai è terribile, perché esso influenza politiche di governo ed umori individuali. Tarquinio ha invocato una Rai più plurale ed aperta alla società civile, che proponga “pietre di inciampo”, ovvero che abbia il coraggio (civile) di offrire anche “le narrazioni che non vogliamo vedere”.

Parole nette e dure: “oggi da un lato ci sono gli individui, dall’altro un’oligarchia di grandi organizzazioni. Tra questi due estremi, c’è qualcosa, e non è soltanto lo Stato e la politica. C’è un senso comune che deve dare senso al servizio pubblico”. Tarquinio ha ricordato come anche l’allocazione delle risorse debba essere sottoposta a valutazione critica strategica, esemplificando efficacemente “con il budget assegnato ad un Celentano potrebbero vivere 8 sedi Rai nel Sud del mondo…”, e ciò basti. Tarquinio s’è espresso favorevolmente rispetto all’idea di un “Manzi 2.0”, sulla quale invece il Dg Campo Dall’Orto aveva manifestato perplessità. Tante volte, anche su queste colonne, abbiamo sostenuto tesi simili (sulla prospettiva di un “Manzi 2.0”, in particolare, si rimanda a “Key4biz” del 14 dicembre 2014, “Rai e digital divide: il progetto ‘Manzi 2.0’ sembra poca cosa e forse nella direzione sbagliata”), e quindi… non possiamo non condividere!

Il Direttore del quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore”, Roberto Napoletano, ha sostenuto che Rai deve essere una “media company fabbrica di informazione indipendente e di qualità, di documentari e fiction”, rimarcando che “l’identità del servizio pubblico deve essere riconoscibile, accentuando la propria diversità”.

A fronte di un uditorio ormai decimato, ha chiuso i lavori Matteo Orfini, Presidente dell’Assemblea nazionale del Pd, che ha subito precisato – in ironica contrapposizione con il “liberista” Polito – di essere un convinto “statalista”. Molte le prese di posizione… a-sintoniche rispetto a quelle di Campo Dall’Orto: Orfini crede in una Rai che sia “editore” anche nel senso pieno di “produttore di contenuto”; vorrebbe un Viale Mazzini più aperto alla pluralità dei produttori (“non esistono soltanto 3 produttori in Italia”); auspica un servizio pubblico che “non sfrutti i propri lavoratori”…

Un osservatore distratto, avrebbe pensato che Orfini parlasse ad un Campo Dall’Orto (che era andato via alla fine della prima sessione, e quindi assente al momento dell’intervento del Presidente Pd) nominato da… un partito “altro” rispetto al Partito Democratico (vedi supra, alla voce “schizofrenia”).

È opportuno riportare precisamente il pensiero di Orfini: “Credo che il nostro Paese abbia un ruolo nella competizione economica internazionale, grazie alle sue aziende pubbliche, Eni, Enel e Finmeccanica. La Rai potrebbe essere il quarto moschettiere. È chiaro che il primo obiettivo della nuova Rai è creare innovazione, come dice Campo Dall’Orto. Una delle missioni che si deve dare, però, è il pluralismo culturale, che si garantisce anche con il pluralismo produttivo. Sarebbe altrettanto importante comunicare a quelli che scelgono i prodotti che, come non esiste solo Rai1, in Italia non esistono solo tre produttori, perché su questo c’è il rischio trust”, ovvero il rischio di un “tappo all’innovazione, che è data invece dalla concorrenza”.

Cosa significa “servizio pubblico”? Secondo Orfini, “costruire un progetto di cittadinanza attraverso strumenti di decodifica culturale, ma il Paese raccontato oggi dal servizio pubblico difficilmente è quello che incontro per strada. Non trovo il racconto delle tensioni sociali, delle nuove fratture. E la cosa agghiacciante è che l’approfondimento siamo noi, politici e giornalisti, con tre minuti di parola dopo un minuto e mezzo di servizio per temi così complessi (qualcuno, dalla platea, ha scherzosamente commentato ad alta voce “è un’autocritica?!”, ndr). I protagonisti quotidiani della crisi o del rilancio del Paese sono altri, ma non trovano accesso al servizio pubblico. Così si perde autorevolezza e di conseguenza anche ascolti. Su questo si misurerà la capacità di innovazione dei prossimi palinsesti”.

Altro affondo: “è poi abbastanza intollerabile che un’azienda come questa viva sui precari, a fronte di una prima fascia di top manager con retribuzioni non giustificate dal mercato, perché – lo sappiamo tutti – fuori dalla Rai alcuni non avrebbero mercato o una retribuzione di meno di un terzo”. Infine, Orfini ha lamentato come la Rai rappresenti un “unicum a livello europeo”, non disponendo più di un… ufficio studi, ovvero di una struttura di ricerca ed analisi che possa consentire (al Cda, se non al Dg) di acquisire una “vision” strategica (e – ci si consenta – politica, nel senso di sana “politica culturale”), che non sia basata soltanto sul marketing tattico.

Quante volte, anche su queste colonne, abbiamo denunciato questo incredibile deficit, ricordando la funzione strategica preziosa svolta per decenni dalla killerata Vqpt – Verifica Qualitativa Programmi Trasmessi?! E si potrebbe aggiungere che, con la gestione Anna Maria Tarantola Presidente e Luigi Gubitosi Dg, è stato smantellato anche il Segretariato Sociale, ovvero la struttura Rai che storicamente era stata preposta a dialogare con la società civile, il terzo settore, le associazioni rappresentative delle infinite “diversità” (e ricchezze) del nostro Paese… Ahinoi, anche questa questione non sembra rientri nelle priorità “marketing oriented” di Campo Dall’Orto.

Ha concluso Luigi Zanda: “Continueremo a lavorare sulla Rai, qui in Parlamento. Vogliamo aiutare a fare della Rai una grande Rai. Un grande servizio pubblico che aiuti la crescita sociale e civile del Paese. Ho fatto parte, per pochi mesi, del Cda Rai in piena stagione di lottizzazione. E me ne sono andato anche per questo. Al tempo, ero convinto che, vista la situazione, l’azienda andasse privatizzata. Oggi, dopo le nuove leggi e la struttura che si è data la Rai, sono convinto che si possa lavorare per fare di questa azienda un grande servizio pubblico che punti sui contenuti, sulla capacità di far crescere questo paese sotto il profilo sociale e civile, sulla professionalità di chi lavora in azienda, sulla qualità delle scelte editoriali”.

Hanno moderato, con discrezione estrema, Lorenza Bonaccorsi (deputato Responsabile Cultura del Partito Democratico) e Vinicio Peluffo (membro della Commissione di Vigilanza Partito Democratico). Bonaccorsi, in particolare, ha enfatizzato come importante il passaggio dell’Italia dal 26° posto al 25° nella classifica mondiale della “Digital Economy Society”. Il convegno, poco meno di tre ore e mezzo, non ha previsto interventi dalla platea.

Da segnalare che, nella “società civile”, alcuni “apasionados” continuano a cercare di smuovere le acque stagnanti di una situazione che sembra essere tutta nelle mani di due persone soltanto: il Dg Campo Dall’Orto appunto ed il Sottosegretario Giacomelli.

Ieri mattina, sempre a Roma si è tenuta una pubblica assemblea di Infocivica – Gruppo di Amalfi, un “think-tank” (animato da Bruno Somalvico e presieduto da Massimo De Angelis) che ha predisposto una “lettera aperta” a Matteo Renzi, per rinnovare la proposta di un “servizio pubblico multimediale” all’altezza della modernità (vedi su “Key4biz” di oggi).

Si muove anche, con appassionato impegno ma – anche in questo caso – quasi nessuna copertura mediale, il coordinamento di PubblicaRai, comitato che raggruppa una serie di associazioni (tra le quali in primis Associazione Rai Bene Comune – IndigneRai. Adusbef, Appello Donne e Media, Arci, Articolo 21, Cittadinanzattiva, Fish, Fnsi, Libera, MoveOn Italia, Net Left, Ucsi, Usigrai, con Giorgio Balzoni portavoce) interessate al destino della Rai, che sta tra l’altro lavorando a un progetto di “algoritmo” che possa misurare in modo innovativo la qualità televisiva…

Va segnalato che nel nostro Paese non esiste ancora, purtroppo, un luogo – istituzionale o meno – nel quale queste forme di fare politica (“dall’alto” e “dal basso”, per così dire) si incontrino, confrontino, finanche scontrino. L’Agcom, dal canto suo, continua a dimostrare – anche rispetto alla delicatissima vicenda della Rai – un atteggiamento di inerzia, come se la tematica non la riguardasse…

Clicca qui per la videoregistrazione (a cura di RadioRadicale) del convegno “Una grande Rai”, organizzato dal Gruppo Pd del Senato, Roma, 7 luglio 2016