il dossier

Il riconoscimento facciale nel mondo, a che punto siamo?

di |

Usa, Inghilterra, Galles, Francia, Cina, India e Italia: la tecnologia per il riconoscimento facciale viene implementata e testata da Governi e Forze dell'ordine di tutto il mondo. Ma a che punto siamo? Cerchiamo di fare chiarezza.

Riconoscimento facciale, è polemica, a livello ormai internazionale. Tra programmi di ricerca sempre più avanzati e timori corrispondentemente sempre crescenti di violazioni della privacy, lo scenario mondiale è dominato da un continuo «stop and go» tra ricerche futuristiche e allarmismi lanciati dalle più alte cariche istituzionali.

In uno scenario dove la chiarezza pare una sola: l’incertezza e una non sempre adeguata informazione sul tema, a partire anzitutto dai principali attori presenti in scena. Cerchiamo allora di fare chiarezza.

Google e la situazione negli USA

È recente la notizia che Google avrebbe sospeso una «ricerca sul campo» avviata di recente, e accusata di usare metodi discutibili, per migliorare la tecnologia di riconoscimento facciale offerta con i nuovi Pixel 4. Il lavoro è stato commissionato a un’agenzia esterna, Randstad, ma in alcuni casi sarebbero state utilizzate «vie poco etiche» per ottenere dalle persone la loro scansione facciale. Per questo motivo, Google ha deciso di sospendere la raccolta dei dati.

Che cosa sarebbe accaduto esattamente? L’obiettivo della ricerca era eseguire la scansione facciale di volontari che dovevano essere informati sull’uso dei dati biometrici registrati. Secondo il New York Daily News, l’agenzia avrebbe, invece, raccolto i dati in maniera poco trasparente. Ad Atlanta sarebbero stati addirittura scelti i senzatetto perché non avrebbero parlato con i media. A questi sarebbero state offerte, in cambio della «rinuncia alla loro faccia», carte regalo da 5 dollari. Ad altri è stato consentito di «giocare con il telefono», senza che fosse detto loro che era in azione la videocamera di registrazione. Il Procuratore della città Nina Hickson ha inviato una lettera all’ufficio legale di Google per chiedere spiegazioni sull’accaduto, poiché «la possibilità che i cittadini più vulnerabili vengano sfruttati per promuovere un interesse commerciale è profondamente allarmante per numerosi motivi».

In seguito all’articolo del New York Daily News, Google ha deciso di sospendere la ricerca e avviare un’indagine. Probabilmente Randstad, si dice, non ha seguito le indicazioni fornite. Per migliorare la tecnologia di riconoscimento facciale è necessario compiere una raccolta di scansioni su larga scala in modo da garantire il funzionamento con volti di ogni forma e pelle di ogni colore. Ma ciò deve essere fatto nel rispetto della privacy, dopo aver ottenuto il consenso informato dalle persone.

Per restare in America, le voci contro l’uso del riconoscimento facciale sono sempre più numerose: anche in Paesi in cui si è finora fatto ampio uso di tali tecnologie, cittadini e politica si stanno muovendo per contrastarla. Recentemente lo Stato dell’Ohio ha vietato l’utilizzo del riconoscimento facciale dopo la scoperta che l’Agenzia per il controllo dell’immigrazione e delle frontiere statunitense raccoglieva, illecitamente e senza autorizzazione, dati volti alla deportazione di irregolari dal Paese.

Come scrive Kate Crawford, ricercatrice e co-direttrice dell’AI Now Institute della New York University, sull’autorevole rivista Nature: «La tecnologia per il riconoscimento facciale non è pronta per questo tipo di impiego, né i governi sono pronti a impedirle di causare danni. Sono urgentemente necessarie salvaguardie normative più rigorose, così come un più ampio dibattito pubblico sull’impatto che sta già avendo». Come osserva Crawford nel suo editoriale, si avverte l’esigenza di una legislazione completa, in grado di garantire restrizioni e trasparenza, senza la quale «abbiamo bisogno di una moratoria» che impedisca l’uso del riconoscimento facciale negli spazi pubblici.

Prima ancora dell’Ohio, a maggio di quest’anno la città e contea di San Francisco ha approvato un’ordinanza che mette ufficialmente al bando questi strumenti da uffici pubblici e organi di controllo del territorio. Tra i dubbi sollevati, anche il fatto che finora non esistono studi in grado di dimostrare che il riconoscimento facciale funzioni correttamente in un’accettabile percentuale di casi. A luglio, una ricerca condotta dall’Università dell’Essex, Regno Unito, ha dimostrato che il riconoscimento facciale utilizzato dalla polizia metropolitana di alcuni comuni britannici arriva a sbagliare in circa un quinto dei casi.  

«Ci sono poche prove che la tecnologia biometrica sia in grado di identificare i sospetti rapidamente o in tempo reale», scrive Crawford: «Nessuno studio verificato dalla comunità scientifica ha fornito dati in grado di convincere che la tecnologia abbia una precisione sufficiente per soddisfare gli standard costituzionali statunitensi di giusto processo, probabile causa e pari protezione che sono necessari per le ricerche e gli arresti».

Inghilterra e Galles

Se questa è la situazione Oltreoceano, in Europa il panorama è molto variegato. Prendiamo la Gran Bretagna: per alcuni politici e attivisti inglesi, polizia e aziende britanniche non dovrebbero servirsi del riconoscimento facciale live per eseguire controlli di sorveglianza pubblica. Come stanno le cose attualmente? Ricordiamo subito che, in UK, questo sistema è sperimentato sui cittadini dal 2015 da tre forze di polizia: London Metropolitan Police (the Met), South Wales Police e Leicestershire Police. In questi casi, il database è costituito da foto di persone ricercate dalla polizia o dai tribunali. Se il sistema trova una corrispondenza, sottopone all’attenzione della polizia entrambe le immagini – quella ripresa dal servizio di sorveglianza e quella presente negli archivi -. Le forze dell’ordine avranno così modo di decidere se fermare la persona ripresa per «farci due chiacchiere».

I volti che non trovano corrispondenza sono eliminati immediatamente dal sistema, mentre le immagini corrispondenti vengono cancellate dopo 30 giorni dal momento della ripresa. Quindi:

  • I volti presenti nei registri fotografici della polizia vengono mappati da un software;
  • Il sistema di camere “live” scannerizza i volti in movimento;
  • Le facce vengono comparate per testare una possibile corrispondenza e poi  vengono segnalate alle forze dell’ordine;
  • Gli individui segnalati possono essere fermati dalle guardie di sicurezza o dalla polizia.

C’è però chi dice «no».  Tra questi anche la Big Brother Watch, l’organizzazione britannica, senza scopo di lucro, per le libertà civili e la privacy. In una lettera, spedita da quest’organizzazione, che si oppone all’uso del sistema di riconoscimento facciale, compare la firma di oltre diciotto politici tra cui David Davis, Diane Abbott, Jo Swinson e Caroline Lucas. Hanno aderito all’iniziativa altre venticinque associazioni, tra cui Amnesty International e Liberty, ma anche accademici e avvocati. A loro dire, in Gran Bretagna la pratica tecnologica sarebbe stata adottata prima ancora di averla sottoposta all’attenzione della classe politica.

«Quello che stiamo facendo è mettere questo governo nelle condizioni di affermare: Ok, possiamo aprire questo dibattito e discuterne insieme”», ha riferito, in una puntata del programma televisivo britannico Victoria Derbyshire, Silkie Carlo, direttore del Big Brother Watch. «Ora c’è una crisi nel settore della sorveglianza che deve essere risolta, con urgenza», ha continuato Carlo.

La proprietà di King’s Cross è stata poi recentemente al centro di una controversia: si è scoperto che i suoi proprietari si sono serviti di una tecnologia di riconoscimento facciale live senza avvertire i cittadini. La Polizia Metropolitana e la Polizia Britannica dei Trasporti avrebbero supportato quest’attività fornendo immagini provenienti dai loro database. Inizialmente, entrambe le forze di polizia avevano negato un loro coinvolgimento nella vicenda. Poi hanno ritrattato la loro posizione sottolineando che il loro intervento mirava esclusivamente a «prevenire e individuare i reati nelle vicinanze e, in ultima analisi, contribuire a garantire la sicurezza pubblica», come riportato dall’Isle of Wight County Press.

In particolare la Polizia ha riconosciuto di lavorare con sviluppatori privati su schemi di riconoscimento facciale, e di aver condiviso nello specifico immagini di sette persone, come parte di un accordo di un accordo di condivisione dato con un’azienda privata nell’area di King’s Cross, ma ha affermato di non avere registrazioni di come le immagini sono state usate.

Poi c’è anche un caso giudiziario. La polizia del Galles del Sud è stata portata dalla Corte Suprema – in un processo che aveva come imputato la pratica tecnologica – da un cittadino che è stato ripreso da un sistema di sorveglianza di questo tipo senza averne dato il consenso. La Corte ha stabilito che era legale, anche se ora è stato impugnato il ricorso.

Anche in questo caso poi non mancano i problemi concernenti possibili questioni «razziali». Alcuni ricercatori hanno espresso preoccupazione sul fatto che taluni di questi sistemi potrebbero, infatti, essere «sensibili ai pregiudizi». Le telecamere sarebbere più propense a identificare donne e persone di colore. Areeq Chowdhury, responsabile del gruppo di consulenza della Future Advocacy, ha proposto che questo si può spiegare con il fatto che i contrasti di colore sulle persone dalla pelle scura così come l’uso di cosmetici possono confondere i sistemi di sorveglianza e quindi attirare la loro attenzione. Parallelamente alcuni sistemi non sono stati calibrati con dati sufficienti da permettere loro di identificare potenziali sospettati tra individui di diversa etnia. Poca chiarezza sulle regole che disciplinano l’uso del sistema live.

Il caso Scozia

Nel frattempo il Parlamento scozzese ha lanciato un’inchiesta sull’uso del riconoscimento facciale da parte della polizia. Le circostanze e le implicazioni di applicazione di questa tecnologia nei servizi di polizia saranno oggetto d’indagine nei prossimi mesi. Il Parlamento scozzese non è completamente sicuro circa l’attuale metodo utilizzato dalla polizia per il riconoscimento facciale. Si capisce che la Polizia in Scozia utilizza attualmente materiale tratto da registrazioni a circuito chiuso, confrontato poi con il database della polizia nazionale. Questo tipo di riconoscimento facciale è definito come «retrospettiva», differente dalle immagini in tempo reale, che possono provenire da apparecchiature come macchine fotografiche indossabili o telefoni cellulari. Il Parlamento intende anche chiarire se altre organizzazioni, come la British Transport Police o la National Crime Agency, usino questo tipo di tecnologia in Scozia.

«Vogliamo essere certi che i servizi di polizia stiano mantenendo il giusto equilibrio quando usano questa tecnologia», ha dichiarato John Finnie, al momento del lancio dell’inchiesta. «Abbiamo una serie di preoccupazioni non vediamo l’ora di far chiarezza ulteriormente nei prossimi mesi».

Le aree che saranno oggetto d’indagine nella ricerca includeranno i requisiti di protezione dei dati, sicurezza e mantenimento, così come la supervisione, la governance e la trasparenza di utilizzo da parte della Polizia Scozia della tecnologia di riconoscimento facciale.

La Francia e «Alicem»

Lanciatissima sul piano del riconoscimento facciale è la Francia, che sta per mettere in piedi un sistema di riconoscimento facciale legato all’identificazione delle persone: nome in codice Alicem. Macron non intende fare passi indietro: la Francia intende dotarsi di un sistema di riconoscimento facciale che, sotto il nome in codice di «Alicem», andrebbe a registrare l’impronta biometrica del viso di ogni cittadino per collegarla univocamente all’identità del soggetto. Così facendo, in qualsiasi momento, qualunque cittadino potrebbe essere riconosciuto per una più semplice gestione di qualsivoglia circostanza.

Quel che preoccupa è come la corsa di Macron verso il sistema Alicem sia al momento priva di freni: né le pressioni del gruppo «La Quadrature du Net», né una serie di iniziative di natura legale, hanno finora saputo scalfire la convinzione con cui si sta portando a compimento il progetto. La Quadrature du Net ha portato avanti uno specifico ricorso per bloccare il decreto che autorizza lo sviluppo del sistema, cercando così di porre un argine ad una iniziativa destinata a far discutere: tante e tali potrebbero essere le conseguenze di una applicazione fattiva di Alicem, che la sua realizzazione non può (e non deve) passare sotto silenzio.

I tempi sono ormai stretti: entro novembre s’inizierà a porre in essere il progetto ed entro fine anno dovrà essere a regime. Una tecnologia troppo scomoda messa in piedi troppo in fretta, insomma, senza idee chiare (o quanto meno trasparenti) sugli utilizzi che si intende farne, né i limiti che vi si intendono porre. Dalle istituzioni francesi giungono ripetute rassicurazioni sugli ambiti di applicazione, sul tipo di dati archiviati e sulla detenzione dei dati stessi, come a dire: raccoglieremo i vostri dati ma li useremo in modo responsabile. Cosa s’intenda esattamente, però, per «responsabile», non è chiaro. Nel frattempo i dati dovrebbero essere prelevati, archiviati e abbinati a una specifica identità affinché ognuno possa essere «marchiato a fuoco» all’interno del database statale.

La preoccupazione per la privacy in Francia è, insomma, assai forte, specie in città come Nizza. Oltre 2.600 telecamere a circuito chiuso e prime sperimentazioni, con la scansione dei volti di migliaia di adulti. Un nuovo test in attesa del via libera in due licei cittadini ha suscitato le proteste di studenti, insegnanti e genitori. Mentre in California diverse città ne hanno bandito l’utilizzo – temendo violazioni dei diritti umani ed errori nell’identificazione delle donne e delle minoranze –, in Europa oltre alla Francia, anche Danimarca, Germania e Regno Unito hanno condotto sperimentazioni, concedendo ampi margini di utilizzo alle forze di polizia. Così come ci si muove in Italia. A Nizza, in specie, cresce il timore che un «eccesso di sorveglianza» sia prossimo.

In Cina è già domani

In Cina poi siamo ancora oltre. Nel metrò, infatti, il riconoscimento facciale consentirebbe agli over 60 lo sblocco dei tornelli e, dunque, l’ingresso libero senza bisogno di obliterare agli over 60, con l’obiettivo di estendere poi il sistema a disabili e veterani. Già a Shenzhen, infatti, grazie al riconoscimento facciale  gli anziani possono entrare senza timbrare il biglietto o scansionare il QRcode. Il sistema è stato attivato in fase sperimentale per rendere più veloce e semplice l’ingresso a chi gode dell’ingresso gratuito per motivi di età.

L’iniziativa partita nella metropoli nel sud della Cina permette di sbloccare i tornelli elettrici, dopo aver completato la registrazione con il proprio nome tramite un sistema di servizio intelligente. Per migliorare l’efficienza e l’esperienza di viaggio, il sistema sviluppato da Tencent è stato lanciato in tutte le 18 stazioni della linea metropolitana, con un totale di 28 cancelli automatici e 60 macchine self-service per l’elaborazione dei biglietti. L’obiettivo è estendere il servizio ad altri gruppi che godono del servizio gratuito della metropolitana, come i disabili e i veterani dell’esercito. Secondo i media cinesi, il sistema basato sul riconoscimento facciale è stato già adottato a Jinan, nello Shandong, dove ogni giorno circa 500 pendolari lo usano per pagare il biglietto. Il 10 settembre la sperimentazione è partita anche all’interno di due stazioni della metropolitana di Guangzhou, città nel sud della provincia del Guangdong. Secondo la China Information Industry Trade Association la sperimentazione coinvolge una decina di città, tra cui Shanghai, Qingdao, Nanjing e Nanning. Anche la Cina, però, registra pareri discordanti per quanto riguarda sicurezza e tutela dei dati. Lo dimostra quel 73,8% del campione intervistato dalla Payment and Clearing Association of China che, seppure disposto a usare i sistemi biometrici per i pagamenti in mobilità, si dice preoccupato per la propria privacy.

Il caso India

Anche l’India cede al richiamo delle tecnologie per il riconoscimento facciale, che promettono di amministrare la giustizia identificando automaticamente chiunque passi di fronte a una telecamera. Con un annuncio ufficiale sulla stampa indiana, il Primo Ministro del Paese, Narendra Modi, ha anticipato l’apertura di un bando pubblico per il mese prossimo, per costruire un sistema capace di centralizzare i dati raccolti dalle telecamere di sorveglianza di tutto il Paese, come si apprende dalla documentazione ufficiale pubblicata dal governo di Nuova Delhi.

Secondo quanto spiegato dalle autorità, l’obiettivo sarà quello di supportare il lavoro delle forze dell’ordine del Paese, che con un agente ogni 724 abitanti, sono le più sguarnite al mondo, come riportato da Bloomberg. Le ricadute positive però si prevedono soprattutto sul mercato delle tecnologie di sorveglianza, che in India potrebbe crescere di sei volte entro il 2024, fino a raggiungere una spesa stimata in 4,3 miliardi di dollari, vicina a quella cinese.

D’altra parte, l’iniziativa preoccupa soprattutto date le inesistenti tutele previste dal sistema indiano per quanto riguarda la privacy e i diritti digitali, che a metà agosto ha potuto imporre il blocco totale di qualsiasi comunicazione per i 12,5 milioni di cittadini della regione del Kashmir.

Come ha osservato Apar Gupta, avvocato di Nuova Delhi, intervistato da Bloomberg. «Siamo l’unica democrazia che implementerà un sistema di questo tipo senza avere alcuna protezione dei dati o legge sulla privacy: è come una corsa all’oro per le aziende alla ricerca di enormi archivi di dati privi di protezione».