L'analisi

Il diritto all’oblio e il diritto di cronaca secondo le Sezioni Unite. Quando si applicano

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La materia in questione, osservano le Sezioni Unite, viene ad intrecciarsi con un complesso quadro normativo che involge sia la normativa nazionale che quella Europea.

Con sentenza n.19681 del 22/07/2019 le Sezioni Unite Civili hanno fornito univoci criteri di riferimento che consentano agli operatori del diritto di conoscere preventivamente i presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto di chiedere che una notizia, a sé relativa, pur legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di nuova divulgazione.

Invero, secondo la Suprema Corte, il tema impone di affrontare il problema del bilanciamento tra:

  • il diritto di cronaca, posto al servizio dell’interesse pubblico all’informazione, e
  • il diritto all’oblio, finalizzato alla tutela della riservatezza della persona.

Sul punto, la pronuncia rammenta che il diritto di cronaca, per pacifica e risalente acquisizione della giurisprudenza sia civile che penale, è un diritto pubblico soggettivo fondato sulla previsione dell’art. 21 Cost., che sancisce il principio della libera manifestazione del pensiero e della libertà di stampa.

Tale diritto non è senza limiti.

È necessario che sussistano di tre condizioni:

  • che vi sia l’utilità sociale dell’informazione;
  • che via sia verità oggettiva o anche solo putativa dei fatti e della forma civile dell’esposizione;
  • che l’informazione sia sempre rispettosa della dignità della persona.

Invero, il diritto all’oblio “è collegato, in coppia dialettica, al diritto di cronaca”, posto che esso sussiste quando ‘non vi sia più un’apprezzabile utilità sociale ad informare il pubblico; ovvero la notizia sia diventata obsoleta o quando l’esposizione dei fatti non sia stata commisurata all’esigenza informativa ed abbia arrecato un vulnus alla dignità dell’interessato.

Spesso il diritto all’oblio è stato riconosciuto, a determinate condizioni, prevalente sul diritto all’informazione (ordinanza 20 marzo 2018, n. 6919) e d’altra parte, osservano le Sezioni Unite, la materia è stata oggetto anche del recente intervento della legislazione Europea, con il Regolamento UE n. 2016/679, il cui art. 17 prevede che, a determinate condizioni, l’interessato abbia diritto a chiedere la rimozione dei dati personali che lo riguardano e che siano stati resi pubblici.

Cenni al quadro normativo e giurisprudenziale interno ed Europeo

La materia in questione, osservano le Sezioni Unite, viene ad intrecciarsi con un complesso quadro normativo che involge sia la normativa nazionale che quella Europea.

Imprescindibile punto di partenza sono le disposizioni della Costituzione e, in particolare, gli artt. 2, 3 e 21 della medesima, che hanno ad oggetto i diritti inviolabili, la tutela della persona, il principio di uguaglianza e il diritto di cronaca inteso, secondo la formula costituzionale, come “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”.

Deve poi essere richiamati:

  • la Legge sulla stampa del 8 febbraio 1948, n. 47;
  • le norme del codice penale sulla diffamazione e quelle sulla tutela della riservatezza;
  • il codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (emanato per la prima volta in data 29 luglio 1998 con provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali e poi in ultimo ribadito con il recente provvedimento del 29 novembre 2018 della medesima Autorità, sulla scia delle numerose modifiche introdotte dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101);
  • il Testo unico dei doveri del giornalista che il Consiglio nazionale dell’ordine ha approvato in data 27 gennaio 2016;
  • l’art. 8 della CEDU dispone che ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza;
  • l’art. 7 della CEDU nel ribadire la formula del citato art. 8, sostituisce al termine ‘corrispondenza’ quello più moderno di ‘comunicazioni’, mentre l’art. 8 della medesima Carta prevede il diritto di ogni persona ‘alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano’ e dispone che tali dati siano trattati ‘secondo il principio di lealtà’, sotto il controllo di un’autorità indipendente;
  • l’art. 16 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, nella versione consolidata risultante dal Trattato di Lisbona, prevede il diritto di ogni persona ‘alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano;
  • il Regolamento 2016/679/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, che ha ad oggetto la ‘protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati’, atto che abroga la precedente direttiva 95/46/CE e che contiene, nel suo art. 17, un preciso riferimento al diritto alla ‘cancellazione’ (tra parentesi definito come ‘diritto all’oblio’). Tale Regolamento ha reso necessaria l’emanazione del citato D.Lgs. n. 101 del 2018.

Le Sezioni Unite, inoltre, forniscono una panoramica dell’evoluzione giurisprudenziale esaminando vari argomenti che hanno più o meno coinvolto il diritto all’oblio ed il diritto di cronaca:

  • i limiti al corretto esercizio del diritto di cronaca furono fissati già nella sentenza 18 ottobre 1984, n. 5259, contenente il c.d. decalogo del giornalista;
  • il diritto all’oblio, invece era stato affrontato, sia pure per una vicenda molto particolare, nella sentenza 13 maggio 1958, n. 1563, ed ha fatto la sua comparsa ‘ufficiale’ nella sentenza 9 aprile 1998, n. 3679. In quell’occasione la Corte – richiamando la propria precedente elaborazione sul diritto di cronaca e, in particolare, sottolineando l’importanza rivestita dalla ‘attualità della notizia’ – ebbe ad evidenziare l’emergere di un ‘nuovo profilo del diritto alla riservatezza, recentemente definito anche come diritto all’oblio, inteso come giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata’; e già in quel caso la sentenza aggiunse che ‘quando il fatto precedente per altri eventi sopravvenuti ritorna di attualità, rinasce un nuovo interesse pubblico all’informazione, non strettamente legato alla contemporaneità tra divulgazione e fatto pubblico’.
  • il diritto all’oblio rientra nell’ambito della più vasta categoria del diritto alla riservatezza (sentenza 27 maggio 1975, n. 2129), tuttavia il primo si differenzia dal secondo perché ha ad oggetto il diritto della persona a che certe notizie, già a suo tempo diffuse, non vengano ulteriormente diffuse a distanza di tempo;
  • la sentenza 9 giugno 1998, n. 5658, dopo aver riconosciuto il fondamento costituzionale del diritto alla riservatezza (art. 2 Cost.), osservò che esso ha un contenuto più ampio del diritto alla reputazione e che, nel bilanciamento con il diritto di cronaca, è recessivo a condizione che ricorrano tre condizioni, costituite dalla utilità sociale della notizia, dalla verità dei fatti divulgati e dalla forma civile dell’espressione;
  • la sentenza 24 aprile 2008, n. 10690, ha ricordato che ‘il diritto alla riservatezza, il quale tutela l’esigenza della persona a che i fatti della sua vita privata non siano pubblicamente divulgati, è confluito nel diritto alla protezione dei dati personali a seguito della disciplina contenuta nella L. 31 dicembre 1996, n. 675’; dopo aver chiarito che la sua violazione è fonte di illecito civile ai sensi dell’art. 2 Cost. e la libertà di stampa prevale sul diritto alla riservatezza e all’onore, purché la pubblicazione sia giustificata dalla funzione dell’informazione e sia conforme ai canoni della correttezza professionale. In particolare, deve sussistere ‘un apprezzabile interesse del pubblico alla conoscenza dei fatti privati’, in considerazione di finalità culturali o didattiche e, comunque, di una rilevanza sociale dei fatti stessi;
  • la sentenza 12 ottobre 2012, n. 17408 ha stabilito che al giornalista è consentito divulgare dati sensibili senza il consenso del titolare o l’autorizzazione del Garante per la tutela dei dati personali, a condizione che la divulgazione sia ‘essenziale’ ai sensi dell’art. 6 del codice deontologico dei giornalisti, e cioè indispensabile in considerazione dell’originalità del fatto o dei modi in cui è avvenuto; valutazione che costituisce accertamento in fatto rimesso al giudice di merito;
  • la sentenza 5 aprile 2012, n. 5525, si è espressa sul tema delle notizie già pubblicate in passato e presenti su internet (nell’archivio informatico di un grande quotidiano di rilevanza nazionale), e nel tracciare i confini di un concreto bilanciamento degli interessi tra valori contrapposti, ha ribadito che se ‘l’interesse pubblico sotteso al diritto all’informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza (artt. 21 e 2 Cost.), al soggetto cui i dati appartengono è correlativamente attribuito il diritto all’oblio, e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati ciò in quanto un fatto di cronaca può ‘assumere rilevanza come fatto storico però dopo il trascorre del tempo impone che la notizia sia anche aggiornata, posto che la sua diffusione negli stessi termini in cui aveva avuto luogo in origine potrebbe fare sì che essa risulti ‘sostanzialmente non vera;
  • la sentenza 26 giugno 2013, n. 16111, ha specificato che la diffusione di notizie personali in una determinata epoca ed in un determinato contesto non legittima, di per sé, che le medesime vengano utilizzate molti anni dopo, in una situazione del tutto diversa e priva di ogni collegamento col passato;
  • la sentenza 6 giugno 2014, n. 12834, ha ribadito che la pubblicazione su un quotidiano della foto di una persona in coincidenza cronologica col momento del suo arresto deve rispettare non solo le condizioni, ormai ben note, per il legittimo esercizio del diritto di cronaca, ma anche le particolari cautele imposte dalla tutela della dignità della persona, che viene colta in un frangente di particolare debolezza;
  • l’ordinanza 20 marzo 2018, n. 6919, anche alla luce del suindicato Regolamento UE che nel frattempo era stato emanato, ha osservato che il trascorrere del tempo viene a mutare il rapporto tra i contrapposti diritti; per cui, fatta eccezione per il caso di una persona che rivesta un ruolo pubblico particolare o per quello in cui la notizia mantenga nel tempo un interesse pubblico, ‘la pubblicazione di una informazione concernente una persona determinata, a distanza di tempo da fatti ed avvenimenti che la riguardano, non può che integrare la violazione del fondamentale diritto all’oblio’.

Giurisprudenza penale e giurisprudenza Europea dalle Sezioni unite vengono anche menzionate pronunce delle sezioni penali e di giurisdizione europea.

La sentenza 22 giugno 2017 (3 agosto 2017), n. 38747, pronunciata in un processo per diffamazione a carico del direttore e di un giornalista di un noto quotidiano nazionale, a seguito della pubblicazione di un articolo riguardante Vittorio Emanuele di Savoia. In quella pronuncia la Corte ha rilevato che era indubbia la rilevanza pubblica della notizia rievocata per cui il diritto all’oblio doveva nella specie cedere di fronte al diritto della collettività ‘ad essere informata e aggiornata sui fatti da cui dipende la formazione dei propri convincimenti’.

Ovviamente, viene menzionata la sentenza 13 maggio 2014 della Corte di giustizia dell’Unione Europea (in causa C-131/12 Google Spain).

Come noto, la vicenda aveva ad oggetto il problema dell’accesso ai dati esistenti sulla rete internet alla luce dell’allora vigente direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, poi abrogata, come s’è detto, dal Regolamento 2016/679/UE; in particolare, la terza questione esaminata (punti 89 e ss.) riguardava il diritto dell’interessato ad ottenere che il motore di ricerca sopprimesse determinati dati dall’elenco dei risultati reperibili sulla rete. Non è il caso di soffermarsi sui particolari del caso, ma sono importanti i principi enunciati. La Corte di giustizia ha premesso (punto 92) che il trattamento dei dati personali può risultare incompatibile con l’art. 12, lett. b), della direttiva non soltanto se i dati sono inesatti, ma anche se essi sono inadeguati, non pertinenti o eccessivi in rapporto alle finalità del trattamento, oppure non aggiornati o conservati per un arco di tempo superiore a quello necessario, ‘a meno che la loro conservazione non si imponga per motivi storici, statistici o scientifici’. Ha altresì affermato la Corte che il diritto dell’interessato, derivante dagli artt. 7 e 8 della Carta, a chiedere ‘che l’informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico’ mediante la sua inclusione in un elenco accessibile tramite internet prevale, in linea di massima, sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca ed anche su quello del pubblico a reperire tale informazione in rete; a meno che non risultino ragioni particolari, ‘come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica’, tali da rendere preponderante e giustificato l’interesse del pubblico ad avere accesso a tale informazione (punto 97). Risolvendo il caso specifico – nel quale l’attore aveva chiesto l’eliminazione del dato che collegava la sua persona ad un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali – la Corte ha affermato che sussisteva il diritto alla soppressione dei link corrispondenti esistenti nella rete, in quanto anche in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso (sedici anni dalla pubblicazione originaria), l’interessato aveva diritto a che quelle informazioni non fossero più collegate alla sua persona.

Viene menzionata pure la sentenza della Corte EDU del 19 ottobre 2017.

Si trattava, in quel caso, della vicenda di un uomo d’affari ucraino residente in Germania, amministratore di società televisive. Pubblicato su di un quotidiano di larga diffusione un articolo relativo al suo coinvolgimento in vicende di corruzione finalizzate ad ottenere licenze televisive in Ucraina, l’interessato aveva chiesto ai giudici tedeschi che il contenuto dell’articolo on line venisse rimosso. I giudici tedeschi avevano respinto la richiesta, in considerazione dell’influenza del soggetto all’interno della società tedesca e dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto reato.

Adita dall’interessato per presunta violazione, da parte delle autorità tedesche, dell’art. 8 della CEDU, la Corte di Strasburgo ha escluso che potesse, nella specie, ritenersi violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare; e, dando atto dell’avvenuto bilanciamento, da parte dei giudici nazionali, dei due interessi in conflitto, la sentenza ha dichiarato di concordare con il ragionamento svolto dai giudici tedeschi, nel senso che l’articolo contestato aveva contribuito ad un dibattito di interesse generale e che c’era un interesse pubblico nel presunto coinvolgimento del richiedente e nel fatto di averlo menzionato per nome (punto 37). Ragioni, queste, considerate sufficienti a far prevalere il diritto della generalità dei consociati alla conoscenza dei fatti rispetto a quello del privato all’oblio sui medesimi.

Nel tentativo di enucleare una sintesi sia a livello nazionale che europeo, la Sezioni Unite hanno affermato che il bilanciamento tra l’interesse del singolo ad essere dimenticato e quello opposto della collettività a mantenere viva la memoria di fatti a suo tempo legittimamente divulgati presuppone un complesso giudizio nel quale assumono rilievo decisivo:

  • la notorietà dell’interessato;
  • il suo coinvolgimento nella vita pubblica;
  • il contributo ad un dibattito di interesse generale;
  • l’oggetto della notizia;
  • la forma della pubblicazione ed il tempo trascorso dal momento in cui i fatti si sono effettivamente verificati.

Inoltre, quando si parla di diritto all’oblio ci si riferisce, osservano sempre le Sezioni Unite, ad almeno tre differenti situazioni:

  • quella di chi desidera non vedere nuovamente pubblicate notizie relative a vicende, in passato legittimamente diffuse, quando è trascorso un certo tempo tra la prima e la seconda pubblicazione;
  • quella, connessa all’uso di internet ed alla reperibilità delle notizie nella rete, consistente nell’esigenza di collocare la pubblicazione, avvenuta legittimamente molti anni prima, nel contesto attuale (è il caso della sentenza n. 5525 del 2012); e,
  • quella, infine, trattata nella citata sentenza Google Spain della Corte di giustizia dell’Unione Europea, nella quale l’interessato fa valere il diritto alla cancellazione dei dati.

La sentenza si è soffermata soltanto sul primo aspetto delineando il confine tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio.

Invero, quando un giornalista pubblica di nuovo, a distanza di un lungo periodo di tempo, una notizia già pubblicata – la quale, all’epoca, rivestiva un interesse pubblico – egli non sta esercitando il diritto di cronaca, quanto il diritto alla rievocazione storica (storiografica) di quei fatti.

Le SS. UU. fanno notare che “il termine ‘diritto di cronaca’, infatti, trae la propria etimologia dalla parola greca Kpovoc, che significa, appunto, tempo; il che vuol dire che si tratta di un diritto avente ad oggetto il racconto, con la stampa o altri mezzi di diffusione, di un qualcosa che attiene a quel tempo ed è, perciò, collegato con un determinato contesto”.

Ciò non esclude, naturalmente, che in relazione ad un evento del passato possano intervenire elementi nuovi tali per cui la notizia ritorni di attualità, di modo che diffonderla nel momento presente rappresenti ancora una manifestazione del diritto di cronaca (in tal senso già la citata sentenza n. 3679 del 1998); in assenza di questi elementi, però, tornare a diffondere una notizia del passato, anche se di sicura importanza in allora, costituisce esplicazione di un’attività storiografica che non può godere della stessa garanzia costituzionale che è prevista per il diritto di cronaca.

L’attività storiografica, intesa appunto come rievocazione di fatti ed eventi che hanno segnato la vita di una collettività, fa parte della storia di un popolo, ne rappresenta l’anima ed è, perciò, un’attività preziosa. Ma proprio perchè essa è ‘storia’, non può essere considerata ‘cronaca’.

Ne deriva l’interesse alla conoscenza di un fatto, che costituisce manifestazione del diritto ad informare e ad essere informati e che rappresenta la spinta ideale che muove ogni ricostruzione storica, non necessariamente implica la sussistenza di un analogo interesse alla conoscenza dell’identità della singola persona che quel fatto ha compiuto.

La decisione giornalistica di procedere alla rievocazione storica di fatti ritenuti importanti in un determinato contesto sociale e territoriale non può essere messa in discussione in termini di opportunità.

Tale scelta rappresenta una delle forme in cui si manifesta la libertà di stampa e di informazione tutelata dalla Costituzione; per cui non può essere sindacata la decisione in sé ma solo la decisione alla ripubblicazione di una certa notizia che diffonda nuovamente i riferimenti precisi alla persona che di quella vicenda fu protagonista in passato perchè l’identificazione personale, trascorso un lasso di tempo, non è più necessaria.

E’ questo, in definitiva, il costante filo rosso che tiene unita la giurisprudenza nazionale ed Europea richiamata dalle Sezioni Unite.

Il trascorrere del tempo modifica l’esito del bilanciamento tra i contrapposti diritti e porta il protagonista di un fatto a vantare un “diritto al segreto del disonore” (così le sentenze n. 5525 del 2012; n. 16111 del 2013; la sentenza 19 ottobre 2017 della Corte EDU).

In conclusione, ritengono le Sezioni Unite che debba essere ribadita la rilevanza costituzionale sia del diritto di cronaca che del diritto all’oblio; quando, però, una notizia del passato, a suo tempo diffusa nel legittimo esercizio del diritto di cronaca, venga ad essere nuovamente diffusa a distanza di un lasso di tempo significativo, sulla base di una libera scelta editoriale, l’attività svolta dal giornalista riveste un carattere storiografico; per cui il diritto dell’interessato al mantenimento dell’anonimato sulla sua identità personale è prevalente, a meno che non sussista un rinnovato interesse pubblico ai fatti ovvero il protagonista abbia ricoperto o ricopra una funzione che lo renda pubblicamente noto.