Le distorsioni degli algoritmi

Google rimuove l’app del Manifesto: “Dimostrate di essere un giornale”. È in edicola da mezzo secolo…

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Google ha rimosso l’app de Il Manifesto, così, al momento, il giornale non può più essere letto sui dispositivi Android. La motivazione? “Dimostrate di essere un’app di news”. La condanna di Stampa romana: "Ora le piattaforme sono anche giudici dei contenuti ospitati".

Non è bannato solo Donald Trump dai giganti del web. Google ha rimosso l’app de Il Manifestocosì, al momento, il giornale non può più essere letto sui dispositivi Android. La motivazione? “Dimostrate di essere un’app di news”.

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È surreale. Google, attraverso il suo team e i suoi algoritmi, è incapace di verificare l’attendibilità dell’applicazione dello storico quotidiano.

La motivazione

L’applicazione del Manifesto è “da anni su Play Store e da mezzo secolo in edicola”, denuncia il giornale, che descrive nei dettagli “incredibile” vicenda.

Il racconto della vicenda paradossale

Google ci chiede di dimostrare, spiega Il Manifesto:

  1. se siamo la app di un giornale (la gerenza è sia embeddata nella app che sul sito)
  2. se rispettiamo la privacy (pochi sono più scrupolosi di noi, che non tracciamo né profiliamo)
  3. se la nostra app fornisce contenuti a pagamento (lo fa di default, è accessibile solo agli abbonati e Google prende circa il 40% dell’abbonamento da diversi anni)
  4. se pubblichiamo annunci pubblicitari (no, non lo facciamo ma è questo un motivo valido per cancellare un giornale?)
  5. se pubblichiamo contenuti non adatti ai minori (un giornale non è un porno, comunque nel dubbio autodichiariamo che siamo adatti a un pubblico dai 13 anni in su. Google ci risponde classificandoci subito come un prodotto “non adatto alla famiglia” senza ulteriori spiegazioni).

Ma non basta. Google ci chiede anche, aggiunge il giornale:

  1. un abbonamento omaggio per verificare effettivamente il contenuto delle nostre edizioni digitali con tanto di istruzioni di login (Google che chiede l’abbonamento omaggio al manifesto ci fa abbastanza ridere)
  2. ci spedisce a un ente di valutazione dei contenuti denominato IARC (mai sentito prima, almeno da noi)

Il racconto del quotidiano continua:

“Al termine della compilazione di questi assurdi questionari compaiono delle confortanti spunte verdi. Ma il problema rimane.

Google ci riscrive comunicando che saremo ancora al bando a causa di questa “Policy Issue”: “Apps without an IARC content rating are not permitted on Google Play”.

Finché lo IARC non trarrà le sue conclusioni siamo cancellati dallo Store. Risolviamo anche questa ma la app resta in revisione.

Non si sa cosa stia avvenendo. Eppure la app è pubblica da anni…”.

La condanna di Stampa romana: “Ora le piattaforme sono anche giudici dei contenuti ospitati”

Di seguito la presa di posizione di Stampa romana, l’associazione dei giornalisti:
“A poche ore dalla partenza della campagna abbonamenti la app del Manifesto sparisce da Google play store.

In pratica il grande monopolista chiede ai colleghi e agli sviluppatori del manifesto di autocertificare, passando attraverso un lungo format, la loro esistenza come giornale di informazione.

Un paradossale controsenso per una testata di lungo corso ma che rivela il pericolo di un ruolo che le grandi piattaforme sembrano aver assunto dopo l’assalto a Capitol Hill.

Non più postini di contenuti o vetrine di applicazioni anche giornalistiche ma giudici dei contenuti ospitati.

Naturalmente non esiste reclamo al blocco della app se non allo stesso monopolista.

È questo un effetto indesiderato di aver consegnato altrove le chiavi di casa ma oggi è una inaccettabile compressione del diritto di informare e di essere informati garantito dalla Costituzione e della libertà di impresa”.


Aggiornamento:

L’app de Il Manifesto è di nuovo disponibile sullo store di Google da oggi: “Un portavoce di Google ha ammesso l’errore e si scusa. App ripristinata”, ci ha detto Matteo Bartocci, direttore editoriale del giornale.